sabato 31 marzo 2018

A GAZA LA PASQUA GRONDA DI SANGUE INNOCENTE

 
Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”.
-- David Ben-Gurion, Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore. 

 Da: Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978.
Confiscare le terre, distruggere le loro coltivazioni, un messaggio attuale dei capi sionisti......

 
Ennesimo massacro di Palestinesi lungo il confine della Striscia di Gaza sotto blocco da dieci anni
 
Marcia palestinesi per il Grande ritorno
 
di Luciano Lago
 
Diversi morti, almeno 14/15, oltre a centinaia di feriti negli scontri IDF-Palestinesi alla protesta per la marcia per il “Grande Ritorno”
Almeno 14 persone o forse di più sono morte e più di 600 altre sono state ferite durante gli scontri tra i manifestanti palestinesi e le truppe israeliane lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele, secondo quanto riportato dai media locali.

Il ministero della Sanità palestinese ha riportato che le vittime sono state colpite dal fuoco dei soldati  israeliani mentre centinaia di persone stavano dimostrando venerdì pomeriggio. Le truppe dell’IDF, appoggiate da blindati, carri armati ed elicotteri,  hanno sparato proiettili reali, oltre a pallottole di gomma  e gas lacrimogeni contro i manifestanti fra cui donne, vecchi e bambini,  durante le manifestazione che era in corso.

Migliaia di palestinesi si erano radunati  lungo il confine di Gaza con la Palestina occupata per una protesta pacifica che prevedeva la marcia per il  “Grande Ritorno”, una manifestazione che dovrebbe durare per sei settimane. La protesta  è iniziata venerdì mentre le organizzazioni  palestinesi hanno organizzato una marcia in  per commemorare la “Giornata della Terra”, che segna l’uccisione di sei civili disarmati da parte delle forze israeliane nel 1976 e la confisca delle terre palestinesi. Vedi video: RT News
Hamas ha comunicato che ben 100.000 palestinesi prendono parte alla massiccia manifestazione di questo venerdì. La protesta coincide con la settimana ebraica della Pasqua ebraica, che porta regolarmente ad un aumento delle tensioni nella già instabile regione.
Le manifestazioni della durata di sei settimane chiedono il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi in quello che attualmente è il territorio occupato da Israele. Le proteste dovrebbero culminare a maggio, mentre Israele celebra il 70 ° anniversario della sua indipendenza, che i palestinesi chiamano “Nakba” (castastrofe).
Marcia palestinesi 30 Marzo 2018
I manifestanti reclamano fra l’altro la fine del blocco militare in cui è chiusa la popolazione della striscia (circa 1 milione e 750.000 persone) da ormai dieci anni e che sopporta la carenza di generi di prima necessità, di medicinali, di acqua potabile, di alimenti. I malati gravi impossibilitati ad uscire dalla striscia per avere le cure. Una situazione drammatica che anche l’ONU ha descritto come emergenza umanitaria ed ha richiesto più volte la fine del blocco. Richiesta sempre ignorata dalle autorità israeliane.
Le così dette “città delle tende” sono state create da attivisti palestinesi, sostenuti da fazioni di Fatah e Hamas, in cinque località lungo il confine. Sono dotati di strutture mediche, zone multimediali, servizi igienici portatili, acqua corrente ed elettricità.
Le autorità militari israeliane erano preparate a reprimere le proteste:
“Abbiamo schierato più di 1000 unità delle forze di sicurezza, che sono stati convocate da tutti i reparti militari, in primo luogo dalle forze speciali”, ha detto il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, riferisce Ynet . “Se le vite sono in pericolo, c’è il permesso di aprire il fuoco”. Non risulta tuttavia che le vite dei militari israeliani fossero messe in pericolo, visto che i manifestanti erano tutti disarmati.

