Il Rexismo trae il nome dal movimento politico di destra Rex, , d'ispirazione fascista e d'impronta cattolica fondato nel 19 35 in Belgio da Lèon Degrelle. Il Rexismo fu un movimento un di opposizione al governo belga.
Trae il suo nome dal movimento belga Rex, di forte ispirazione fascista, aristocratica e cattolica, mutuando il suo nome dal sostantivo latino rex, riferito al concetto di regalità anche dal punto di vista religioso (Cristo Re).
Questo movimento di natura anticapitalista quanto anticomunista, metteva in risalto la corruzione della classe politica , tanto che uno dei suoi slogan era: «Contro tutti i partiti, contro tutti i corrotti!».
Il Rexismo basa dunque a sua politica su alcuni principi fondamentali, quali la lotta alla democrazia, considerata corruttrice della civiltà; la rinascita morale della società belga attraverso un recupero della recta via indicata dagli insegnamenti della chiesa; l'istituzione di una società corporativa fondata sul lavoro; la lotta totale alla corruzione e la promozione dell’etica secondo il motto «contro tutti i partiti, contro tutti i corrotti»; la lotta senza quartiere al «mostro rosso» e allo «squalo capitalista».
Inizialmente il Rexismo si diffuse prevalentemente tra i belgi francofoni, ma presto anche tra la componente fiamminga del piccolo regno si sviluppò un movimento analogo, il Vlaamsch-national-verbond (Vnv), che darà così al Rexismo un carattere compiutamente nazionale.
Il movimento Rex, divenuto partito a tutti gli effetti nel 1936, ottenne un ottimo risultato alle elezioni di quell'anno, ottenendo 21 seggi alla camera dei rappresentanti e 12 al senato. Parallelamente il Rexismo iniziò ad organizzare le sue forze paramilitari: la Legion Wallonie per la componente francofona e la Legioon Flanderm per quella fiamminga.
Degrelle e il Rexismo appoggiarono dunque la causa nazionalsocialista, in particolare aderendo alle Waffen SS e inviando migliaia di volontari per la crociata contro il bolscevismo (Operazione Barbarossa)*.
Dopo la sconfitta elettorale e il ritorno di un governo socialista-liberale, Degrelle e i rexisti furono condannati a morte per alto tradimento. Molti ripararono così all’estero. Proprio per questo suo collaborazionismo con le forze occupanti, fu posto fuori legge alla fine della guerra.
^Victor Matthys (20 marzo 1914 - 10 novembre 1947) E’ uno dei primi membri ad aderire al movimento. Nel 1936 Rexista. Matthys ha assunto la direzione del giornale del movimento, Le Pays Réel e nel maggio 1941 diverrà capo del partito quando Degrelle partirà per il fronte. E 'stato condannato a morte per collaborazionismo e giustiziato
^Victor Matthys (20 marzo 1914 - 10 novembre 1947) E’ uno dei primi membri ad aderire al movimento. Nel 1936 Rexista. Matthys ha assunto la direzione del giornale del movimento, Le Pays Réel e nel maggio 1941 diverrà capo del partito quando Degrelle partirà per il fronte. E 'stato condannato a morte per collaborazionismo e giustiziato
MANIFESTAZIONE REXSISTA
(in tedesco Unternehmen Barbarossa) è stata la denominazione in codice tedesca per l’ invasione dell’ Unione Sovietica; tale nome fu ispirato dalle gesta dell'imperatore Federico Barbarossa.
L'attacco, previsto originariamente per il 15 maggio 1941, venne posposto da Hitler prima al 27 dello stesso mese e successivamente e definitivamente al 22 giugno, a causa del colpo di stato anti-tedesco di Belgrado.
Fu la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi; il fronte orientale,, aperto con l'inizio dell'operazione, fu il più grande e importante teatro bellico dell'intera seconda guerra mondiale e vi si svolsero alcune tra le più grandi e sanguinose battaglie della storia. Nei quattro anni che seguirono l'apertura delle ostilità tra Germania ed Unione Sovietica.
Léon Joseph Marie Ignace Degrelle
Bouillon 15 Giugno 1906 –Màlaga 31 Marzo 1994
Léon Joseph Marie Degrelle (15 giugno 1906, Bouillon – 1 aprile 1994, Málaga) avvocato e politico belga, fu il fondatore del “Rexismo”, il movimento clerico-fascista belga, e in seguito combatté nel contingente vallone delle Waffen-SS. Al termine della Seconda guerra mondiale, fu una delle principali figure neofasciste europeee.
