mercoledì 30 novembre 2016

4 DICEMBRE : GITA A FAVALANCIATA

ULTIMI POSTI DISPONIBILI
 
 
Domenica dalle ore 9:00 alle ore 22:00
Frazione Favalanciata
 Acquasanta Terme - AP - Marche
 
Avanguardia Berghem e Cremona organizzano per tutta la giornata di Domenica 4 dicembre
una Gita turistica eno-gastronomica
in quel di Favalanciata Frazione di Acquasanta Terme (AP) Marche 

 visto che non ci interessa votare Sì o No
per una Costituzione in cui non ci riconosciamo.

A FURIA DI VOTARE "TURANDOCI IL NASO"
 VI SIETE TROVATI COL CULO SFONDATO .
QUESTO PERCHE' VI SIETE ILLUSI- CON UN VOTO- DI POTER CAMBIARE QUALCOSA .
VOLETE MORIRE TUTTI DEMOCRISTIANI ?

  IL 4 DICEMBRE VIENI IN GITA CON NOI 


 

 Alle Gentili Signore verrà offerta una degustazione
 dei Prodotti tipici del paese
 
 
EVENTO FACEBOOK
 

martedì 29 novembre 2016

IL MASSACRO DEL FIUME SAND CREEK (29-11-1864)

"Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek"
(Fabrizio De Andrè)
 

L' "ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA" TRAMITE LO STERMINIO
- O IL BOMBARDAMENTO - DI INTERI POPOLI
HA ORIGINI MOLTO ANTICHE
 



L’attacco al Sand Creek

 Mentre ad est le truppe americane si combattevano in una guerra fratricida, ad ovest nell’estate del 1864 il governo ordinò alle tribù di insediarsi nei dintorni di Fort Lyon, nel Colorado. Vuoi perchè alcuni gruppi non vennero a conoscenza dell’ingiunzione, vuoi perchè altri gruppi non si fidavano certo dei bianchi e vuoi, infine, perchè molti non intendevano obbedire alle ingiunzioni dei soldati, sta di fatto che gli indiani restarono prevalentemente dove si trovavano, senza preoccuparsi troppo. Perciò il colonnello Chivington organizzò il 3° Reggimento dei Volontari del Colorado, uomini senza troppi scrupoli reclutati per cento giorni soltanto, col compito di massacrare quanti più indiani possibile, rifacendosi ad un proclama di quell’anno del governatore di quel Territorio, Evans, che esortava la popolazione a cacciare ed eliminare il numero maggiore di Nativi.
Il terzo Reggimento si abbatté sui Cheyenne, i quali, peraltro, avrebbero voluto trattare la pace. Per questo motivo fecero avanzare una delegazione comandata da Orso Magro che però fu freddato appena fu a portata di tiro. Seguì un breve combattimento, fermato dal capo Pentola Nera, che impedì ai suoi seicento guerrieri di massacrare i cento volontari. La situazione volgeva a favore degli Indiani che, dietro insistenza del capo Cheyenne, decisero di proporre un’istanza di pace che però non fu presa in debita considerazione dal governatore Evans. Alcuni capi dei Nativi, non riuscendo a capire lo stato reale delle cose, si insediarono, con i propri gruppi, nelle vicinanze dei forti. Altre tribù, compresa quella di Pentola Nera, si spostarono a Nord, mentre l’esercito, senza fare distinzione tra gli Indiani pacifici e quelli belligeranti, si preparava a sedare i focolai del Nord-Ovest.


Poiché Pentola Nera desiderava fortemente la pace, dietro assicurazione che nulla sarebbe accaduto, obbedì all’ordine di accamparsi lungo il Sand Creek, poco lontano da Fort Lyon. Alla sua tribù si unì quella degli Arapaho di Mano Sinistra.
Il campo Cheyenne si trovava in un’ansa a ferro di cavallo del Sand Creek a nord del letto di un altro torrente quasi secco. Il tepee di Pentola Nera era vicino al centro del villaggio, e a ovest vi era la gente di Antilope Bianca e di Copricapo di Guerra. Sul versante orientale e poco discosto dai Cheyenne vi era il campo Arapaho di Mano Sinistra. In totale vi erano quasi seicento indiani nell’ansa del torrente, due terzi dei quali donne e bambini. La maggior parte dei guerrieri si trovava diversi chilometri a est a cacciare il bisonte per i bisogni dell’accampamento, come aveva detto loro di fare il maggiore Anthony, comandante del distaccamento a cui erano affidati.
Gli indiani erano così fiduciosi di non aver assolutamente nulla da temere che non misero sentinelle durante la notte, tranne alla mandria di cavalli che era chiusa in un recinto sotto il torrente. Il primo sentore di un attacco lo ebbero verso l’alba – il rimbombo degli zoccoli sulla pianura sabbiosa. Alcune squaws dissero che vi era una massa di bisonti che si dirigeva verso il campo; altre dissero che era una massa di soldati. Dal torrente stava avanzando a un trotto svelto un grosso contingente di truppe… si potevano vedere altri soldati che si dirigevano verso le mandrie di cavalli indiani a sud dell’accampamento; in tutto l’accampamento vi era una gran confusione e un gran vociare: uomini, donne e bambini correvano fuori dalle tende seminudi; donne e bambini che strillavano alla vista delle truppe; uomini che correvano nelle tende a prendere le armi…



L’attacco al campo indiano


Pentola Nera aveva una grande bandiera americana appesa in cima a un lungo palo e stava davanti alla sua tenda, aggrappato al palo, con la bandiera svolazzante nella luce grigia dell’alba invernale. Gridò alla sua gente di non avere paura, che i soldati non avrebbero fatto loro dei male; poi le truppe aprirono il fuoco dai due lati del Campo. I soldati appena smontati da cavallo cominciarono a sparare con le carabine e le pistole. In quel momento centinaia di donne e bambini Cheyenne si stavano radunando intorno alla bandiera di Pentola Nera. Risalendo il letto asciutto del torrente altri giungevano dal campo di Antilope Bianca. Dopo tutto, il colonnello Greenwood non aveva detto a Pentola Nera che finché fosse sventolata la bandiera americana sopra la sua testa, nessun soldato avrebbe sparato su di lui?
 

Black Kettle
 

 Antilope Bianca, un vecchio di settantacinque anni, disarmato, il volto scuro segnato dal sole e dalle intemperie, camminò a grandi passi verso i soldati. Egli credeva ancora che i soldati avrebbero smesso di sparare appena avessero visto la bandiera americana e la bandiera bianca della resa che aveva ora innalzato Pentola Nera.
Polpaccio Stregato Beckwourth, che cavalcava a fianco del colonnello Chivington, vide avvicinarsi Antilope Bianca. “Venne correndo verso di noi per parlare al comandante,” testimoniò in seguito Beckwourth “tenendo in alto le mani e dicendo: “Fermi! fermi!”. Lo disse in un inglese chiaro come il mio. Egli si fermò e incrociò le braccia finché cadde fulminato”. I sopravvissuti fra i Cheyenne dissero che Antilope Bianca cantò il canto di morte prima di spirare: “Niente vive a lungo. Solo la terra e le montagne”.
Provenienti dal campo Arapaho, anche Mano Sinistra e la sua gente cercarono di raggiungere la bandiera di Pentola Nera. Quando Mano Sinistra vide le truppe, si fermò con le braccia incrociate, dicendo che non avrebbe combattuto gli uomini bianchi perché erano suoi amici. Cadde fucilato.
Ma all’alba del 29 novembre 1864, il colonnello Chivington fece circondare l’accampamento, nonostante gli accordi presi e anche se nel mezzo del villaggio sventolava la bandiera americana, comandò l’attacco contro una popolazione inerme che quasi niente fece per
reagire.
 

Un momento dell’attacco

 Gli episodi sconvolgenti – come venne testimoniato dagli stessi indiani e da molti altri bianchi che parteciparono al massacro – non si contarono. Gli uomini vennero scalpati e orrendamente mutilati, i bambini usati per un macabro tiro al bersaglio, le donne oltraggiate, mutilate e scalpate. Per commettere delitti così atroci bisognava possedere una innata cattiveria o non essere padroni delle proprie azioni. In effetti molti dei partecipanti erano ubriachi. In nessun modo si riuscì legalmente a rendere giustizia ai pellerossa.
Robert Bent, che si trovava a cavallo suo malgrado con il colonnello Chivington, disse che, quando giunsero in vista al campo, vide “sventolare la bandiera americana e udii Pentola Nera che diceva agli indiani di stare intorno alla bandiera e lì si accalcarono disordinatamente: uomini, donne e bambini. Questo accadde quando eravamo a meno dì 50 metri dagli indiani. Vidi anche sventolare una bandiera bianca. Queste bandiere erano in una posizione così in vista che essi devono averle viste. Quando le truppe spararono, gli indiani scapparono, alcuni uomini corsero nelle loro tende, forse a prendere le armi… Penso che vi fossero seicento indiani in tutto. Ritengo che vi fossero trentacinque guerrieri e alcuni vecchi, circa sessanta in tutto… il resto degli uomini era lontano dal campo, a caccia… Dopo l’inizio della sparatoria i guerrieri misero insieme le donne e i bambini e li circondarono per proteggerli.
 