Un funzionario di Hamas ha avvertito che ci sarà una reazione a qualsiasi provocazione israeliana. “Non vogliamo vedere un bagno di sangue, soltanto una protesta silenziosa”, ha detto a Israele Hayom, avvertendo che “se ci saranno provocazioni israeliane e se Israele colpirà deliberatamente i manifestanti o il nostro popolo, faremo una dura risposta”.
Tiratori scelti israliani contro i palestinesi in marcia
Ancora una volta Israele ignora ogni appello e opera con il pugno di ferro contro la popolazione palestinese. Fatto questo che non potrà non avere drammatiche conseguenze nel prossimo periodo.
Le proteste palestinesi sono anche un messaggio per l’Amministrazione di Donald Trump che ha voluto riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, revocando lo status speciale, internazionalmente riconosciuto, per la Città santa per le tre religioni monoteiste.
La mossa di Trump ha procurato al presidente il plauso del Governo di Tel Aviv e di tutte le organizzazioni sioniste degli USA ma ha incrementato ancora di più la rabbia della popolazione palestinese contro gli stati Uniti e contro l’occupazione israeliana delle terre palestinesi.

Marcia dei palestinesi
Diversi morti, almeno 14/15, oltre a centinaia di feriti negli scontri IDF-Palestinesi alla protesta per la marcia per il “Grande Ritorno”
Almeno 14 persone o forse di più sono morte e più di 600 altre sono state ferite durante gli scontri tra i manifestanti palestinesi e le truppe israeliane lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele, secondo quanto riportato dai media locali.
Il ministero della Sanità palestinese ha riportato che le vittime sono state colpite dal fuoco dei soldati  israeliani mentre centinaia di persone stavano dimostrando venerdì pomeriggio. Le truppe dell’IDF, appoggiate da blindati, carri armati ed elicotteri,  hanno sparato proiettili reali, oltre a pallottole di gomma  e gas lacrimogeni contro i manifestanti fra cui donne, vecchi e bambini,  durante le manifestazione che era in corso.

Migliaia di palestinesi si erano radunati  lungo il confine di Gaza con la Palestina occupata per una protesta pacifica che prevedeva la marcia per il  “Grande Ritorno”, una manifestazione che dovrebbe durare per sei settimane. La protesta  è iniziata venerdì mentre le organizzazioni  palestinesi hanno organizzato una marcia in  per commemorare la “Giornata della Terra”, che segna l’uccisione di sei civili disarmati da parte delle forze israeliane nel 1976 e la confisca delle terre palestinesi. Vedi video: RT News
Hamas ha comunicato che ben 100.000 palestinesi prendono parte alla massiccia manifestazione di questo venerdì. La protesta coincide con la settimana ebraica della Pasqua ebraica, che porta regolarmente ad un aumento delle tensioni nella già instabile regione.
Le manifestazioni della durata di sei settimane chiedono il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi in quello che attualmente è il territorio occupato da Israele. Le proteste dovrebbero culminare a maggio, mentre Israele celebra il 70 ° anniversario della sua indipendenza, che i palestinesi chiamano “Nakba” (castastrofe).
Marcia palestinesi 30 Marzo 2018
I manifestanti reclamano fra l’altro la fine del blocco militare in cui è chiusa la popolazione della striscia (circa 1 milione e 750.000 persone) da ormai dieci anni e che sopporta la carenza di generi di prima necessità, di medicinali, di acqua potabile, di alimenti. I malati gravi impossibilitati ad uscire dalla striscia per avere le cure. Una situazione drammatica che anche l’ONU ha descritto come emergenza umanitaria ed ha richiesto più volte la fine del blocco. Richiesta sempre ignorata dalle autorità israeliane.
Le così dette “città delle tende” sono state create da attivisti palestinesi, sostenuti da fazioni di Fatah e Hamas, in cinque località lungo il confine. Sono dotati di strutture mediche, zone multimediali, servizi igienici portatili, acqua corrente ed elettricità.
Le autorità militari israeliane erano preparate a reprimere le proteste:
“Abbiamo schierato più di 1000 unità delle forze di sicurezza, che sono stati convocate da tutti i reparti militari, in primo luogo dalle forze speciali”, ha detto il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, riferisce Ynet . “Se le vite sono in pericolo, c’è il permesso di aprire il fuoco”. Non risulta tuttavia che le vite dei militari israeliani fossero messe in pericolo, visto che i manifestanti erano tutti disarmati.
Un funzionario di Hamas ha avvertito che ci sarà una reazione a qualsiasi provocazione israeliana. “Non vogliamo vedere un bagno di sangue, soltanto una protesta silenziosa”, ha detto a Israele Hayom, avvertendo che “se ci saranno provocazioni israeliane e se Israele colpirà deliberatamente i manifestanti o il nostro popolo, faremo una dura risposta”.
Tiratori scelti israliani contro i palestinesi in marcia
Ancora una volta Israele ignora ogni appello e opera con il pugno di ferro contro la popolazione palestinese. Fatto questo che non potrà non avere drammatiche conseguenze nel prossimo periodo.
Le proteste palestinesi sono anche un messaggio per l’Amministrazione di Donald Trump che ha voluto riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, revocando lo status speciale, internazionalmente riconosciuto, per la Città santa per le tre religioni monoteiste.
La mossa di Trump ha procurato al presidente il plauso del Governo di Tel Aviv e di tutte le organizzazioni sioniste degli USA ma ha incrementato ancora di più la rabbia della popolazione palestinese contro gli stati Uniti e contro l’occupazione israeliana delle terre palestinesi.
Marcia dei palestinesi
Carri armati di Israele contro i palestinesi
FONTE: https://www.controinformazione.info/ennesimo-massacro-di-palestinesi-lungo-il-confine-della-striscia-di-gaza-sotto-blocco-da-dieci-anni/