Degrelle nasce a Bouillon (Belgio) nel 1906, nello splendido borgo medievale che diede natali a Goffredo V, l’eroe condottiero della Iª Crociata; una rocca immersa nelle foreste delle Ardenne. Dopo un’adolescenza idilliaca negli splendidi scenari bucolici della sua regione natìa, la sua giovinezza è estremamente avventurosa. Assunto come reporter da un piccolo giornale, viaggia per il mondo, arriva anche negli Stati Uniti degli anni ‘30 di gangsters e proibizionismo, ma restando colpito soprattutto dal Messico e dalle vicende dei Cristeros, i cattolici massacrati in America Latina per la loro fede. Ne scriverà un importante reportage. Tornato in patria, da fervente studente cristiano, milita inizialmente nelle fila dell’Azione cattolica; nel 1935 fonda il movimento nazional-popolare “Rex”, caratterizzato dal misticismo cristiano e da una visione aristocratica e corporativa dello Stato; da qui la sostanziale adesione all’ideologia fascista di Degrelle. Alle elezioni legislative del 1936 riscuote un notevole successo, ottenendo ventuno deputati e dodici senatori; il movimento rexista possiede anche un proprio giornale, dal titolo Le Pays réel: tra i suoi obiettivi, fungere da sostegno spirituale per i militanti e da organo d’informazione politica.
Degrelle nasce a Bouillon (Belgio) nel 1906, nello splendido borgo medievale che diede natali a Goffredo V, l’eroe condottiero della Iª Crociata; una rocca immersa nelle foreste delle Ardenne. Dopo un’adolescenza idilliaca negli splendidi scenari bucolici della sua regione natìa, la sua giovinezza è estremamente avventurosa. Assunto come reporter da un piccolo giornale, viaggia per il mondo, arriva anche negli Stati Uniti degli anni ‘30 di gangsters e proibizionismo, ma restando colpito soprattutto dal Messico e dalle vicende dei Cristeros, i cattolici massacrati in America Latina per la loro fede. Ne scriverà un importante reportage. Tornato in patria, da fervente studente cristiano, milita inizialmente nelle fila dell’Azione cattolica; nel 1935 fonda il movimento nazional-popolare “Rex”, caratterizzato dal misticismo cristiano e da una visione aristocratica e corporativa dello Stato; da qui la sostanziale adesione all’ideologia fascista di Degrelle. Alle elezioni legislative del 1936 riscuote un notevole successo, ottenendo ventuno deputati e dodici senatori; il movimento rexista possiede anche un proprio giornale, dal titolo Le Pays réel: tra i suoi obiettivi, fungere da sostegno spirituale per i militanti e da organo d’informazione politica.
Nel 1940, dopo l’occupazione del Belgio da parte tedesca, il giovane Degrelle è fautore di un’intesa con la Germania che assicura la supremazia del movimento rexista. Nell’estate del 1941 costituisce una legione di volontari, perlopiù costituita dai giovani rexisti, e conduce la brigata Wallonie nell’operazione Barbarossa contro l’Unione Sovietica. Il comportamento dei valloni in battaglia è esemplare: l’ultimo reparto a ritirarsi, retroguardia della divisione Wiking, non cede fino a quando gli viene esplicitamente ordinato di ritirarsi; dei duemila volontari inizialmente costituenti la brigata Wallonie, alla fine dell’agosto 1944 ne restano appena un centinaio, che comunque bloccano l’avanzata sovietica verso Tallin; lo stesso Léon Degrelle resta ferito e, divenuto comandante della brigata, viene decorato con la «Croce di Ferro con foglie di quercia», l’unico non tedesco a ricevere questa medaglia. Finita la guerra, Léon Degrelle effettuerà un atterraggio di fortuna nelle spiagge basche della Spagna, avendo finito il carburante.
Si stabilisce a Malaga ottenendo asilo politico dal Governo Spagnolo filofascita di Francisco Franco. Con la Liberazione, Degrelle è chiamato in giudizio per tradimento e condannato a morte in contumacia. Le domande di estradizione non avranno esito positivo, perché Degrelle rinuncia alla nazionalità belga per prendere la nazionalità spagnola. Fino alla morte Degrelle esalterà i piani di Hitler e del regime nazionalsocialista. Convinto negazionista, negherà soprattutto l’esistenza e la materialità dell’olocausto e in generale la concretezza dei crimini contro l’umanità imputati al regime hitleriano. Muore in Spagna nel 1994.