Il fiume Sand Creek


Vidi cinque squaws nascoste dietro un cumulo di sabbia. Quando le truppe avanzarono verso di loro, scapparono fuori e mostrarono le loro persone perché i soldati capissero che erano squaws e chiesero pietà, ma i soldati le fucilarono tutte. Vidi una squaw a terra con un gamba colpita da un proiettile; un soldato le si avvicinò con la sciabola sguainata; quando la donna alzò un braccio per proteggersi, egli la colpì, spezzandoglielo; la squaw si rotolò per terra e quando alzò l’altro braccio, il soldato la colpì nuovamente e le spezzò anche quello. Poi la abbandonò senza ucciderla. Sembrava una carneficina indiscriminata di uomini, donne e bambini. Vi erano circa trenta o quaranta squaws che si erano messe al riparo in un anfratto; mandarono fuori una bambina di sei anni con una bandiera bianca attaccata a un bastoncino; riuscì a fare solo pochi passi e cadde fulminata da una fucilata. Tutte le squaws rifugiatesi in quell’anfratto furono poi uccise, come anche quattro o cinque indiani che si trovavano fuori. Le squaws non opposero resistenza. Tutti i morti che vidi erano scotennati. Scorsi una squaw sventrata con un feto, credo, accanto. Il capitano Soule mi confermò la cosa. Vidi il corpo di Antilope Bianca privo degli organi sessuali e udii un soldato dire che voleva farne una borsa per il tabacco. Vidi un squaws i cui organi genitali erano stati tagliati… Vidi una bambina di circa cinque anni che si era nascosta nella sabbia; due soldati la scoprirono, estrassero le pistole e le spararono e poi la tirarono fuori dalla sabbia trascinandola per un braccio. Vidi un certo numero di neonati uccisi con le loro madri. ” (In un discorso pubblico fatto a Denver non molto tempo prima di questo massacro, il colonnello Chivington sostenne che bisognava uccidere e scotennare tutti gli indiani, anche i neonati. “Le uova di pidocchio fanno i pidocchi” dichiarò.)
 

Robert Bent

 La descrizione di Robert Bent delle atrocità dei soldati fu confermata dal tenente James Connor: “Tornato sul campo di battaglia il giorno dopo non vidi un solo corpo di uomo, donna o bambino a cui non fosse stato tolto lo scalpo, e in molti casi i cadaveri erano mutilati in modo orrendo: organi sessuali tagliati a uomini, donne e bambini; udii un uomo dire che aveva tagliato gli organi sessuali di una donna e li aveva appesi a un bastoncino; sentii un altro dire che aveva tagliato le dita di un indiano per impossessarsi degli anelli che aveva sulla mano; per quanto io ne sappia John M. Chivington era a conoscenza di tutte le atrocità che furono commesse e non mi risulta che egli abbia fatto nulla per impedirle; ho saputo di un bambino di pochi mesi gettato nella cassetta del fieno di un carro e dopo un lungo tratto di strada abbandonato per terra a morire; ho anche sentito dire che molti uomini hanno tagliato gli organi genitali ad alcune donne e li hanno stesi sugli arcioni e li hanno messi sui cappelli mentre cavalcavano in fila.”
Un reggimento addestrato e ben disciplinato avrebbe potuto certamente distruggere quasi tutti gli indiani indifesi che si trovavano sul Sand Creek. La mancanza di disciplina, unita alle abbondanti bevute di whisky durante la cavalcata notturna, alla codardia e alla scarsa precisione di tiro delle truppe del Colorado, resero possibile la fuga a molti indiani. Un certo numero di Cheyenne scavò trincee sotto gli alti argini del torrente in secca e resistette fino a quando scese la notte. Altri fuggirono da soli o a piccoli gruppi attraverso la pianura. Quando cessò la sparatoria erano morti 105 donne e bambini indiani e 28 uomini.
 
 
John M. Chivington


 Nel suo rapporto ufficiale, Chivington parlò di quattro o cinquecento guerrieri uccisi. Egli aveva perso 9 uomini, e aveva avuto 38 feriti; molti erano vittime del fuoco disordinato dei soldati che si sparavano addosso l’un l’altro. Fra i capi uccisi vi erano Antilope Bianca, Occhio Solo e Copricapo di Guerra. Pentola Nera riuscì miracolosamente a trovare scampo su un burrone, ma sua moglie fu gravemente ferita. Mano Sinistra, sebbene colpito da una pallottola, riuscì ugualmente a salvarsi.
Quando scese la notte i sopravvissuti strisciarono fuori dalle buche. Faceva molto freddo e il sangue si era congelato sulle loro ferite, ma non osarono accendere i fuochi. L’unico pensiero che avevano in mente era di fuggire a est verso lo Smoky Hill e cercare di raggiungere i loro guerrieri. “Fu una marcia terribile,” ricordò George Bent “la maggior parte di noi procedeva a piedi, senza cibo, con pochi indumenti, impacciata dalle donne e dai bambini.” Per 80 chilometri sopportarono il gelo dei venti, la fame e i dolori delle ferite, ma alla fine raggiunsero il campo di caccia. “Come arrivammo nel campo vi fu una scena terribile. Tutti piangevano, persino i guerrieri, le donne e i bambini strillavano e gemevano . Quasi tutti i presenti avevano perso qualche parente o amico e molti di loro sconvolti dal dolore si sfregiavano coi coltelli finché il sangue usciva a fiotti.”
Si era in gennaio, la Luna del Grande Freddo, quando gli indiani delle pianure tradizionalmente tengono accesi i fuochi nelle loro tende, raccontano storie per passare le lunghe serate e si alzano tardi alla mattina. Ma quello era un brutto momento e come la notizia del massacro di Sand Creek si sparse nelle pianure, i Cheyenne, gli Arapaho e i Sioux mandarono staffette avanti e indietro con messaggi che invitavano tutti gli indiani a unirsi in una guerra di vendetta contro i bianchi assassini.
 
TRATTO DA
 
 
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LA CANZONE
Fiume Sand Creek - Fabrizio De Andrè
 


"Si son presi il nostro cuore
sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola
dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale

C'è un dollaro d'argento
sul fondo del Sand Creek.

I nostri guerrieri troppo lontani
sulla pista del bisonte
e quella musica distante
diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte
mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno
mio nonno disse sì

A volte i pesci cantano
sul fondo del Sand Creek

Sognai talmente forte
che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio
nell'altro il paradiso
le lacrime più piccole
le lacrime più grosse
quando l'albero della neve
fiorì di stelle rosse

Ora i bambini dormono
nel letto del Sand Creek

Quando il sole alzò la testa
tra' le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo
e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare

La terza freccia cercala
sul fondo del Sand Creek

Si son presi il nostro cuore
sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola
dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale

Ora i bambini dormono
sul fondo del Sand Creek"
 
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IL FILM
IN LIGUA ORIGINALE
 
Massacre At Sand Creek (1956)
 
 
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L' "ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA" TRAMITE LO STERMINIO
- O IL BOMBARDAMENTO - DI INTERI POPOLI
HA ORIGINI MOLTO ANTICHE

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 a cura delle Redazioni
di Bergamo e Cremona

EVOLA RACCONTA CODREANU

Brani tratti dall’articolo “Così diceva Codreanu” apparso sul quotidiano Roma il 12 dicembre 1958.


Fra le molte figure di dirigenti di movimenti nazionali da noi conosciute nei nostri viaggi in Europa, poche, per non dire nessuna, ci fecero un’impressione più viva di Cornelio Codreanu, il capo della “Guardia di Ferro” romena. Ricordiamo l’incontro con lui, nel marzo del 1938, nella “Casa Verde”, sede centrale che i legionari stessi si erano costruita con le proprie mani, a Bucarest.
Egli ci si fece incontro: un giovane di alta statura, aitante, con una espressione di nobiltà, di lealtà e di coraggio impressa nel volto dai tratti del puro tipo dacio-romano, ci si mescolava qualcosa di contemplativo, di ispirato. Fra noi due si stabilì subito una spontanea simpatia; in effetti, molte delle nostre idee concordavano, specie quanto all’esigenza di dare ai movimenti di rinnovamento nazionale una autentica base spirituale.
Il livello dell’organizzazione che Codreanu aveva creato e con la quale si proponeva di rinnovare la Romania, era notevolmente alto. Il movimento complessivo aveva un orientamento originale; si affiancava idealmente ai movimenti nazionali affermatisi in Italia e in Germania, ma con una propria, specifica fisionomia. In un colloquio, lo stesso Codreanu ci indicò questa direzione particolare, usando un’immagine. Egli disse: “L’essere umano è composto dal corpo, dall’energia vitale e dall’anima. Così anche ogni nazione, e un moto di rinnovamento, può far leva su uno o sull’altro di tali elementi e investire il resto partendo da esso. Ora il fascismo italiano mi sembra che parta dall’elemento corpo, cioè dall’elemento forma, riprendendo ideale romano dello Stato quale forza formatrice. Il nazionalsocialismo tedesco, col risalto dato a tutto ciò che è razza e sangue parte invece dall’elemento vita. Quanto alla Guardia di Ferro romena, essa per raggiungere lo stesso scopo vorrebbe agire partendo dall’elemento spirituale, dall’anima”.
Nel caso del movimento di Codreanu, quest’ultima espressione assumeva però un significato peculiare. Per Codreanu, più che di una lotta politica per la semplice conquista del potere, si trattava di creare un uomo nuovo. Egli riteneva che la sostanza del popolo romeno fosse così guasta, che senza un rinnovamento dall’interno, dal profondo, nulla di valido avrebbe potuto essere raggiunto. L’opera di formazione doveva realizzarsi a tutta prima in una minoranza, a che essa facesse poi da spina dorsale alla nazione.
L’orientamento spirituale, religioso, come controparte di quello militante, si palesava già nella designazione che la prima organizzazione aveva avuto: “Legione dell’Arcangelo Michele”. Quando questa divenne la Guardia di Ferro, vi si mantennero tratti di una specie di ascetismo guerriero, analoghi a quelli di alcuni antichi ordini cavallereschi. Così per gli appartenenti ad uno speciale corpo che si fregiava dei nomi di Moza e Marin (due capi della Guardia caduti nella guerra di Spagna) vigeva la clausola del celibato: nessuna cura mondana e familiare doveva diminuire, in loro, la capacità di consacrarsi assolutamente alla causa. Ci si doveva anche astenere dal frequentare balli e cinematografi, si doveva evitare ogni sfoggio di ricchezza e di lusso. Doveva essere amata una certa tenuta spartana di vita. In più, era contemplata la pratica del digiuno, due volte alla settimana. Codreanu era il primo a sottoporvisi.
Particolare importanza veniva poi attribuita alla preghiera intesa come una vocazione. “La preghiera è un elemento decisivo – diceva Codreanu. Vince chi sa attrarre dall’etere, dai cieli, le forz e misteriose del mondo invisibile e assicurarsene il concorso”. Per lui fra tali forze vi erano le anime degli antenati e dei morti. E nei “nidi” (così venivano chiamati i centri della Guardia) ogni riunione s’iniziava e si terminava con una preghiera invocativa rivolta a coloro che lungo i secoli erano caduti per la difesa della patria e della fede e che si riteneva essere rimasti invisibilmente uniti alla stirpe.
[...] Si sa della tragedia della Guardia di Ferro e della fine di Codreanu. [...] Alla fine Codreanu fu arrestato e processato [...] “si tagliò corto” e si ricorse all’assasinio mascherato.