giovedì 29 marzo 2018

"SCUOLA DI GENDER" A TRIESTE ? NO GRAZIE

 

I professori di Trieste adesso vanno a lezione di gender

Un evento sul gender come corso di formazione per i docenti del triestino. Ecco chi sono i relatori dell'iniziativa che potrebbe far discutere

Il prossimo venti di aprile, infatti, l'istituto comprensivo San Giovanni ospiterà un convegno curato dal Centro studi per la scuola pubblica (Cesp) in collaborazione con la Rete educare alle differenze Trieste (Red). Il titolo è "Che genere di scuola?"
E fin qui, nulla di particolarmente discutibile. Quello che viene rilevato, però, è la presunta mancanza di imparzialità sul tema dei relatori previsti. Sergia Adamo, ad esempio, è una professoressa dell'Università triestina che ha intervista Judith Butler, la stessa che Giuliano Guzzo su La Verità ha definito "guru mondiale del pensiero gender". "Il genere - ha dichiarato in passato la Butler - è una costruzone culturale; di conseguenza non è il risultato casuale del sesso, né tanto apparentemente fisso come il sesso". La filosofa post-strutturalista statunitense, insomma, è una delle principali sostenitrici della necessità di una messa in discussione della nozione classica e pacifica di genere.
Poi c'è Margherita Bottino, che tratterà invece il tema dell'omofobia. La psicologa e psicoterapeuta ha scritto a quattro mani un libro con Daniela Danna. Il titolo è "La gaia famiglia", pubblicato da Asterios nel 2005. Diventano deducibili, quindi, le sue posizioni in materia di identità di genere. E ancora Yàdad De Guerre, che si soffermerà a parlare del carattere "reazionario" di chi contesta la diffusione dell'ideologia gender. Quello che scandalizza alcuni, insomma, è che questo evento possa essere considerato oggetto di formazione per i docenti. Alla base del convegno ci sarebbe la promozione di una teoria specifica e mancherebbe, d'altro canto, la possibilità di confrontarsi attraverso la presentazione di un contro-pensiero.
Poi sarà la volta di Daniele Paci, che sarebbe la responsabile del "Gioco del rispetto", un progetto scolastico "contro gli stereotipi" che è stato ritirato dalle scuole. Sembrerebbe che i bambini, all'interno del "gioco", potessero scegliere di vestirsi con abiti destinati al sesso opposto. Maschietti con i tacchi? Il tutto dentro una vera e propria "stanza del travestimento". Infine, l'ultimo intervento di Davide Zotti, un professore - si legge sempre su La Verità - che sarebbe stato sanzionato in passato dall'ufficio scolastico del Friuli Venezia Giulia per via della rimozione del crocifisso dall'aula e per aver rilasciato dichiarazioni sufficienti a "pregiudicare l'immagine dell'amministrazione e la sua neutralità istituzionale".
"Il Convegno - si legge qui - è organizzato dal CESP, Centro Studi per la Scuola Pubblica, in collaborazione con RED, Rete Educare alle Differenze Trieste. Il CESP è Ente accreditato per la formazione/aggiornamento di tutto il personale della scuola (D.M. 25/07/06 prot.869 e CIRC. MIUR PROT. 406 DEL 21/02/06-Direttiva 170/2016-MIUR)". La partecipazione all'evento, quindi, oltre a dare diritto all'esonero dal servizio dovrebbe rilasciare crediti formativi. Può il gender essere oggetto di formazione? Questa la domanda che alcuni si pongono in queste ore.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-professori-trieste-adesso-vanno-lezione-gender-1510423.html



 
 

mercoledì 28 marzo 2018

GRAZIE, GENERALE !