Militante della gioventù cattolica belga, Leon Degrelle fu il fondatore del movimento Christus Rex, di ispirazione sociale fascista e di radici fortemente cattoliche e nazionaliste. A soli trent' anni era già 1' uomo politico più importante del Belgio, un autentico capo carismatico. Era il contatto con la gente, il fluido che emanava durante i comizi, quella voce, quei gesti, che consegnavano 1' uditorio nelle sue mani. "La politica è un atto d' amore", diceva, uno scambio di sensazioni tra il popolo ed il suo capo. Nel 1940 la Germania invase il Belgio e i Rexisti di
Degrelle cominciarono la guerra al fianco dei tedeschi. Per conservare l' indipendenza del Belgio e per poter dimostrare il valore di quella gente nella lotta al nemico comune: il comunismo.
Nel 1941 Degrelle creò la legione Vallonia, che nel '44 diverrà Waffen SS, e andò a combattere, da soldato semplice, sul fronte russo. 75 combattimenti corpo a corpo, ferito 7 volte, Degrelle si conquistò in breve la Croce di Ferro, il grado di Generale e 1' enorme ammirazione del popolo tedesco. "Partivo per primo all' assalto perché bisognava che i tedeschi sapessero che la gente del mio paese si batteva bene e perché la gente si batta bene il capo deve andare avanti. E quando si chiede a dei ragazzi di morire, bisogna essere pronti a morire per primi". Tutta la sua vita Degrelle 1' ha dedicata al sogno della realizzazione di un grande impero europeo dei popoli, avendo ad esempio il mondo delle Waffen SS, nelle quali si battevano, fianco a fianco, volontari di ogni parte d' Europa.
Degrelle cominciarono la guerra al fianco dei tedeschi. Per conservare l' indipendenza del Belgio e per poter dimostrare il valore di quella gente nella lotta al nemico comune: il comunismo.
Nel 1941 Degrelle creò la legione Vallonia, che nel '44 diverrà Waffen SS, e andò a combattere, da soldato semplice, sul fronte russo. 75 combattimenti corpo a corpo, ferito 7 volte, Degrelle si conquistò in breve la Croce di Ferro, il grado di Generale e 1' enorme ammirazione del popolo tedesco. "Partivo per primo all' assalto perché bisognava che i tedeschi sapessero che la gente del mio paese si batteva bene e perché la gente si batta bene il capo deve andare avanti. E quando si chiede a dei ragazzi di morire, bisogna essere pronti a morire per primi". Tutta la sua vita Degrelle 1' ha dedicata al sogno della realizzazione di un grande impero europeo dei popoli, avendo ad esempio il mondo delle Waffen SS, nelle quali si battevano, fianco a fianco, volontari di ogni parte d' Europa.
Dopo la sconfitta militare del Terzo Reich cominciò il suo esilio in Spagna, dove per molti anni, prima di morire il 3 1 marzo del '94, è rimasto guida spirituale per la gioventù nazional-popolare europea. Perché Degrelle incarna lo spirito (geist) e 1' ideale di vita guerriero. La bellezza della lotta, il coraggio di dedicare sé stessi ad un ideale, la lotta contro la stupidità e la vanità della vita di oggi, le sofferenze e i sacrifici che portano a gioie potenti. "Qui risiede la felicità: nel donarsi completamente". Questo l' insegnamento di Degrelle. Grandi il suo amore e la fiducia verso i giovani. La società di oggi rappresenta la massima caduta dei Valori e dei grandi Ideali, una società amorfa e mercantilista: proprio ai giovani, quei pochi che hanno un diverso stile di vita, che non cadono ammaliati dalle sirene ingannatrici della
società di oggi, quei pochi che hanno la volontà di diventare Uomini, Degrelle si rivolge, per la costruzione di un mondo nuovo: "una favilla di fuoco in un qualsiasi angolo del mondo e tutti i miracoli di grandezza diventano possibili" . Mai Degrelle rimpiangerà la sua dura giovinezza: "Scrivo vicino a un barile arrugginito, in fondo al quale galleggiano gli ultimi fili d'erba della nostra acqua ghiacciata. Questa povertà, questo isolamento, noi li conosciamo perché abbiamo voluto essere dei puri. E, ora più che mai, in questa solitudine in cui i corpi e i cuori si sentono invasi da un freddo mortale, io rinnovo i miei giuramenti di intransigenza. Ora più che mai, io camminerò diritto, senza cedere in nulla, senza venire a patti, duro verso la mia anima, duro verso i miei desideri, duro verso la mia giovinezza. Preferirei dieci anni di freddo, di abbandono, piuttosto che sentire un giorno la mia anima vuota, sgomenta dei suoi sogni morti. Scrivo senza tremare queste parole che pure mi fanno soffrire. Nell'ora della disfatta di un mondo, c'è bisogno di anime rudi ed elevate come rocce contro cui s' infrangeranno invano le onde scatenate." Un angelo-guerriero Leon Degrelle, un esempio per la nostra gioventù. ETSI MORTUUS URIT, seppur morto arde, è stato scritto sulla sua tomba.