LEGIONARIO ASCETICO

 di Julius Evola

Bucarest, marzo
 Rapidamente la nostra auto lascia dietro di se quella curiosa cosa che è la Bukarest del centro: un insieme di piccoli grattacieli e di edifici modernissimi, prevalentemente di tipo "funzionale", con mostre e magazzini fra la parigina e l'americana, l'unico elemento esotico essendo i frequenti cappelli di astrakan degli agenti e dei borghesi. Raggiungiamo la stazione del Nord, imbocchiamo una polverosa strada provinciale costeggiata da piccoli edifici del tipo della vecchia Vienna, che con rigorosa rettilineità raggiunge la campagna. Dopo una buona mezz'ora, l'automobile svolta improvvisamente a sinistra, prende una via campestre, si arresta di fronte ad un edificio quasi isolato fra i campi: è la cosiddetta "Casa Verde", residenza del Capo delle "Guardie di Ferro" romene. "L'abbiamo costruita con le nostre stesse mani" ci dicono con un certo orgoglio i legionari che ci accompagnano. Intellettuali e artigiani si sono associati per costruire la residenza del loro capo, quasi nel significato di un simbolo e di un rito. Lo stile della costruzione è romeno: ai due lati, essa si prolunga con una specie di portico, tanto da dar quasi l'impressione di un chiostro. Entriamo, raggiungiamo il primo piano. Ci viene incontro un giovane alto e slanciato, in vestito sportivo, con un volto aperto, il quale dà immediatamente una impressione di nobiltà, di forza e di lealtà. è appunto Cornelio Codreanu, capo della Guardia di Ferro. Il tipo è caratteristicamente ariano-romano: sembra una riapparizione dell'antico mondo ario-italico. Mentre i suoi occhi grigio-azzurri esprimono la durezza e la fredda volontà propria ai Capi, nell'insieme dell'espressione vi è simultaneamente una singolare nota di idealità, di interiorità, di forza, di umana comprensione. Anche il suo modo di conversare è caratteristico: prima di rispondere, egli sembra assorbirsi, allontanarsi, poi, ad un tratto, comincia a parlare, esprimendosi con precisione quasi geometrica, in frasi bene articolate ed organiche. "Dopo tutta una falange di giornalisti, di ogni nazione e colore, che altro non sapevano rivolgermi se non domande della politica più legata al momento, è la prima volta, e con soddisfazione" dice Codreanu "che viene da me qualcuno che si interessa, prima di tutto, all'anima, al nucleo spirituale del mio movimento. Per quei giornalisti avevo trovato una formula per soddisfarli e per dire poco più che nulla, cioè: nazionalismo costruttivo."L'uomo si compone di un organismo, cioè di una forma organizzata, poi di forze vitali, poi di un'anima. Lo stesso può dirsi per un popolo. E la costruzione nazionale di uno Stato, benché riprenda naturalmente tutti e tre gli elementi, pure, per ragioni di varia qualificazione e varia eredità, può soprattutto prendere le mosse da uno particolare di essi. "Secondo me, nel movimento fascista predomina l'elemento Stato, che equivale a quello della forma organizzata. Qui parla la potenza formatrice dell'antica Roma, maestra del diritto e dell'organizzazione politica, della quale d'Italiano è il più puro erede. Nel nazionalsocialismo viene invece in risalto quanto si connette alle forze vitali; la razza, l'istinto di razza, l'elemento etnico-nazionale. Nel movimento legionario romeno l'accento cade soprattutto su quel che, in un organismo, corrisponde all'elemento anima: sull'aspetto spirituale e religioso. "Da ciò sorge la caratteristica dei vari movimenti nazionali, per quanto essi, alla fine, comprendano tutti e tre questi elementi, e non ne trascurino nessuno. Il carattere specifico del nostro movimento ci viene da una remota eredità. Già Erodoto chiamava i nostri progenitori: "I Daci immortali". I nostri antenati getotraci avevano per fede, già prima del cristianesimo, l'immortalità e l'indistruttibilità dell'anima, ciò che prova il loro orientamento verso la spiritualità. La colonizzazione romana ha aggiunto a questo elemento lo spirito romano di organizzazione e di forma. Tutti i secoli successivi hanno fatto miserabile e disgregato il nostro popolo: ma come anche in un cavallo malato e frustro si può riconoscere la nobiltà della sua tazza, così anche in ciò che ieri e oggi è il popolo romeno si possono riconoscere gli elementi latenti di questa doppia eredità. "Ed è questa eredità che il movimento legionario vuole destare" continua Codreanu. "Esso parte dallo spirito: vuole creare un uomo spiritualmente nuovo. Realizzato come "movimento" questo compito, ci attende il risveglio della seconda eredità, cioè della forza romana politicamente formatrice. Così lo spirito e la religione sono per noi il punto di partenza, il "nazionalismo costruttivo" è il punto di arrivo e quasi una conseguenza. A congiungere l'un punto con l'altro sta l'etica ascetica e simultaneamente eroica della "Guardia di Ferro"". Chiediamo a Codreanu in che rapporto stia la spiritualità del suo movimento con la religione cristiano-ortodossa. La risposta è: "In genere, noi tendiamo a vivificare nella forma di una coscienza nazionale e di una esperienza vissuta ciò che, in questa religione, molto spesso si è mummificato ed è diventato il tradizionalismo di un clero sonnolento. Noi poi ci troviamo in una condizione felice per il fatto che alla nostra religione, articolata nazionalmente, è estraneo il dualismo tra fede e politica ed essa può fornirci elementi etici e spirituali senza imporsi come una entità comunque politica. Dalla nostra religione il movimento delle Guardie di Ferro riprende poi un'idea fondamentale: quella della ecumenicità. Questo è il superamento positivo di ogni internazionalismo e di ogni universalismo astratto e razionalistico. L'idea ecumenica è quella di una societas come unità di vita, come organismo vivo, come un vivere insieme non solo col nostro popolo, ma anche con i nostri morti e con Dio. L'attuazione di una simile idea in forma di esperienza effettiva è il centro del nostro movimento; politica, partito, cultura, ecc. per noi non sono che conseguenze e derivazioni. Noi dobbiamo rivivificare questa realtà centrale, e rinnovare per tal via l'uomo romeno, per poi procedere e costruire anche la nazione e lo Stato. Un punto particolare è che, per noi, la presenza dei morti nella nazione ecumenica non è astratta, ma reale: dei nostri morti e soprattutto dei nostri eroi. Noi non possiamo separarci da essi; essi, come forze divenute libere dalla condizione umana, compenetrano e sostengono la nostra vita più alta. I legionari si radunano periodicamente in piccoli gruppi, chiamati "nidi" ["cuib" n.d.c.]. Queste adunanze seguono riti speciali. Quello con cui si apre ogni riunione è l'appello a tutti i nostri compagni caduti, al quale i convenuti rispondono con "Presente". Ma ciò per noi non è una pura cerimonia e una allegoria, bensì una evocazione reale. "Noi distinguiamo l'individuo, la nazione e la spiritualità trascendente" continua Codreanu "e nella dedizione eroica consideriamo ciò che porta dall'uno all'altro di tali elementi, fino ad una superiore unità. Noi neghiamo in ogni sua forma il principio dell'utilità bruta e materialistica: non solo sul piano del singolo, ma anche su quello della nazione. Di là dalla nazione noi riconosciamo dei principi eterni ed immutabili, in nome dei quali si deve esser pronti a combattere, a morire e a tutto subordinare almeno con la stessa decisione in nome del nostro diritto di vivere e di difendere la nostra vita. La verità e l'onore sono, per es., dei principi metafisici, che noi poniamo più in alto della nostra stessa nazione". Noi abbiamo saputo che il carattere ascetico del movimento delle Guardie di Ferro non è generico, ma anche concreto e, per dir così, praticante. Ad esempio, vige la regola del digiuno: tre giorni alla settimana circa 800.000 uomini praticano il cosiddetto "digiuno nero", cioè l'astinenza da ogni specie di cibo, da bevande, da tabacco. Del pari, la preghiera ha nel movimento una parte importante. In più, per il corpo scelto di assalto che porta il nome dei due capi legionari caduti in Spagna, Mota e Marin, vige la regola del celibato. Chiediamo al Codreanu che ci indichi il senso preciso di tutto ciò. Egli sembra concentrarsi un momento, poi risponde: "Vi sono due aspetti, per chiarire i quali bisogna tener presente il dualismo dell'essere umano, composto di un elemento materiale naturalistico e di un elemento spirituale. Quando il primo domina il secondo, è l'"inferno". Ogni equilibrio fra i due è cosa precaria e contingente. Solo il dominio assoluto dello spirito sul corpo è la condizione normale e il presupposto di ogni vera forza, di ogni vero eroismo. Il digiuno viene da noi praticato perché propizia una tale condizione, allenta i vincoli corporei, propizia l'autoliberarsi e l'autoaffermarsi della pura volontà. E quando a ciò si aggiunge la preghiera, noi chiediamo che forze dall'alto si uniscano alle nostre e ci sostengano invisibilmente. Il che conduce al secondo aspetto: è una superstizione pensare che in ogni combattimento solo le forze materiali e semplicemente umane siano decisive; in esso entrano invece in giuoco anche delle forze invisibili, spirituali, almeno altrettanto efficaci quanto le prime. Noi siamo coscienti della positività e dell'importanza di tali forze. Per questo diamo al movimento legionario un preciso carattere ascetico. Anche negli antichi ordini cavallereschi vigeva il principio della castità. Rilevo tuttavia che esso da noi è ristretto al Corpo di Assalto, anche sulla base di una giustificazione pratica, cioè che chi deve votarsi interamente alla lotta e non deve temere la morte è bene non abbia gli impedimenti della famiglia. Del resto, in quel corpo si resta solo fino ai 30 anni compiuti. Ma, in ogni caso, resta sempre una apposizione di principio: vi sono da un lato coloro che conoscono solo la "vita" e che quindi non cercano che la prosperità, la ricchezza, il benessere, l'opulenza; dall'altro lato vi sono coloro che aspirano a qualcosa più che la vita, alla gloria e alla vittoria in una lotta interiore quanto esteriore. Le Guardie di Ferro appartengono a questa seconda schiera. E il loro ascetismo guerriero si completa con una ultima norma: col voto di povertà a cui è tenuta l'élite dei capi del movimento, con i precetti di rinuncia al lusso, ai vuoti divertimenti, agli svaghi cosiddetti mondani, insomma con l'invito ad un vero cambiamento di vita che noi facciamo ad ogni legionario". 
 