 
 "La felicità esiste solo nel dono, nel dono completo; il suo disinteresse gli conferisce sapori d'eternità; esso ritorna alle labbra dell'anima con una soavità immortale. Donare! Aver visto occhi che brillano per essere stati compresi, colpiti, appagati! Donare! Sentire le grandi onde di felicità che fluttuano come acque danzanti su di un cuore pavesato all'improvviso di sole! Donare! Aver colto le fibre segrete che tessono i misteri della sensibilità! Donare! Avere il gesto che consola, che toglie alla mano il suo peso di carne, che consuma il bisogno di essere amato!"
LEON DEGRELLE

LEON DEGRELLE

"Un grande ideale dà sempre la forza di dominare il proprio corpo, 
di soffrire la fatica, la fame, il freddo.
Che importano le notti bianche, il lavoro opprimente, gli affanni o la povertà!"

 
Léon Joseph Marie DEGRELLE
(15 giugno 1906, Bouillon – 1 aprile 1994, Málaga)
L’essenziale è avere in fondo al proprio cuore una grande forza che rianima e spinge avanti, che rinsalda i nervi, che fa pulsare a forti battiti il sangue stanco, che infonde negli occhi il fuoco ardente e conquistatore.
Allora più nulla dà sofferenza, il dolore stesso diviene gioia perchè esso è un mezzo di più per elevare il suo dono, per purificare il suo sacrificio.”
Leon Degrelle, Militia

Léon Joseph Marie Degrelle (15 giugno 1906, Bouillon – 1 aprile 1994, Málaga) avvocato e politico belga, fu il fondatore del “Rexismo”, il movimento clerico-fascista belga, e in seguito combatté nel contingente vallone delle Waffen-SS. Al termine della Seconda guerra mondiale, fu una delle principali figure neofasciste europeee.
Degrelle nasce a Bouillon (Belgio) nel 1906, nello splendido borgo medievale che diede natali a Goffredo V, l’eroe condottiero della Iª Crociata; una rocca immersa nelle foreste delle Ardenne. Dopo un’adolescenza idilliaca negli splendidi scenari bucolici della sua regione natìa, la sua giovinezza è estremamente avventurosa. Assunto come reporter da un piccolo giornale, viaggia per il mondo, arriva anche negli Stati Uniti degli anni ‘30 di gangsters e proibizionismo, ma restando colpito soprattutto dal Messico e dalle vicende dei Cristeros, i cattolici massacrati in America Latina per la loro fede. Ne scriverà un importante reportage. Tornato in patria, da fervente studente cristiano, milita inizialmente nelle fila dell’Azione cattolica; nel 1935 fonda il movimento nazional-popolare “Rex”, caratterizzato dal misticismo cristiano e da una visione aristocratica e corporativa dello Stato; da qui la sostanziale adesione all’ideologia fascista di Degrelle. Alle elezioni legislative del 1936 riscuote un notevole successo, ottenendo ventuno deputati e dodici senatori; il movimento rexista possiede anche un proprio giornale, dal titolo Le Pays réel: tra i suoi obiettivi, fungere da sostegno spirituale per i militanti e da organo d’informazione politica.

Nel 1940, dopo l’occupazione del Belgio da parte tedesca, il giovane Degrelle è fautore di un’intesa con la Germania che assicura la supremazia del movimento rexista. Nell’estate del 1941 costituisce una legione di volontari, perlopiù costituita dai giovani rexisti, e conduce la brigata Wallonie nell’operazione Barbarossa contro l’Unione Sovietica. Il comportamento dei valloni in battaglia è esemplare: l’ultimo reparto a ritirarsi, retroguardia della divisione Wiking, non cede fino a quando gli viene esplicitamente ordinato di ritirarsi; dei duemila volontari inizialmente costituenti la brigata Wallonie, alla fine dell’agosto 1944 ne restano appena un centinaio, che comunque bloccano l’avanzata sovietica verso Tallin; lo stesso Léon Degrelle resta ferito e, divenuto comandante della brigata, viene decorato con la «Croce di Ferro con foglie di quercia», l’unico non tedesco a ricevere questa medaglia. Finita la guerra, Léon Degrelle effettuerà un atterraggio di fortuna nelle spiagge basche della Spagna, avendo finito il carburante.