Prima di morire Leon Degrelle pubblica dei libelli di argomento storico-politico; il più noto è Militia, il cui titolo originale era Les Ames qui brûlent (Le anime che bruciano).
società di oggi, quei pochi che hanno la volontà di diventare Uomini, Degrelle si rivolge, per la costruzione di un mondo nuovo: "una favilla di fuoco in un qualsiasi angolo del mondo e tutti i miracoli di grandezza diventano possibili" . Mai Degrelle rimpiangerà la sua dura giovinezza: "Scrivo vicino a un barile arrugginito, in fondo al quale galleggiano gli ultimi fili d'erba della nostra acqua ghiacciata. Questa povertà, questo isolamento, noi li conosciamo perché abbiamo voluto essere dei puri. E, ora più che mai, in questa solitudine in cui i corpi e i cuori si sentono invasi da un freddo mortale, io rinnovo i miei giuramenti di intransigenza. Ora più che mai, io camminerò diritto, senza cedere in nulla, senza venire a patti, duro verso la mia anima, duro verso i miei desideri, duro verso la mia giovinezza. Preferirei dieci anni di freddo, di abbandono, piuttosto che sentire un giorno la mia anima vuota, sgomenta dei suoi sogni morti. Scrivo senza tremare queste parole che pure mi fanno soffrire. Nell'ora della disfatta di un mondo, c'è bisogno di anime rudi ed elevate come rocce contro cui s' infrangeranno invano le onde scatenate." Un angelo-guerriero Leon Degrelle, un esempio per la nostra gioventù. ETSI MORTUUS URIT, seppur morto arde, è stato scritto sulla sua tomba.
Prima di morire Leon Degrelle pubblica dei libelli di argomento storico-politico; il più noto è Militia, il cui titolo originale era Les Ames qui brûlent (Le anime che bruciano).
Il titolo della prima parte la dice lunga: «I cuori vuoti», la decadenza del mondo moderno è descritta nelle pagine di questo primo capitolo pieno di domande rivolte a se stesso e al lettore, indice della totale malinconia ancorata nel cuore di Degrelle; aveva sognato «un secolo di cavalieri, forti e nobili» invece si ritrova stordito col suo «carico di sogni tramontati».
Nel secondo capitolo denuncia che «i giardini interiori dell’uomo hanno perduto i loro colori e i loro canti di uccelli». L’unico rimedio alla morte dell’Uomo è il sacrificio che per Degrelle coincide con l’amore. Sostiene che «la felicità esiste solo nel dono, nel dono completo; il suo disinteresse gli conferisce sapori d’eternità», il donarsi completamente è l’unico amore, l’unico che possa dare la felicità eterna; Degrelle dice esplicitamente che l’arte del dono rende dolorosa la vita terrena, ma la cosa più importante è essere puri nel cuore e agire con amore, sempre e comunque. Dobbiamo prendere esempio dai Santi, i quali ci dimostrano che «la perfezione è accessibile a tutti», con una lenta ma inesorabile vittoria sulle debolezze umane; quando riusciremo a controllare noi stessi avremo la forza di comandare gli altri - un po’ come la Grande Guerra Santa di Julius Evola.
Nel dodicesimo e nel tredicesimo capitolo Degrelle ha uno sfogo religioso e chiede perdono a Gesù per l’indifferenza degli uomini verso il dolore da lui provato sulla croce. Tuttavia pone all’uomo una natura d’origine divina, e per tanto non dà per scontato il fallimento della conversione ai valori spirituali
Leon Degrelle
Tratto da un’intervista nella sua casa di Malaga.
