mercoledì 22 marzo 2017

IL FASCIO SOCIAL di Mario Tuti

  
 
Ciò che occorre allora è accorgersi di questo ospite inquietante e guardarlo bene in faccia, per poi procedere in direzione ostinata e contraria…
Perché Facebook è diventato covo degli ammazzasette e dei trombofasci da tastiera.
Sfogano su internet tutte le passioni che gli sono rimaste, e al di là dallo schermo si scoprono senza forze, senza idee, senza valori, senza palle, oscillando tra una furia ostentata, con risse sui blog e profili reciprocamente bannati, ed il caratteristico vittimismo.
“/Recitando un rosario / di ambizioni meschine / di millenarie paure /di inesauribili astuzie/ Coltivando tranquilli / l'orribile varietà / delle proprie superbie / come un'anestesia / come un'abitudine./” Come cantava ormai 20 anni fa De André...
Gli sfoghi cominciano solitamente con le parole “dovrebbero” o “bisognerebbe”.
Chi sarebbe il salvatore, o i salvatori, non è dato saperlo.
Forse Mussolini, Hitler, o – si parva licet - Salvini, Putin, addirittura la Meloni (lei? salvare chi? al massimo le sue parassitarie prebende!), spesso è genericamente “il popolo” che “vedrai tu quando…”
Il “quando” fissa una prospettiva fosca - quando non ci sarà più da mangiare, quando staremo tutti per strada, quando avremo toccato il fondo, quando i clandestini ci avranno invaso - oppure un decisivo momento di rottura - quando ci sveglieremo, quando “avremo vinto”. Allora li saremmo “andati a prendere”.
E chi li andrebbe a prendere? Loro?!?

Capaci al più di postare selfie col saluto romano o smorfie a culo di gallina? Ma via..!
È vero che fin dal dopoguerra, quando i fascisti furono emarginati, tutti gli emarginati e disadattati presero a dirsi fascisti, ma ai tempi della mia giovinezza, dalla metà degli anni sessanta e per quasi un ventennio, dirsi fascisti fu anche molto pericoloso, e questo fece la selezione. Ora è solo una moda, moda di sfigati, imbelli, esibizionisti e voyeristi da tastiera: anime e coscienze deboli, insoddisfatte, virtuali, vuote...
Un tempo “/ disobbedienti alle leggi del branco /” discettavamo di “essere e non avere”, del “sangue contro l’oro” – e di sangue ne versammo, nostro e altrui, rinnegando ricchezze e carriera. Ora è solo l’apparire, edonistico, osceno e menzognero, che celebra i suoi fasti in questa società dello spettacolo. Tutti incollati al proprio tablet o al proprio smartphone, intenti a whatsappare, scattare selfie, aspettare la connessione o cacciare pokemon...
Intanto ho visto in faccia il Nemico, l’ho riconosciuto: e siamo noi, noi in questo tempo strano ed estraneo, di chiacchiere vuote, di irresponsabilità, di identità effimere e virtuali!


 E tornano, come un richiamo, le parole lette un paio di mesi fa sulla lapide nel Sacrario del Cimitero di Trespiano dove sono raccolte le spoglie di coloro che difesero Firenze nell’estate del ’44:

 « BISOGNA PORTARE AI VIVI CHE SONO MORTI LA FIACCOLA DEI MORTI CHE SONO VIVI».
Una luce di speranza, certo, e una promessa e un appello, il loro, loro vivi nella nostra devota memoria, vivi nella fede e nella fedeltà a se stessi e ad un’idea, a noi che siamo morti, morti dentro, anime morte... Ricordo la commozione di quel giorno, e ancora sento un groppo alla gola…
E allora mi chiedo com’è che si sia potuti arrivare a questo, a questi tempi vuoti, strani, che io sento estranei, come io stesso mi sento estraneo a questa società senza radici e prospettive, senza educazione e rispetto, senza più sogni ed entusiasmi condivisi, o anche solo follie?