 


 
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VISITA IL SITO
 

CORNELIU ZELEA CODREANU

"Non parlar male dei tuoi Camerati. Non accusarli. Non mormorare all'orecchio degli altri e non tollerare che si venga a mormorare al tuo"
 
 
"CAMMINA SOLTANTO SULLE STRADE CHE TI SONO INDICATE DALL'ONORE. LOTTA E NON ESSERE MAI VILE. LASCIA AGLI ALTRI LE VIE DELL'INFAMIA. E' MEGLIO MORIRE COMBATTENDO SULLE VIE DELL'ONORE, CHE VINCERE PER MEZZO DI UN'INFAMIA"

C.Z. CODREANU
 
 


Corneliu Zelea Codreanu nasce in Moldavia, a Iasi, il 13 settembre 1899. Il suo cognome in rumeno significa "uomo della foresta". Dal padre fin da piccolo Corneliu impara ad amare fortemente la sua patria e a sognare per il suo popolo, per la sua gente, un destino più grande. È giovanissimo quando il 15 agosto 1916 la sua terra, "la piccola Romania", si getta nella mischia della I guerra mondiale; per la sua età non può arruolarsi volontario.
L'1 settembre 1917, con la segreta speranza di partire per il fronte e dare il suo contributo per la vittoria, Codreanu si iscrive alla Scuola Militare Atttiva di Botosani, esperienza che lascerà un'impronta forte sul suo carattere. "Qui -scriverà- ho imparato a parlare poco. Qui ho imparato ad amare la trincea e a disprezzare il salotto".
Finita la guerra la situazione politica interna della Romania è piuttosto grave: nella vicina Russia, ucciso lo zar, il potere è nelle mani dei bolscevichi ed il nuovo stato sovietico mostra chiaramente la volontà di riappropriarsi dele terre perse durante il conflitto. Con questo rischio incombente Codreanu, un pomeriggio del gennaio 1918, raduna nel bosco di Dobrina una ventina di colleghi liceali e fonda l'associazione "Michele Cogalnicaenu" allo scopo di uscire dall'individualismo e spendere tutte le proprie energie senza risparmio per la causa della libertà della Romania.
La situazione rumena nel primo dopoguerra non è diversa da quella di molte altre nazioni europee al termine del primo lacerante conflitto mondiale. Tra i fenomeni sociali emergenti: il reducismo, la delusione per il clima provinciale della politica ufficiale, le reazioni per la riforma agraria del 1919. Proprio in quell'anno Corneliu Zelea si iscrive alla facoltà di Diritto dell'Università di Iasi. In questo periodo viene a conoscenza dell'esistenza di un piccolo e battagliero gruppo politico chiamato la "Guardia della Coscienza Nazionale" guidato da Costantin Pancu. Il raggruppamento, al quale aderisce Codreanu, riscuote un certo interesse tra operai e studenti e raccoglie tra le sue fila anche qualche professionista e sacerdote. "Non potrei definire come sono entrato nella lotta. Forse come un uomo che, camminando per la strada con le preoccupazioni, i bisogni ed i pensieri suoi propri, sorpreso dal fuoco che divora una casa, getta la giacca e balza al soccorso di quelli in preda alle fiamme". Il 10 febbraio 1920 viene proclamato lo sciopero generale in tutto il paese, ovunque si hanno notizie di scontri e dimostrazioni, la situazione è incandescente. Contro coloro che sostengono l'intervento governativo e militare, Codreanu sostine la necessità di agire di persona e fulmineamente. L'imperativo è stroncare il parassitismo diffuso nel Paese. La roccaforte comunista è nelle officine CPR, nei pressi delle ferrovie di Nicolina a Iasi. Ma attraverso una serie di azioni provocatorie e portando avanti una politica sociale estremamente avanzata sarà Corneliu a raccogliere per tutto l'arco della sua vita l'adesione quasi plebiscitaria delle masse operaie. Con questo spirito nascerà un nuovo raggruppamento "Socialista Nazional-Cristiano".
Nel 1920, per la prima volta nella storia, il Senato Accademico dell'Università di Iasi decide di aprire l'anno accademico senza l'abituale rito religioso. Codreanu con un gruppo di amici insorge, fino a spuntarla. L'Università riaprirà con la tradizionale cerimonia. Tra le battaglie memorabili dei primi anni di attività politica di Corneliu anche quella contro la sciapka, un copricapo russo ostentato dagli studenti di fede comunista e, soprattutto, simbolo di indifferenza e mancanza di amore per la propria terra.
Più volte attaccato da Codreanu, il rettore dell’Università di Iasi, il 4 maggio 1921, lo espelle dai corsi e dalle lezioni. Tutti i professori della facoltà di Diritto, alla quale è iscritto Corneliu, insorgono contro questa risoluzione e lo iscrivono agli esami autunnali, tanto forte era la stima per questo studente coraggioso ed audace. La vertenza andrà avanti per molto tempo, terminati gli studi, infatti, non verrà mai rilasciata a Codreanu la laurea in Giurisprudenza. Il 22 maggio 1922 viene fondata l’associazione "Studenti Cristiani", che incontrerà un grande successo nel paese. Nell’autunno dello stesso anno Codreanu lascia la Romania per trasferirsi a Berlino, dove si iscrive alla facoltà di Economia Politica. Nel dicembre del 1922 a Cluij l’intera popolazione studentesca è in rivolta, presto l’incendio divampa in tutta la Romania, Corneliu intuisce che si tratta di un momento decisivo per il futuro rumeno e ritorna in patria frettolosamente per mettersi a capo del movimento studentesco insieme a Mota, figlio di un sacerdote ortodosso, presidente di un circolo studentesco, con il quale nascerà un’amicizia profonda e perenne. Ben presto i due capiscono la necessità urgente di estendere la stessa lotta studentesca all’intero popolo della Romania.
Si avverte il bisogno di fondare un vero e proprio partito per continuare con maggiore incisività e radicamento le tesi partorite dai banchi universitari. "Occorre un nuovo strumento, ma occorrono soprattutto uomini nuovi", questo il vero assillo di Codreanu. Per questo viene avvicinato il professore Cuza, l’uomo all’epoca più prestigioso in tutto il Paese, che prenderà la presidenza della "Lega di Difesa Nazionale e Cristiana" al cospetto di oltre diecimila cittadini. È il periodo degli scontri più violenti negli atenei, l’Università è al centro della lotta e fornisce il nerbo dei dimostranti. Durante una di queste manifestazioni contro l’esercito, Codreanu viene arrestato per la prima volta e internato nella prigione della Porta Verde. Inizia così la lunga serie di arresti che condurrà il Capitano e i suoi una vera persecuzione politica e ad essere eliminati fisicamente senza lo straccio di un processo.
Nonostante la reclusione del Capitano, l’organizzazione del movimento procede a gonfie vele e viene celebrato il congresso per il 22-25 agosto 1923. In quell’occasione la polizia ordina di sbarrare la porta d’accesso della Chiesa dove si sarebbe dovuta tenere la cerimonia religiosa in suffragio degli studenti morti in guerra, quindi, come già avvenuto a Fiume, gli studenti del movimento si inginocchiano all’aperto e, circondati da una folla enorme, pregano in silenzio. Le provocazioni delle autorità procedono senza fine e gli studenti occupano le aule universitarie per tenere le proprie assemblee. Il Congresso si tiene illegalmente, il Capitano, ricercato dalla polizia, riuscirà a dare il suo contributo vestito da meccanico, non riconosciuto nemmeno dai suoi. Poco dopo Codreanu diventa popolarissimo anche tra i contadini, vessati da una situazione agricola nazionale molto precaria per l’eccessiva polverizzazione della proprietà terriera. La base studentesca, racconta in questi giorni Mota, è al limite della sopportazione. Nonostante il favore di Codreanu verso il metodo della non-violenza come arma di lotta, si decide di dare una volta per tutte un esempio "tremendo" della risolutezza della gioventù rumena. Viene insomma composta una lista di sei ministri da eliminare. La sera dell’8 ottobre 1923 mentre i congiurati sono riuniti per stabilire i dettagli dell’operazione, la Polizia irrompe nel luogo e arresta tutto il gruppo. Il delatore è uno degli stessi organizzatori: Vernichescu. Il processo che ne segue ha un epilogo eccezionale: Codreanu, come suo costume, si prende la paternità dell’azione e indica ai giurati le motivazioni ideali del getso. I giudici riconoscono la sola colpevolezza di Mota e i legionari vengono liberati dopo sette mesi di carcere. L’esperienza del carcere è centrale nella vita di Corneliu Zelea Codreanu. Dalla prigione uscirà un uomo completamente cambiato, rinnovato nell’animo. Il ricordo dell’icona dell’Arcangelo Gabriele, davanti alla quale il Capitano si era spesso ritrovato a riflettere e pregare in quei mesi, lo porterà ad assumere l’Arcangelo come protettore futuro del Movimento. Nella nuova fase l’azione di Corneliu ruota intorno al proposito di dare adeguata "educazione" a quella gioventù che crede ciecamente in lui e nella riscossa nazionale. "Prima dobbiamo conoscere e correggere i nostri difetti e poi vedere se abbiamo o no il diritto di occuparci anche di quelli degli altri". Con questo spirito di formazione interiore l’8 maggio 1924 ad Ungheni viene organizzato il primo campo volontario del mondo.
Il lavoro viene però interrotto molto presto dal Prefetto di Polizia Manciu che arresta tutti i presenti. Agli arrestati vengono inflitte vere e proprie sevizie, molti studenti vengono frustati a sangue. Il 25 ottobre il Capitano, che ha assunto le difese di uno studente torturato dal Prefetto, fa il suo ingresso in tribunale e alla prima scomposta reazione di Manciu tira fuori un revolver e lo fredda. Immediatamente arrestato viene internato nella prigione di Galata. La stampa inanime si schiera a suo favore, la popolazione è tutta incondizionatamente per lui; il processo, durato sei giorni, si svolge in un clima trionfale per il Capitano. Il verdetto lo conferma: Codreanu ha agito per legittima difesa ed è portato in trionfo fino a Iasi. Il 14 giugno 1924 il Capitano sposa la bellissima Elena Ilinoiu: la cerimonia, secondo il rito ortodosso, viene filmata. La colonna di invitati che segue la coppia supera i sette chilometri.