“Noi (…) eravamo soldati che proiettavano nella lotta le loro idee, e che si preparavano alla costruzione dell’Europa. Ma questa concezione dell’Europa non è arrivata subito (…). È stata la guerra che, spingendo i Tedeschi fuori dal proprio Paese ha fatto capire loro cosa succedeva negli altri Paesi. Ha fatto anche sì che negli altri Paesi vedessero i Tedeschi e potessero rendersi conto di cosa fossero, e che eravamo tutti degli europei, nonostante tutte le lotte e gli odi eravamo tutti la stessa gente (…). C’era il grande motore germanico, la Germania è nel centro dell’Europa, è un Paese che ha il senso dell’organizzazione, del lavoro, della perfezione, vi stava benissimo come elemento trainante. Ma accanto esisteva tutto questo meraviglioso mondo occidentale e la sua civiltà bimillenaria. Che cos’era Berlino con i maiali che camminavano nella sabbia della strada, mentre Parigi era uno dei centri maggiori dell’universo, 1500 anni dopo che Roma era stata la capitale del Mondo? Era evidente che questo progetto germanico da solo non avrebbe mai potuto fare l’Europa, aveva bisogno del grande sostegno occidentale, ed è lì che ho concentrato i miei sforzi, per far risorgere una grande unità occidentale da unire al centro Europa ma anche all’universo mondo slavo (…). Questo è sempre stato il mio progetto (…). L’Europa dal Mare del Nord fino a Vladivostok. Un’Europa che avrebbe dato ai giovani di oggi qualsiasi possibilità, un’Europa di 10000 Km di estensione per le attività di tutta la gioventù, invece di avere, come oggi, 16 milioni di disoccupati nel mercato comune. Tutti questi giovani avrebbero potuto realizzare qualsiasi cosa passasse loro per la testa (…).
Chiaramente, noi abbiamo perso la guerra non perché ci mancasse coraggio; per quattro anni l’epopea dell’Europa sul fronte russo è stata la più grande avventura militare della storia. Anche questo è incredibile, che la gente non dia importanza ad un fatto del genere (…), che per quattro anni ci sia stato un fronte favoloso, di 3000 Km di lunghezza, una lotta che ha messo di fronte decine di milioni di uomini; il caso delle Waffen SS, un esercito di un milione di volontari, non si era mai vista una cosa simile. Di questo non se ne parla, né dell’eroismo inaudito che è stato dimostrato. Si pensi solo al percorso da Stalingrado a Berlino; abbiamo resistito 1000 giorni, 1000 giorni resistendo palmo a palmo, sacrificio dopo sacrificio, centinaia di migliaia di uomini che
morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: “Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io”. Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: “Siete stati veramente bravi, grazie!” (…). Si dice sempre: “Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?”. Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei
tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: “Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?”. Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: “Ma non siamo numerosi”, ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande
volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: “Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili.” Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!”.
morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: “Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io”. Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: “Siete stati veramente bravi, grazie!” (…). Si dice sempre: “Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?”. Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei
tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: “Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?”. Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: “Ma non siamo numerosi”, ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande
volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: “Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili.” Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!”.
Da Azione e Tradizione
APPELLO AI GIOVANI EUROPEI
In esilio, l '8 agosto '92.
AI GIOVANI EUROPEI
Leon Degrelle
In esilio, l '8 agosto '92.
AI GIOVANI EUROPEI
Leon Degrelle
Contro i buffoni democratici Anche noi avemmo l'età di 20 anni. Quei giorni non rinverdiranno più, pur vibrando i nostri animi ed i nostri cuori finora delle idee e degli slanci spirituali che ancora infiammano, indubbiamente, anche voi, giovani camerati nostri europei d'oggigiorno.
Ferventi nazionalisti, noi sconvolgemmo - fin nel più intimo della sua coscienza - l'animo della nostra Patria, volendo recuperarla dai pantani politici, in cui stava soffocando, restituirle fiducia nella sua missione, rimettere ordine nelle sue istituzioni, ristabilire la giustizia sociale nel quadro di un'indissolubile collaborazione delle classi e realizzare soprattutto la rivoluzione degli animi che avrebbe liberato gli uomini del materialismo assillante. Nel giugno '41, poi, echeggiando le scampanate da un campanile all'altro, schioccò l'ora delle grandi possibilità europee.
Soldato semplice prima, in seguito - caporale, sergente, ufficiale e poi Comandante la 28a Divisione Waffen SS Vallonia, come centinaia di migliaia di volontari del vecchio continente nostro, contribuii, sul fronte Est, alla creazione - inizialmente poco compresa, pur essendo inevitabile - d'un'Europa che avrebbe federato delle forze diverse, eppure reciprocamente complementari delle nostre Patrie, minacciate allora di morte dal comunismo sovietico, il quale sin dal 1917 accanitamente aspirava a far passare sotto il suo knut tutti i popoli del mondo intero.
Dapprima, certo, noi tutti, combattenti non tedeschi, eravamo molto differenti da un Paese all'altro:
spagnoli, norvegesi, francesi, bosniaci, neerlandesi, estoni; le dure prove e le sofferenze sostenute, però, ci ravvicinarono rapidamente a vicenda, sigillando poi la nostra unità. ....
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