Si stabilisce a Malaga ottenendo asilo politico dal Governo Spagnolo filofascita di Francisco Franco. Con la Liberazione, Degrelle è chiamato in giudizio per tradimento e condannato a morte in contumacia. Le domande di estradizione non avranno esito positivo, perché Degrelle rinuncia alla nazionalità belga per prendere la nazionalità spagnola. Fino alla morte Degrelle esalterà i piani di Hitler e del regime nazionalsocialista. Convinto negazionista, negherà soprattutto l’esistenza e la materialità dell’olocausto e in generale la concretezza dei crimini contro l’umanità imputati al regime hitleriano. Muore in Spagna nel 1994.



Leon Degrelle
Tratto da un’intervista nella sua casa di Malaga.

“Noi (…) eravamo soldati che proiettavano nella lotta le loro idee, e che si preparavano alla costruzione dell’Europa. Ma questa concezione dell’Europa non è arrivata subito (…). È stata la guerra che, spingendo i Tedeschi fuori dal proprio Paese ha fatto capire loro cosa succedeva negli altri Paesi. Ha fatto anche sì che negli altri Paesi vedessero i Tedeschi e potessero rendersi conto di cosa fossero, e che eravamo tutti degli europei, nonostante tutte le lotte e gli odi eravamo tutti la stessa gente (…). C’era il grande motore germanico, la Germania è nel centro dell’Europa, è un Paese che ha il senso dell’organizzazione, del lavoro, della perfezione, vi stava benissimo come elemento trainante. Ma accanto esisteva tutto questo meraviglioso mondo occidentale e la sua civiltà bimillenaria. Che cos’era Berlino con i maiali che camminavano nella sabbia della strada, mentre Parigi era uno dei centri maggiori dell’universo, 1500 anni dopo che Roma era stata la capitale del Mondo? Era evidente che questo progetto germanico da solo non avrebbe mai potuto fare l’Europa, aveva bisogno del grande sostegno occidentale, ed è lì che ho concentrato i miei sforzi, per far risorgere una grande unità occidentale da unire al centro Europa ma anche all’universo mondo slavo (…). Questo è sempre stato il mio progetto (…). L’Europa dal Mare del Nord fino a Vladivostok. Un’Europa che avrebbe dato ai giovani di oggi qualsiasi possibilità, un’Europa di 10000 Km di estensione per le attività di tutta la gioventù, invece di avere, come oggi, 16 milioni di disoccupati nel mercato comune. Tutti questi giovani avrebbero potuto realizzare qualsiasi cosa passasse loro per la testa (…).

Chiaramente, noi abbiamo perso la guerra non perché ci mancasse coraggio; per quattro anni l’epopea dell’Europa sul fronte russo è stata la più grande avventura militare della storia. Anche questo è incredibile, che la gente non dia importanza ad un fatto del genere (…), che per quattro anni ci sia stato un fronte favoloso, di 3000 Km di lunghezza, una lotta che ha messo di fronte decine di milioni di uomini; il caso delle Waffen SS, un esercito di un milione di volontari, non si era mai vista una cosa simile. Di questo non se ne parla, né dell’eroismo inaudito che è stato dimostrato. Si pensi solo al percorso da Stalingrado a Berlino; abbiamo resistito 1000 giorni, 1000 giorni resistendo palmo a palmo, sacrificio dopo sacrificio, centinaia di migliaia di uomini che morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: “Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io”. Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: “Siete stati veramente bravi, grazie!” (…). Si dice sempre: “Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?”. Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: “Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?”. Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: “Ma non siamo numerosi”, ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: “Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili.” Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!”.