Mentre Codreanu è in Francia per conseguire il dottorato in Legge, la situazione in Romania si complica. I risultati elettorali sono soddisfacenti, entrano altri nove deputati in Parlamento, ma il professor Cuza non riesce a controllare la situazione sotto il profilo politico-strategico. Il gruppo parlamentare si spacca in due tronconi, per Codreanu la scelta è durissima. La decisione è di dare un taglio netto al passato. Il 24 giugno 1927 convoca per le dieci di sera i suoi amici più fidati, non servono molte parole; tutti già sanno. Il Capitano si alza in piedi : "Oggi, San Giovanni Battista, si costituisce la Legione dell’Arcangelo Michele, sotto la mia guida. Chi verrà con noi deve avere una fede illimitata, resti lontano chi non ne ha a sufficienza o nutre dei dubbi". La Legione è quanto di più lontano da un partito inteso in senso classico, è un movimento assolutamente originale per la creazione di un nuovo individuo, in rottura con l’uomo economico, pragmatista ed egoista, antiborghese e anticapitalista.
Cuza, informato da Codreanu della nascita della Legione, comprende la distanza che li separa, apprezza il grande coraggio dei legionari e li scioglie dal giuramento prestato all’atto della costituzione della Lega di Difesa Nazional-Cristiana.
In brevissimo tempo la Legione mette in allarme i vari centri del potere, la stampa contraria prima cerca di ignorare il fenomeno, poi incomincia ad ospitare gli articoli vibranti di Codreanu e dei suoi collaboratori. Il Capitano riesce a raggiungere il cuore del contadino come dello studente e dell’operaio con un linguaggio semplice e mai demagogico; le adesioni si moltiplicano.
Il 20 giugno del 1930, poco dopo il ritorno nel Paese di Carol II, si costituisce ufficialmente la "Guardia di Ferro" che sarà presto conosciuta con questo nome in tutto l’Occidente.
"I centri vitali della nostra esistenza nazionale sono attaccati... Difronte a questo pericoolo, mentre i politici lottano tra loro per banali liti, noi, figli di questa terra, teniamoci per mano e proclamiamo tutti insieme l’unione della gioventù rumena". Per dare maggiore valore simbolico dell’azione antibolscevica, che in Romania assunse caratteri di grande forza popolare, viene decisa una marcia sulla Bessarabia, un territorio oggetto delle mire espansionistiche della Russia. La stampa reagisce con una politica persecutoria, il governo temporeggia e poi vieta la manifestazione, conoscendo bene le simpatie della popolazione della Bessarabia per Codreanu. Sono in troppi ormai a temere seriamente la Guardia di Ferro: tutti i gruppi politici si coalizzano per stroncare il Movimento Legionario.
L’11 gennaio 1931 un decreto ne sancisce lo scioglimento, tutte le sedi vengono perquisite, migliaia di militanti interrogati e molti trattenuti in carcere. L’accusa pretestuosa è di aver intrapreso un’azione violenta contro la forma di Governo stabilita dalla Costituzione; ma mancando qualsiaisi prova concreta (documenti, armi, bombe) si contesta al Capitano di essere un "traditore" e di essersi fatto condizionare da modelli stranieri. Corneliu, come suo costume, smonterà una ad una tutte le accuse, i giudici sono costretti ad assolverlo, dopo che il Capitano ha comunque passato quasi due mesi in carcere come detenuto comune.
Il governo nazional contadino cade e si indicono nuove elezioni. Il Capitano decide di candidarsi al Parlamento rumeno con la lista chiamata "Partito di Corneliu Codreanu". Sarà eletto deputato il 31 agosto 1931 con 11.176 voti. Il primo discorso di Corneliu in Parlamento resterà famoso per il suo rigore: richiesta immediata della pena di morte per tutti coloro che si sono appropriati con la frode del denaro dello Stato. Prima delle successive elezioni il nuovo governo scioglierà nuovamente la "Guardia di Ferro". Dalle urne però il Movimento vedrà più che raddoppiati i consensi. Codreanu e i suoi riescono a penetrare nelle roccaforti delle province orientali ed a stabilire nuovi centri di diffusione tra le masse contadine.
"Noi e gli uomini di buon senso non abbiamo paura né del comunismo, né del bolscevismo. C’è una cosa che ci fa paura: è che gli operai di queste fabbriche non hanno a sufficienza da mangiare". Per Codreanu e i suoi compagni di partito il potere parlamentare è soltanto un "mezzo" per saziare la fame di giustizia sociale del Paese. Corneliu provvede a devolvere buona parte dell’indennità parlamentare alle casse della Legione, trattenendo per sé solo l’indispensabile.
Nell’estate del 1933 la Legione dà una grande prova di amore e di stile nell’affrontare le emergenze della nazione. Ciclicamente a Visani, il fiume Buzau, ingrossatosi per le piogge continue, straripa con conseguenze disastrose. Ogni volta lo stesso copione: il governo assicura il proprio interessamento, testimonia tutta la solidarietà e non fa nulla di serio. Il Capitano decide di sostituirsi alle carenze dei politici e di costruire sul fiume una gigantesca diga, lunga due chilometri, capace di imbrigliare il fiume. Il 10 luglio tutto è pronto, si tratta di un campo volontario di lavoro: l’entusiasmo è alle stelle. Ancora una volta il governo è contrario, gli ordini sono tassativi: la Polizia deve intervenire, molti studenti resteranno feriti gravemente. I Legionari in questa occasione attuano una "resistenza passiva": si sdraiano nel fango alto due palmi cantando "Dio è con noi".
Il clima è ormai di vero e proprio terrorismo politico: ai legionari diventa difficile perfino trovare una tipografia che possa stampare le loro pubblicazioni che di fatto vengono censurate. Codreanu ha in mente un’altra grande iniziativa: la costruzione della "Casa Verde", quartier generale del Movimento. Il problema annoso della mancanza di fondi viene risolto: circa cento militanti lavorano per tre mesi come operai in una fornace, richiedendo come unico compenso quotidiano un certo quantitativo di tegole e mattoni. In breve tempo la costruzione-simbolo è ultimata; qui si tengono le riunioni più importanti, qui un giorno riposeranno i martiri della Legione. In tutta la Romania strade, ponti, chiese ed opere pubbliche testimoniano la valida concretezza della "mistica del lavoro" della Guardia. Alla vigilia delle elezioni del dicembre 1933 però, il leader del partito liberale, Duca, intervistato a Parigi, dichiara che la Guardia è uno sporco esercito di mercenari al soldo di Hitler. Malgrado l’intervista fece il giro del mondo, la Guardia proseguì nel suo progetto anche grazie al successo di "Libertà", la rivista curata da Mota. Ma la repressione nei confronti del Movimento Legionario assume un’accellerazione fatale. Durante la campagna elettorale uno studente viene ucciso alle spalle da un ufficiale di polizia a Costanza, mentre affigge un manifesto. Il governo sente perdere il terreno sotto i piedi ed il Consiglio dei Ministri decreta per la terza volta lo scioglimento della Guardia di Ferro. Segue una folle ondata di arresti: 18.000 persone, tra le quali lo stato maggiore della Guardia. Il bilancio è atroce: 300 ammalati nelle prigioni, 16 morti e 3 tumulati vivi sottoterra. A questo punto tre legionari fatti torturare dal capo del partito liberale decidono che Duca deve morire. Il 30 dicembre il leader viene ucciso e subito dopo i tre si consegnano spontaneamente alle autorità, dichiarandosi pronti a scontare tutte le conseguenze della loro azione. Ma l’uccisione rinvigorisce la campagna contro la Legione che porta ad un nuovo processo. Ancora una volta Codreanu e altri 50 legionari sono assolti tra il tripudio del popolo. Una morte terribile li attenderà il 30 novembre 1938.
Va sottolineato che i rapporti tra la "Guardia di Ferro" e il Nazionalsocialismo tedesco iniziarono assai tardi (verso il 1936) e non furono mai lineari.
Questi legami tardivi e precari erano dovuti ad una serie di fattori. In primo luogo i "Guardisti" erano orgogliosamente convinti di essere stati gli anticipatori delle tendenze razziste che solo successivamente si manifestarono in Germania. In secondo luogo Codreanu era convinto che il nazismo si identificasse con il concetto di "razza" trascurando colpevolmente la religione.
La "Guardia di Ferro" intuiva - per molti versi non a torto - che il Nazismo puntava a divenire esso stesso "religione laica".
Il successore di Duca come Primo Ministro, Tatarescu, sebbene uomo energico, si mostra più comprensivo verso il Movimento Legionario, avendo capito che la strada delle persecuzioni spietate porta l’opinione pubblica, ormai conquistata dal coraggio dei ragazzi del Capitano, a ribaltare la situazione. Viene quindi ricostituita la Guardia su basi legali e nasce il partito "Tutto per la Patria" riconosciuto il 20 marzo 1935.
«La Legione... è uno stato spirituale, un'unità di sentire e vivere alla quale contribuiamo tutti. Membri, capi, numero, uniformi, programmi, etc. costituiscono la Legione visibile; l'altra, la più importante è la Legione invisibile. La Legione visibile, priva della Legione invisibile cioè di quello stato spirituale, di vita, non significa niente. Rimangono solo forme vuote senza contenuto».