Certo, anche le nostre follie allora non furono forse che orgogliosa ostentazione. Ma eravamo pronti a sopportare le conseguenze estreme di quell'ostinata ostentazione. Cosa potevamo fare di più, se non marciare “/ in direzione ostinata e contraria / col suo marchio speciale di speciale disperazione / e tra il vomito dei respinti muovere gli ultimi passi /per consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità, di verità./”
Su Facebook io stesso ho più di duemila amici che si dicono fascisti - ma nella rete sono centinaia di migliaia – e ci sarebbe da chiedersi perché non ci assumiamo la responsabilità del Paese, perché non prendiamo il potere..?
Se non fosse che, per i più, questo dirsi fascisti non è altro che un’appartenenza imbelle e virtuale, a base di bevute di birra, tatuaggi e simboli ostentati, e profanati, senza alcuna consapevolezza, senza alcun vero impegno, senza alcuna passione , se non calcistica o trombereccia, entrambe sfogate e fomentate sui social, e senza alcun rischio, senza alcuna memoria storica, senza etica e carattere, e senza vergogna!
Mi tornano alla memoria le immagini di più di trent’anni fa, dei primi Campi Hobbit: volti giovani, sorridenti, puliti, pur consapevoli di quel destino di morte o prigionia che ghermì alcuni di loro, ma volti, corpi, stile che ricordavano i raduni della Hitlerjugend o dei campi della GIL. Una differenza antropologica con questi di oggi, buoni solo a ruttare birra e cazzate, e a far loro una storia che non hanno vissuto…
Anche se loro, bisogna riconoscerlo, a differenza di noi sono tanti, controllano i gruppi studenteschi nelle scuole, hanno centri sociali, pub, fanno concerti, teatro e iniziative sportive e culturali, presentano le loro liste nelle elezioni locali… solo che alla fine tutto resta lì!
Forse non è neanche colpa loro, mi dico, forse siamo stati noi, troppo impegnati nella venerazione delle nostre stesse reliquie, a non essere stati capaci di educarli. Troppi ne ho visti, dei miei coetanei, speculare su una storia di sangue e lacrime al solo scopo di farsi adulare e autocelebrarsi. Per non parlare di quegli altri, scimmie e spettri della rivoluzione, che trovarono subito la porta aperta, la strada giusta che li portò nelle aule parlamentari e negli studi televisivi, nelle sacrestie e nei ritrovi alla moda, vicino agli scranni del potere. E di lì ci ammonirono, ammiccando, che l'unica saggezza, l’unico valore  rimasto era rinnegare, tradire, fare soldi, il successo… Proprio un bello spettacolo da dare ai giovani!
Con simili esempi, mi dico ancora, non è neanche colpa loro, di questi ragazzotti capaci solo di ostentare in rete, e sulla loro pelle, icone necrofile o motti roboanti, capaci solo di stravolgersi di alcol e sonorità  negroidi, oppure di sperdersi in estenuazioni di fumi e chat! No, non è così… E non ci sono scuse! Proprio recentemente, quando ho fatto rilevare ad un gruppo di questi giovani una loro grave scorrettezza e mancanza di stile, invece che ringraziarmi per il cameratesco richiamo e provare virilmente a rimediare, subito a giustificarsi e coprirsi a vicenda, come bimbi sorpresi a rubare la marmellata…

E ritorna il monito dei nostri morti, quelli di Trespiano e quelli degli anni di piombo, insieme a tutti i caduti per il fascismo:

 « BISOGNA PORTARE AI VIVI CHE SONO MORTI LA FIACCOLA DEI MORTI CHE SONO VIVI».
Il loro esempio è come il lampo lontano che annuncia la tempesta, una fiamma che ancora arde e vive, una fiamma che ci indica il cammino e ci riscalda il cuore, perché è da noi che deve partire il cambiamento, con la coscienza dei nostri limiti e dell'immenso campo di rovine morali e materiali del mondo che ci circonda. Ma anche se ora siamo pochi, altri forse, di noi migliori o più fortunati, continueranno il lavoro iniziato…
Allora, se vogliamo - e se vogliamo ancora sentirci all’altezza dei nostri ideali, se vogliamo ancora una vita vera e vissuta da fascisti, e non solo sfogarci sui social spacciando identità spettrali ai limiti del grottesco - non ci resta che prendere la fiaccola che ci porgono i nostri morti, che sono vivi “/ non dimenticare il loro volto / è come un dovere /” e ardere ancora un momento, riaccendere ancora un istante nelle nostre anime la passione e la fede, anche a costo di lasciare questo mondo di fango e di merda, di chiacchiere e di vuoto, di link e connessioni virtuali.
Ognuno lo interpreti e decida come crede..!

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