da Azione e Tradizione



...rispetto del popolo e volontà di giustizia sociale si alleavano, nell'”ideale fascista”, alla volontà di restaurare l'ordine nello Stato e la continuità nel servizio alla nazione (...)la gioventù respingeva la mediocrità dei politicanti di professione, menti ristrette ridondanti, senza formazione, senza cultura, elettoralmente appoggiati alle bettole o a semi notabili (…) questa gioventù voleva vivere qualcosa di grande di puro..
(Léon Degrelle)












 
 

LEON DEGRELLE

LEON DEGRELLE
in visita al comando dell'aviazione del C.S.I.R. nell'estate 1942
 
 

 
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domenica 25 marzo 2018

SULLA FELICITA'

 
Celebrare la Felicità rende l'uomo infelice
       
 La Giornata della Memoria, la Giornata del Ricordo, la Giornata della Donna, la Giornata della Famiglia, la Giornata dell’Amicizia, la Giornata dei Single, la Giornata dei Poveri, la Giornata del Malato, la Giornata dei Disturbi alimentari, la Giornata del Sonno, la Festa della Mamma, la Festa del Papà, la Festa dei Nonni, la Giornata dell’Orecchio. Questi sono inesausti. Ma è mai possibile che non ci sia un solo giorno dell’anno in cui si possa stare tranquilli, senza ricordare o festeggiare qualcosa o qualcuno? Se non fosse una contraddizione in termini, e ammesso che rimanga un qualche interstizio, istituirei una ‘Giornata del Nulla’ (in fondo anche Dio il settimo giorno si riposò) in cui non pensare a nulla o magari riflettere su chi siamo o, come singoli e società, dove stiamo andando.
Oggi, 20 marzo, ci tocca la Giornata internazionale della Felicità. Se c’è una celebrazione idiota è questa. Felicità è una parola proibita che non dovrebbe essere mai pronunciata. Sono stati gli americani, col loro consueto e ottuso ottimismo, ad avere l’ardire di inserire nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 “il diritto alla ricerca della felicità”, che però è stato quasi subito tradotto dall’edonismo straccione contemporaneo in un vero e proprio ‘diritto alla felicità’. Diritti di questo genere non esistono. “Esiste, in rari momenti della vita di un uomo, un rapido lampo, un attimo fuggente e sempre rimpianto, che chiamiamo felicità. Non un suo diritto” (Cyrano, se vi pare…). Come, forse, esiste l’amore (che, a parer mio, è un disturbo psicosomatico che la Natura si è intelligentemente inventato per favorire ciò che più le interessa: l’accoppiamento fra due esseri di sesso diverso e quindi la filiazione, ma lasciamo perdere questa tasto oggi particolarmente dolente). Ma certamente non esiste un ‘diritto all’amore’. Sono sentimenti e, come tali, non possono appartenere al giuridico. Del resto nonostante generazioni di filosofi si siano estenuati nel cercare di definire quale sia l’essenza della felicità o dell’amore o anche del denaro non ne hanno cavato un ragno dal buco (l’accostamento al denaro non paia azzardato perché si tratta in tutti e tre i casi di astrazioni, anche se possono avere, e hanno, ricadute molto concrete).
Postulare un ‘diritto alla felicità’ significa rendere l’uomo, per ciò stesso, infelice. “Felice in tutto nessuno è mai” dice Orazio nelle Odi (ma leggetevi, esimi colleghi, un po’ di classici, invece di ricavare improbabili citazioni da internet fingendo di avere una cultura che non possedete). E poiché quel che ci manca non ha limiti non si può essere “felici mai”. Solo la Superintelligenza illuminista, dei Kant, degli Hegel and company, poteva attingere a simili livelli di cretineria.
Naturalmente i think tank del World Happiness Report 2018 per valutare l’invalutabile, la felicità, ricorrono a criteri quantitativi e sociologici. Davanti a tutti c’è l’onnipresente Pil, seguito da speranza di vita, libertà, sostegno sociale, assenza di corruzione. Al primo posto di queste classifiche ci sono i Paesi nordici, Finlandia, Norvegia, Danimarca. Bisognerebbe che i think tank del World Happiness Report ci spiegassero come mai questi stessi Paesi, ben ordinati, regolati ‘dalla culla alla tomba’, hanno il più alto tasso di suicidi, maggiore di Paesi sgarrupati come il Venezuela, le Filippine, l’Honduras. Di questa apparente aporia mi ero già accorto quando scrivevo La Ragione aveva Torto? (1985) notando che in Italia i tassi di suicidio più alti appartenevano alle regioni del Nord, benestanti e industrializzate. Dati confermati da statistiche più recenti: Lombardia 5,0% di suicidi (per 100 mila abitanti), Piemonte 5,3%, Veneto 6,5%, Emilia-Romagna 6,3%, Campania 2,4%, Puglia 2,9%, Calabria 4,5%. Se si vuole il dato più sconcertante è quello dell’Emilia-Romagna che al tempo in cui scrivevo La Ragione, ottimamente governata dai comunisti, esprimeva il maggior benessere riscontrabile nel nostro Paese.
Naturalmente il suicidio non è che la punta dell’iceberg di un malessere molto più generale perché, per fortuna o purtroppo (dipende dai punti di vista, l’elogio del suicidio lo faremo in altra occasione), solo una minima parte di coloro che si sentono a disagio in una società si toglie la vita. Che il benessere crei il malessere è confermato dai classici studi di Durkheim (Il suicidio) il quale osserva che durante una guerra crollano quasi a zero le depressioni, le nevrosi e quindi anche i suicidi. Quando si lotta per la vita e per la morte non si ha il tempo per sentirsi infelici. Si ha ben altro cui pensare (parlo naturalmente delle guerre d’antan, non di quelle moderne, occidentali, in cui predomina la tecnologia togliendo così alla guerra, oltre alla sua epica, anche quei valori positivi, umani, che pur aveva).
Quando ci si annoia in una vita cullata dal benessere è allora che si aprono gli abissi degli enigmi esistenziali, irrisolvibili. E’ quindi il disordine e non l’ordine a dare vitalità a quel personaggio complicato e ambiguo che è l’essere umano.
 