«Né indossare la camicia verde, né eseguire il saluto sono sufficienti per diventare legionari. Nemmeno la comprensione "razionale" del movimento legionario, ma soltanto il conformare la propria vita alle norme della vita legionaria, perché la Legione non è soltanto un sistema di logica, una connessione di argomenti, ma uno "Stile di vita"».

«Creare un movimento significa, in primo luogo, creare, far nascere uno stato spirituale, che non abbia la sua sede nella ragione, ma nell'anima del popolo».

«In questo caso il CAPO non è più un "padrone", un "dittatore" che "fa quello che vuole", che governa secondo il suo "beneplacito": Egli è l'espressione di questo stato spirituale invisibile, il simbolo di questo stato di coscienza. Egli non fa quello che vuole, fa quello che deve».

«Noi non solo non eravamo finanziati dai capitalisti, ma io consiglio a chiunque diriga un movimento che abbia sane basi di rifiutare ogni proposta di finanziamento, se non vuole uccidere il movimento stesso: perché un movimento deve essere costituito in modo da poter produrre da solo, con la fede e il sacrificio dei suoi membri, esattamente quanto gli occorre per vivere e svilupparsi».

«... questa casta dei banchieri e degli uomini d'affari, degli arricchiti dai colpi di fortuna, questi uccelli di rapina, che stanno in agguato contro la società umana, saranno annientati».

«Per questo la pietra angolare da cui muove la Legione è l'uomo, non il programma politico; la riforma dell'uomo, non la riforma dei programmi politici. La Legione Arcangelo Michele sarà per conseguenza più una scuola e un esercito che un partito politico».

La Guardia di Ferro (Pentru Legionari, 1935)

« ... un partito politico è una società anonima di sfruttamento del voto universale; ... tutti i partiti sono democratici, poiché utilizzano il suffragio universale nella medesima maniera; .... trascurano gli interessi del popolo e del paese soddisfacendo soltanto gli interessi particolari dei loro partigiani; ... tutti i partiti commettono delitti, si tradiscono l'un l'altro, nessuno di loro applica punizioni contro i propri partigiani, altrimenti li perderebbe, né contro i loro avversari, poiché questi, a loro volta, commettono i loro stessi delitti; ... la democrazia ci dà l'impressione di una vasta complicità fra criminali; ... la democrazia è al servizio dell'alta finanza nazionale o internazionale giudaica ».
2) «Io faccio meno affidamento sugli uomini radunati in base ai programmi, i quali ti abbandonano nei casi difficili, che non su quelli reclutati sulla base delle grandi fedi, i quali saranno con te fino alla morte. Il nostro movimento legionario ha più il carattere di una grande scuola spirituale. Esso tende ad accendere fedi non sospettate, esso tende a trasformare, a rivoluzionare le anime. L'anima è il punto cardinale sopra il quale si deve operare nel momento attuale. L'anima dell'individuo è l'anima del popolo ».
3) « ... essere élite legionaria nel nostro linguaggio non significa soltanto lottare e vincere, ma significa: il permanente sacrificarsi. al servizio della stirpe, poiché il concetto di élite e legato al concetto di sacrificio, di povertà, di vita aspra e severa; ... giuriamo:
1. Di vivere in povertà, uccidendo in noi gli aspetti di arricchimento materiale.
2. Di vivere una vita aspra e severa rifiutando il lusso e il superfluo.
3. Di vanificare ogni tentativo di sfruttamento da parte dell'uomo sull'uomo.
4. Di sacrificarci continuamente per la nostra terra.
5. Di difendere il movimento legionario con tutte le nostre forze contro tutto ciò che potrebbe trascinarlo su strade di compromessi; o contro tutto ciò che potrebbe abbassare la sua sublime linea etica »




1933- MANIFESTAZIONE DELLA GUARDIA DI FERRO

I DIECI COMANDAMENTI
a cui il legionario deve conformarsi per non deviare dal suo cammino di gloria in questi giorni di oscurità, di sventura e di tentazione satanica. Affinchè tutto il mondo sappia che noi siamo legionari e restiamo legionari per l'eternità.
1. non credere in alcun modo alle informazioni, alle notizie sul movimento legionario lette su qualsiasi giornale - pur se questo appaia nazionalista - o sussurrate all'orecchio da agenti provocatori o anche da uomini onesti. Il legionario crede solo all'ordine e alla parola del suo Capo. Se questa parola non viene, significa che nulla è cambiato e che il legionario prosegue tranquillo per la sua strada.
2. Stai bene attento a chi frequenti. E valutalo come si deve, sia quando è un avversario che vuole ingannarti, sia quando è un amico stolto che è stato ingannato da un avversario.
3. Guardati come da una grande calamità dallo sconosciuto che ti esorta a fare qualcosa. Egli ha un interesse e vuole perseguire il suo interesse tramite te, opppure vuole compromettere te di fronte agli altri legionari. Il legionario agisce soltanto in base a un ordine o per sua spontanea iniziativa.
4. Se qualcuno vuole tentarti o comprarti, sputagli in faccia. I legionari non sono nè stupidi nè merce d'acquisto.
5. Evita coloro che vogliono farti doni. Non accettare nulla.
6. Allontanati da coloro che ti adulano e ti lodano.
7. Dove esistono soltanto tre legionari, costoro vivono fra loro come fratelli: unità, unità e ancora unità! Sacrifica tutto, immola te stesso, i tuoi desideri e l'intero tuo egoismo per questa unità. Essa, l'unità, ci darà la vittoria. Chi è contro l'unità, è contro la vittoria legionaria.
8. Non parlar male dei tuoi camerati. Non accusarli. Non mormorare all'orecchio degli altri e non tollerare che si venga a mormorare al tuo.
9. Non spaventarti se non ricevi ordine, notizia, risposte alle lettere, o se ti pare che la lotta ristagni. Non allarmarti, non prender le cose sul tragico, giacchè Dio è al di sopra di noi e i tuoi capi conoscono la via giusta e sanno quello che vogliono.
10. Nella tua solitudine prega Dio in nome dei nostri morti, affinchè ci aiuti a sopportare tutti i colpi sino alla fine delle sofferenze, sino alla grande resurrezione e alla vittoria legionaria.
Marzo 1935, C. Z. Codreanu - da "Capo di Cuib"
I QUATTRO CARDINI DELLA VITA LEGIONARIA

 
Nella fase iniziale quattro erano i nostri elementi cardinali:
1)La Fede in Dio. Credevamo tutti in Dio; non c’erano atei in mezzo a noi. Quanto più soli e circondati da nemici eravamo, tanto più il nostro pensiero si elevava a Dio e ai grandi morti della nostra stirpe. Questa comunione ci dava una forza invincibile e una serenità di fronte a tutte le avversità.
2)La fede nella nostra missione. Nessuno di noi aveva motivo di prospettarsi la minima speranza nella nostra vittoria. Eravamo così pochi, così giovani, così odiati e perseguitati da tutti,…Eppure andavamo avanti, grazie alla fede nella nostra missione, alla fiducia illimitata nella vitalità della stirpe e nelle nostre forze.
3)L’amore reciproco. …. L’amore all’interno del cuib doveva essere la medesima intensità e forza di pressione dell’odio esterno. Nel Cuib la nostra non era più una vita fredda e ufficiale, segnata dalle distanze tra capo e semplice militante, da dichiarazioni retoriche e toni di superiorità. Il nostro cuib era una famiglia, in cui regnava un’atmosfera fraterna… Al cuib non si veniva soltanto per ricevere ordini: qui si trovava un raggio di affetto fraterno, una parola amica, un’ora di calma spirituale, una parola d’incoraggiamento e d’incitamento, un conforto, un aiuto cameratesco nella disgrazia e nel bisogno.Al legionario non si richiedeva tanto la disciplina da caserma, quanto lealtà, fedeltà, abnegazione e laboriosità.
4)Il canto. Noi c’eravamo messi in marcia senza rimuginare in precedenza problemi, senza scervellarci notti intere su punti programmatici, senza accese discussioni durate ore e ore, senza profonde riflessioni filosofiche, senza riunioni di gruppo, ecc… Proprio perché avevamo lasciato da parte tutto questo, l’unica possibilità di manifestare il nostro stato interiore era il canto, e cantavamo quei canti che esprimevano appieno i nostri sentimenti, quei canti che ci davano forze…

