sabato 25 marzo 2017

Se internet dà dipendenza come la nicotina


Un libro lancia una campagna anti-cellulari. E contro i social, da proibire agli adolescenti. Per creare aree libere da distrazioni. E arginare un’epidemia

Sul New York Times del 13 marzo l’opinionista Ross Douthat propone di applicare le seguenti misure sull’uso dei cellulari: proibirli nelle sale di lettura dei college e nelle scuole; rendere illegale il loro uso all’interno delle auto; obbligare gli avventori dei ristoranti a lasciarli all’esterno in apposite “phone boxes”; confiscarli all’ingresso dei musei, delle chiese e delle biblioteche; introdurre norme rigide che impediscano di controllare le email nel corso dei meeting, inibirne l’uso prima dei sedici anni.
Inoltre: estromettere i computer dalle scuole elementari (da piccoli meglio la carta); negare l’accesso a Facebook e ai videogiochi online prima dei 16 anni (oggi il limite è 13). Ancora: creare un movimento culturale per resistere attivamente all’Internet delle cose, il cui obiettivo è mettere in rete qualunque cosa, dai frigoriferi alle luci della casa; definire le aree dove l’uso di Internet è illegale.
Qualcuno dirà: benvenuti nel fondamentalismo antimoderno. Ma non avvenne la stessa cosa con le sigarette? Partiamo da qui. Negli anni Cinquanta fumare era di moda, Hollywood organizzava corsi di fumo per gli attori e negli spot si sosteneva che le sigarette giovavano alla gola. Ci vollero decenni per avere la meglio sulle multinazionali del tabacco, fino all’obbligo di scrivere sui pacchetti che il fumo fa venire il cancro, e proibirlo in molte aree: a New York persino a Central Park.
Sta cominciando la stessa parabola per Internet? Ross Douthat prende spunto da un libro appena uscito che ha un titolo evocativo: Irresistible: The Rise of Addictive Technology and the Business of Keeping Us Hooked(“Irresistibile, l’ascesa della tecnologia della dipendenza e il business di catturarci all’amo”, Penguin Press) pubblicato dall’esperto di marketing Adam Alter, professore alla Stern School of Business presso la New York University.
Alter dice una cosa semplice: le persone sono ossessionate dall’impulso di controllare l’email, Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp. Si tratta di un bisogno compulsivo che ci distrae perennemente qualunque cosa stiamo facendo: lavorare, pranzare con la famiglia o passeggiare in riva al mare. E la dipendenza da Internet è diventata una cosa sempre più grave da quando – con l’avvento dell’iPhone (2007) e dell’iPad (2010) – Internet è diventato portatile e si è trasformato in un’ossessione collettiva.
Alter entra nel merito: cita casi di ragazzi finiti in cliniche di riabilitazione; descrive giovani che si collegano a Snapchat più di 20 volte al giorno; ricorda che – secondo un recente sondaggio – la metà degli intervistati controlla l’email anche di notte. Sostiene che chi passa oltre tre ore al giorno attaccato al telefono può essere considerato in uno stato di “dipendenza”.


Alter decise di scrivere il libro nel 2010, quando seppe che Steve Jobs, il fondatore della Apple, proibiva l’uso dell’iPad ai suoi bambini; e poi che nella Bay Area c’era una scuola – frequentata al 75% da dirigenti dell’high tech – che non consentiva l’uso di quel tipo di tecnologie. Si chiese perché. La risposta era semplice: quei tecnici conoscono il nostro cervello, sanno che siamo biologicamente portati a essere catturati da certe esperienze.
Nel progettare quei sistemi, i tecnici cercano scientificamente il modo per incantarci, ipnotizzarci, renderci dipendenti. Ci forniscono servizi di cui non possiamo fare a meno, che alimentano il narcisismo, l’alienazione, la depressione. Sanno che i cervelli di un malato di slot machine, di un eroinomane e di un drogato da videogame reagisce in modo analogo se esposto all’oggetto della sua dipendenza. Se un’esperienza tocca i tasti giusti mette in circolo dopamina che produce appagamento nel breve termine e dipendenza nel lungo termine.
I progettisti di videogame sperimentano diverse versioni di un gioco e sperimentano quello che coinvolge di più l’utente. Esattamente come gli analisti di Facebook, quando introducono nuove funzioni. Verificare quanti like si è meritato il proprio post può risultare “irresistibile”.
Alter dice che siamo nel pieno di un’epidemia a cui dovremmo porre un argine. Sostiene che dovremmo smettere di tenere gli occhi fissi su uno schermo; dice ai genitori di sottrarre queste tecnologie seduttive ai figli; chiede ai governanti di imporre regole rigide per limitare il loro uso, come è stato già fatto per limitare l’invadenza delle multinazionali del fumo. Forse i giganti di oggi sono ancora più potenti. Ma ce la possiamo fare. La battaglia è appena cominciata.
di Filippo Campostano

FONTE: http://pagina99.it/2017/03/20/dipendenza-internet-social-network-adam-alter-libro-epidemia/

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