Massimo Fini
 
 

martedì 20 marzo 2018

A DIEGO ED ENRICO, QUEI RAGAZZI CHE (QUASI) NESSUNO RICORDA

 

ENRICO E DIEGO, PRESENTI !


Alessandria 24.03.1985 - Tutte le strade, principali e secondarie, di accesso alla città di Alessandria, in Piemonte, erano sorvegliate dalle forze dell’ordine sia per l’arrivo dei rappresentanti del Governo Craxi, il Ministro del Tesoro, Giovanni Giuseppe Goria, e il Ministro del Bilancio, Pier Luigi Romita, sia per le manifestazioni di protesta antinucleare nel Comune di Trino Vercellese. Quattro militanti, Andrea Cosso, 23 anni, Diego Macciò, 22 anni, Enrico Ferrero e Raffaella Furiozzi 19 anni, del gruppo “Vento del Nord”, organizzazione di filiazione giovanile degli Arditi d’Italia, ricostituita a Torino nel 1975 con sede in via Verdi, viaggiavano su una Fiat 127 di colore bianca, regolarmente intesta ad Andrea Cosso,
provenienti da Roma, sull’autostrada Torino - Piacenza. Raggiunto il casello di San Michele di Alessandria ovest, decisero di lasciare l’autostrada per risparmiare denaro.
Erano le 8 e 40 circa quando l’autovettura fu fermata da un posto di blocco della Polizia per un normale controllo. A bordo, sui sedili anteriori, Andrea Cosso e Diego Macciò, sui sedili posteriori, invece, Enrico Ferrero e Raffaella Furiozzi, fidanzata di Macciò. L’agente di pubblica sicurezza, Maurillo Pastorino, si avvicinò per chiedere i documenti e successivamente si avviò nell’auto di servizio per controllare i nomi con la Centrale Operativa. Dal calcolatore, fu evidente che il guidatore, Andrea Cosso, aveva pendenze con i Nuclei Armati Rivoluzionari. L’agente Pastorino ritornò verso la macchina ma tenendosi al centro del piazzale. A quel punto la situazione precipitò. Dallo sportello di sinistra uscì Andrea Cosso che tentò di sparare con la sua pistola 7,65 ma il carrello si inceppò. Caricò nuovamente e colpi l’agente Pastorino alla gamba che cadde. Da terra, Pastorino, rispose al fuoco ferendo, non gravemente, Andrea Cosso, ma uccidendo sul colpo Diego Macciò mentre scendeva dallo sportello di destra. Intanto gli altri due agenti di pubblica sicurezza, posizionati sul retro dell’autovettura, iniziarono a sparare con le mitragliette riducendo in brandelli Enrico Ferrero che tentava di scende dalla macchina. Sul posto arrivarono altre pattuglie e le ambulanze che trasportarono i feriti in ospedale, nelle celle di sicurezza, mentre i morti furono portati all’obitorio per gli accertamenti del caso. Intanto nell’autovettura furono ritrovati un fucile a canne mozze, due pistole, una bomba a mano da esercitazione militare, documenti e indirizzi, stemmi, gagliardetti, aquile e svastiche. Andrea Cosso si era congedato dal corpo dell’Aeronautica Militare iniziando ad avere contatti sia con Terza Posizione che con i Nuclei Armati Rivoluzionari. Infatti il suo compito era di accompagnare in auto attraverso il confine francese alcuni dei capi del calibro di Stefano Soderini e Pasquale Belsito. Alla fine degli anni settanta aveva partecipato alla gazzarra neonazista a Varese contro la squadra israeliana di pallacanestro del Maccabi. Nel 1882 fu arrestato con l’accusa di partecipazione a banda armata. Le accuse furono ridimensionate in favoreggiamento e ben presto uscì di prigione. Diego Macciò fu volontario nei paracadutisti, torinese, di origine, ma con lunghi anni di vita a Milano, dove