Corneliu Zelea Codreanu
(per i Legionari)

I nemici storici di Codreanu, frattanto, approfittando dell’invidia di un deputato della Guardia nei confronti del Capitano, si accordano con lui per fare fuori il capo della Legione. L’autore dei due tentativi falliti di uccisione di Codreanu è Stelescu. Prima si serve di un allievo delle scuole normali che, appostato dietro una finestra, avrebbe dovuto sparare contro Corneliu, poi (in caso di insuccesso) aveva previsto un piano per avvelenarlo con il cianuro di potassio. Secondo le leggi legionarie Mihai Stelescu sarebbe dovuto essere giudicato dai suoi compagni ed espulso dal Movimento, mentre se si fosse pentito avrebbe potuto far ritorno nella famiglia della Guardia come un figliol prodigo. Invece costui, accecato dall’ambizione, continua a condurre una campagna scandalistica contro la Legione. Fonda così "La Crociata del Rumenismo" con il chiaro scopo di far concorrenza a Codreanu e lancia sulla stampa accuse gravissime e infondate a Corneliu, ma nessuno degli appartenenti all’ex Guardia di Ferro si lascia ingannare. Per l’etica legionaria la colpa più grave e ignobile è quella del tradimento dei propri fratelli di lotta o amici. Gli ambienti estremisti della Guardia decidono quindi la morte del traditore. Il 16 luglio 1936 infatti il gruppo dei "Decenviri" raggiunge Stelescu in ospedale e lo uccide. Si tratta dell’unico esempio di tradimento in seno alla Legione dalla sua fondazione.
Nonostante questo episodio la fama di Codreanu varca i confini della Romania e si diffonde in Europa. In una lettera indirizzata al re alla fine del 1936 il Capitano si fa interprete del ribaltamento della politica rumena e di un avvicinamento alle altre nazioni dalle rivoluzioni nazionali. Moltissimi in Italia parlano in termini entusiasti dell’esperimento legionario rumeno.
Nel 1936 Codreanu inviò in Spagna un gruppo di volontari per combattere nel Tercio per "la vittoria della Croce" minacciata "dalla barbarie e dai sacrilegi dei comunisti". Nel 1937 i caduti in Spagna vennero accolti in patria da un corteo a cui parteciparono 400 preti. Dei diecimila preti della Romania, 2.000 erano iscritti alla Legione dell'Arcangelo Michele. Il filosofo Emil Cioran e lo storico delle religioni Mircea Eliade si schierarono a fianco della Legione. È giunta l’ora per i capi legionari: Codreanu, Mota, Marin e Sima, decidono di fare il grande salto di qualità. Percorrono la propria terra in lungo e in largo per scuotere la gioventù e rompere col vecchio mondo. La Legione comprende chiaramente che le scelte di civiltà si fanno su scala europea. Sono circa 10.000 i legionari che vogliono arruolarsi volontari nell’armata di Franco in Spagna, tra questi Ion Mota, braccio destro di Codreanu, e Vasile Marin, uno dei più grandi avvocati di Bucarest, troveranno la morte arma in pugno il 13 gennaio 1937. Nella capitale rumena una cerimonia grandiosa attende i due legionari caduti: oltre 300.000 persone fanno da ala al corteo funebre. Il Capitano, in ricordo dei due indimenticabili legionari, decide di creare il corpo scelto "Mota-Marin".
Il 26 gennaio 1937 sosteneva pubblicamente che "Il movimento legionario non indulgerà mai nell'idea di servirsi di un complotto o di un colpo di Stato per giungere alla vittoria. Il movimento legionario può vincere soltanto con il compimento di un processo interno di presa di coscienza della nazione romena. La vittoria che otterremo in questo modo sarà così grande e così luminosa che non accetteremo mai l'idea di sostituirla con una vittoria a buon mercato sorta da un complotto o da un colpo di Stato".
Il processo di "legalizzazione" della "Guardia di Ferro" si sviluppò contemporaneamente alla eliminazione dell'ala destra del movimento e ad un maggior collegamento con il fascismo italiano e il nazismo tedesco. Il 30 novembre 1937 Codreanu dichiarava esplicitamente i suoi programmi in politica estera: "Sono per una politica estera romena al fianco di Roma e Berlino, al fianco di quegli Stati che hanno compiuto rivoluzioni nazionali contro il bolscevismo. Quarantotto ore dopo la vittoria del movimento legionario la Romania avrà una nuova alleanza con Roma e Berlino ed inizierà il cammino verso la sua missione storica nel mondo per la difesa della croce, della cultura e della civiltà cristiana".
La "legalizzazione" del movimento e i fondi provenienti dall'Italia e dalla Germania furono le carte vincenti per le elezioni che si tennero il 20 dicembre 1937. Il partito ottenne il sedici per cento dei consensi e sessantasei seggi al Parlamento.Sul fronte elettorale la situazione con il partito "Tutto per la Patria" è ormai matura; la campagna elettorale incandescente viene affrontata con grande dignità e coerenza. "Non dite -racconta Codreanu- votate per noi perché gli altri sono cattivi, ma date a noi il vostro voto per quello che abbiamo fatto di buono. Andate fra la gente con allegria, parlate solo di cose costruttive... comunicate gioia e luce". I risultati del dicembre 1937 sono clamorosi: la lista del Capitano porta alla Camera ben 66 deputati e supera del 6,43% il partito Nazional-Cristiano. A formare il governo però viene chiamato questo partito, di Cuza e Giova. La manovra del re è perfida: il ministro Goga, facilmente manovrabile dall’alto, deve erodere le posizioni del Movimento di Corneliu Zelea Codreanu, ma la popolarità del Capitano continua invece ad aumentare. Il governo Goga fallisce completamente il suo obiettivo e torna il Terrore. L’11 febbraio 1938 con un colpo di stato, il re Carol sospende la Costituzione, scioglie i partiti ed instaura una vera e propria dittatura personale. Il colpo di stato, covato dal sovrano per oltre dieci anni, è la chiara testimonianza dell’ultima chance di un mondo ormai completamente alla deriva. Viene creato un partito unico "Il Fronte della Rinascita Nazionale", al dicastero degli interni viene chiamato Calinescu, che ha dato numerose prove di avversione alla Guardia di Ferro.
Le reazioni di Codreanu sono estremamente caute e responsabili, una mossa falsa avrebbe compromesso la vita di tanti legionari. Il 21 febbraio 1938 Corneliu convoca i giornalisti ed inaspettatamente dichiara la volontà di chiudere il partito. "Noi, manifestando la nostra fede, abbiamo inteso agire in conformità con la legge, non vogliamo usare la forza. Siamo lontanissimi dall’idea di colpi di Stato". I pieni poteri a Calinescu significano inequivocabilmente una nuova ondata repressiva. Il pretesto per incriminare Codreanu è fornito da una lettera inviata allo scrittore e uomo politico Iorga, nella quale il Capitano rimproverava al grande nazionalista rumeno di aver tradito le aspettative della gioventù. La Magistratura, informata della lettera da un articolo dello stesso Iorga, condanna Corneliu a sei mesi di carcere per oltraggio. Contemporaneamente Calinescu ordina che tutti i Legionari siano internati in campi di concentramento. Il Capitano, che potrebbe rifugiarsi all’estero, non se la sente di lasciare i compagni e la sua terra consapevole della imminente fine. I rapporti difficili tra il Capitano ed il generale e poi maresciallo Ion Antonescu fanno comprendere a pieno la drammaticità della parabola finale della Guardia di Ferro. Fin dal ‘24 Antonescu, simbolo del perfetto soldato rumeno, nonostante una indubbia stima personale per Codreanu gli aveva riservato giudizi molto pesanti e dopo il colpo di stato del 1937 aveva ottenuto il tanto ambito Ministero della Difesa.
Con questa carica Antonescu si dimostra intransigente assertore dell’ordine pubblico, applicando limitazioni severissime ai manifestanti. Dopo l’affare però Iorga si oppone duramente all’arresto di Codreanu. Senza Antonescu alla Difesa viene ricostituito il governo del Patriarca e la fine per il Capitano è alle porte. Corneliu Zelea, in venti anni di fervida attività politica, ha subìto numerosi processi terminati tutti con assoluzioni piene eppure tutto ciò viene dimenticato. Si rispolverano vecchie e ridicole accuse, si riaprono processi di anni prima, si inventa una lettera ad Hiltler mai scritta... Per dieci lunghe ore il Capitano si difende strenuamente, testimoniando la sua totale innocenza ed estraneità ai fatti che gli vengono contestati. La stampa si vede censurate le cronache del processo, anche se l’opinione pubblica è tutta ancora con il fondatore del Movimento Legionario; il collegio dei giudici, formato da Galinescu, lo condanna a dieci anni di carcere. Il calvario del Capitano inizia il 17 aprile 1938; durante i giorni di prigionia Codreanu tiene un diario, che sarà pubblicato dopo la sua morte, che ci offre la fotografia reale della sua immensa forza interiore e grandezza d’animo. "Fede e Amore, non le ho perdute, ma sento che a un tratto si è disseccato il filo della speranza. Sono 60 giorni che dormo vestito sul tavolato e su questa stuoia, 60 giorni e 60 notti che le mie ossa succhiano, come una carta assorbente, l’umidità che trasuda dalle pareti e dal pavimento".
Anche in queste condizioni il Capitano fa paura. Governo e Sovrano sanno bene che la "gente" guarda ancora e sempre a lui come l’unico uomo capace di risolvere i problemi secolari della Romania.
Per ordine di Calinescu e col pretesto di un inesistente tentativo di fuga, Corneliu Zelea Codreanu, il 30 novembre 1938, viene fatto strangolare insieme a tredici legionari durante un trasferimento da un carcere ad un altro.
Carlo II temeva ancora Codreanu e ordinò di farlo uccidere in prigione. Nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1938 Codreanu venne strangolato e poi colpito a fucilate alle spalle per far credere ad una fuga. Il cadavere fu poi distrutto con l'acido solforico. L’annuncio ufficiale della morte dato dal Comando della Seconda Divisione Militare, al quale nessuno crede, afferma che durante il trasferimento ad una trentina di chilometri da Jilava il convoglio si ferma per un guasto al motore, i prigionieri approfittano di questo "strano incidente" per cercare di evadere e i gendarmi si vedono costretti ad aprire il fuoco. Più tardi il Maggiore Dinulescu, che diresse l’assassinio per ventimila lei, e l’autista confessarono la tremenda verità.
Nel luglio 1940 Indro Montanelli è a Bucarest, inviato speciale del “Corriere della Sera”. Alla guida del paese si è appena insediato il governo Gigurtu: ne fanno parte anche tre ministri legionari (tra cui Horia Sima) e un ministro degli Esteri, Manoilescu, che è il teorico romeno del corporativismo e simpatizza per il Movimento legionario. Il nuovo governo, sperando di indurre il Reich a proteggere la Romania dalle mire revisioniste di Ungheresi e Bulgari, cerca di staccarsi dal vecchio sistema di alleanze e di avvicinarsi all’Asse.
Nelle sue corrispondenze da Bucarest, Montanelli esordisce informando i lettori italiani circa i riflessi che il nuovo corso politico ha prodotti nel settore petrolifero: “Il petrolio romeno era in mano di sette società con capitale anglo-franco-belga-olandese (...) dominate da un ebreo tedesco trasformatosi in cittadino britannico, Otto Stern (...) È la fine dell’onnipotenza dello Stern” (25 luglio). E non solo dello Stern: “Uno dopo l’altro, i pezzi grossi della cricca giudaica prendono il largo. Gli dèi del vecchio Olimpo se ne vanno” (3 agosto).
Ma l’allineamento di Bucarest sulle posizioni italo-tedesche è arrivato troppo tardi e con l’arbitrato di Vienna del 30 agosto la Grande Romania deve restituire agli Ungheresi metà della Transilvania. Montanelli, trasferitosi in Ungheria, assiste al tripudio magiaro nella città di Debrecen: nella vicina puszta di Hortobágy, i butteri “benedicono al Duce e al Führer” (31 agosto).
Nei giorni successivi l’inviato speciale del “Corriere della Sera” è a Budapest, da dove spedisce in Italia un paio di articoli; ma così Montanelli si perde il grande evento della rivoluzione legionaria, che esplode in Romania il 3 settembre, costringendo il re Carol II a partire per l’esilio e portando al potere un governo nazional-legionario presieduto dal generale Ion Antonescu.
Tornato a Bucarest, sul “Corriere” dell’11 ottobre Montanelli rievoca la figura di Corneliu Codreanu, a due anni dalla morte. Esordisce così: “Codreanu era alto un metro e novanta, e aveva spalle in proporzione. Il collo, forte alla base, gli si snelliva in alto e l’attaccatura alla testa era gracile e delicata, quasi da fanciulla. Il viso era ovale e puro, sempre serio, con due rughe sottili fra le sopracciglia le quali erano nere e folte”. Il giornalista sottolinea l’ascetismo del Capitano: “Era sobrio fino all’astinenza. Digiunava il martedì e il venerdì fino alle cinque del pomeriggio (...) Non si curava delle donne. E anche per questo, forse, non si curava dei suoi vestiti”. Ne tratteggia il disinteresse e la generosità: “Non aveva nessuna idea del denaro (...) Sua moglie doveva sottrargli di nascosto il denaro, quando ce n’era, per impedirgli di farne dono ai poveri e agli amici, che erano poveri anch’essi”. Generoso anche con gli animali: in carcere, un cane “prendeva dalle mani del Capitano una metà del suo rancio”, regolarmente.
L’articolo riesce ad avvicinare il lettore italiano ad una realtà poco familiare e a comunicargli un senso di ammirazione profonda per la ricca umanità di Corneliu Codreanu; ammirazione che lo stesso Montanelli ebbe a confermarci una decina d’anni or sono, allorché in un colloquio telefonico ci volle dichiarare la sua netta contrarietà a una progettata ristampa delle sue corrispondenze dalla Romania.
I titoli di queste corrispondenze sembrano riferirsi ai capitoli di un romanzo d’avventure. Dopo Codreanu e i suoi vendicatori, abbiamo: La casa della favorita, L’ultima avventura del generale Cantacuzène, Nello Spielberg romeno, Le cento evasioni di Horia Sima.
Guidato dai legionari, suoi amici del momento, Montanelli effettua una visita alla casa della Lupescu-Grünberg, trasformata in museo in seguito alla partenza della “favorita”, che aveva seguito in esilio Carol II. Pubblica poi una biografia, condita di gustosi aneddoti, del generale Cantacuzino, figura leggendaria di soldato che aveva aderito al Movimento legionario quando “il caso lo portò in uno di quei campi di lavoro che il Capitano organizzava un po’ per aiutare i contadini poveri, un po’ per riportare i suoi uomini al contatto con la terra” (15 ottobre). Incontra Horia Sima e sintetizza in tre colonne del “Corriere” (22 ottobre) quella storia rocambolesca che quarant’anni più tardi il Comandante narrerà per filo e per segno nel Crollo di un’oligarchia (1).
Sempre in quell’intensissimo mese di ottobre, Montanelli si fa accompagnare nel carcere di Jilava e si fa mostrare a uno a uno, nelle loro celle, i responsabili dell’assassinio di Codreanu. Uno è “piccolo, grassottello, col viso acceso dall’alcole, grosso papavero della massoneria, ricco a milioni”; un altro è “grasso, olivastro, occhi torbidi e strabici, la sua cella profumava come l’alcova di una cocotta”; un altro, “piccolo, grasso, occhi a fior di pelle, pare un gorilla”. E così via, finché il lettore ha davanti a sé una vera e propria galleria del grottesco e dell’orrido. Solo un mese più tardi, i “bonzi di Jilava” saranno giustiziati con un’esecuzione sommaria: esasperati per i ritardi dell’iter giudiziario e sconvolti dal ritrovamento dei cadaveri sfigurati di Codreanu e degli altri tredici strangolati assieme a lui, alcuni legionari faranno irruzione nel carcere e spareranno sui detenuti eccellenti.
L’ultimo articolo, del 23 ottobre, è inviato da Galatzi, una città vicina al confine con la Bessarabia, la regione romena annessa all’URSS qualche mese prima e trasformata in Repubblica Socialista Sovietica Moldavia. Da Galatzi, Montanelli può assistere all’esodo dei Volksdeutsche di Bessarabia, centocinquantamila contadini che raggiungeranno il territorio del Reich navigando sul Danubio.
(1) Horia Sima, Il crollo di un’oligarchia, 2 voll., Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1986-1987.
A sinistra, una immagine che riporta l'icona dell'Arcangelo Michele dinanzi alla culla del "Capitano". L'adozione dell'Arcangelo Michele come protettore della "Guardia di Ferro" derivò da una specie di visione mistica occorsa a Codreanu.