frequentò il Fronte della Gioventù. In realtà di trattava del vero uomo di collegamento tra il gruppo torinese e il capo dei Nuclei Armati Rivoluzionari, Cavallini. Enrico Ferrero e Raffaella Furiozzi, figlia di un agente di cambio, di buona borghesia, erano noti solo per aver partecipato a qualche volantinaggio del Fronte della Gioventù di Torino. La Magistratura di Alessandria puntò le indagini su due possibili obiettivi per i militanti della destra eversiva. Una rapina di armi nel vicino deposito dell’Aeronautica Militare di Castello d’Annone e degli Artiglieri; un tentativo di sequestro di persona. Potevano compiere una rapina o un sequestro dal momento che viaggiavano su una innocua Fiat 127 regolarmente intestata? Dopo poco, gli inquirenti, indirizzarono le indagini soprattutto nel mettere a fuoco quell’ambiente di piccole violenze ordinarie torinesi, perquisendo alcune sedi del Movimento Sociale Italiano e il circolo “Vento del Nord”. Il Procuratore della Repubblica, Buzio, diede il suo benestare per i solenni funerali dei due caduti.
Enrico Ferrero: Presente!



E’ domenica mattina, del 24 marzo 1985, quando quattro camerati, Andrea Cosso, Enrico Ferrero , Raffaella Furiozzi e Diego Macciò, provenienti da Roma stanno viaggiando su una innocua "127" regolarmente intestata ad Andrea Cosso, sull’autostrada Torino - Piacenza, in direzione di Torino, raggiunto il casello San Michele di Alessandria ovest, decidono di lasciare l’autostrada, per risparmiare denaro".

All’uscita del casello, una pattuglia della Polizia, in posto di blocco intende controllare la loro auto. Quell’incontro con la polizia diviene una tragica variante del loro ritorno a casa. La reazione dei quattro, contro le divise è automatica, ingaggiano una controversa e tragica sparatoria, ancora tutta da chiarire. 

La televisione e la stampa, dicendo menzogne, affermano che i quattro avevano in macchina una santa barbara, in vero avevano con se, una Beretta in efficienza, un'altra molto vecchia, un fucile a canne mozze, una bomba a mano da esercitazione militare; e poi documenti ed indirizzi, stemmi, gagliardetti, aquile e svastiche com' è nella tradizione dei giovani fascisti raccoglitori di feticci. 

Enrico Ferrero, viene fulminato dalla Polizia stradale di Alessandria insieme al 22enne Diego Mancciò 


Diego Macciò: Presente!

 

Diego Macciò, è fidanzato con la camerata Raffaella Furiozzi, insieme fanno parte dell’organizzazione torinese il "Vento del nord", una specie di filiazione giovanile degli "Arditi d' Italia", ricostituiti a Torino nel 1975.
Ha ventidue anni, quando viene fulminato con Enrico Ferrero dai colpi della polizia.





 
 
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