 
Ora tutti sapete che cosa sia un cuib: un gruppo d'uomini sotto il comando di un singolo. Il cuib non ha comitato. Esso ha solo un capo che comanda, un corrispondente che porta la corrispondenza, un cassiere che raccoglie i contributi e un corriere che tiene i rapporti con altri cuiburi e con il capo-circondario. Tutti costoro, come veri fratelli, obbediscono al loro camerata che adempie la funzione di capo cuib.


Punto 3. Le sei leggi fondamentali del cuib.
Queste sono state largamente trattate nelle vecchie direttive del cuib (direttive abolite totalmente con la pubblicazione del presente).
Le enumeriamo qui:
La legge della disciplina: sii legionario disciplinato, ché solo in questo modo sarai vittorioso. Segui il tuo capo nella buona e nella cattiva fortuna.
2) La legge del lavoro: lavora. Lavora ogni giorno. Lavora con amore. Ricompensa del lavoro ti sia non il guadagno, ma la soddisfazione di aver posto un mattone per la gloria della Legione e per il fiorire della Romania.
3) La legge del silenzio: parla poco. Parla quando bisogna. Di' quanto bisogna. La tua oratoria è l'oratoria dell'azione. Tu opera; lascia che siano gli altri a parlare.
4) La legge dell'educazione: devi diventare un altro. Un eroe. La tua scuola, fattela tutta nel cuib. Conosci bene la Legione.
5) La legge dell'aiuto reciproco: aiuta il tuo fratello a cui è capitata una disgrazia. Non abbandonarlo.
6) La legge dell'onore: cammina soltanto per le vie indicate dall'onore. Lotta, e non essere mai vile. Lascia agli altri le vie dell'infamia. Piuttosto di vincere per mezzo di un'infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell'onore.
Il cuib riunito è un tempio. Entrando in cuib ti spogli di tutte le piccole questioni e consacri per un'ora i tuoi puri pensieri alla Patria. L'ora della seduta del cuib e l'ora della Patria. La completa armonia deve risultare non solo dall'amicizia dei legionari riuniti, ma soprattutto dalla loro comunanza d'ideale. Là, in cuib, si innalzeranno preghiere a Dio per la vittoria della Legione, si canteranno i canti insegnati dalla Legione, si parlerà dei morti: martiri, eroi, caduti per la Legione, compagni morti nella fede legionaria, amici, genitori, nonni e antenati -rievocando le anime loro.
In linea generale, in cuib non si darà luogo a discussioni accese, violente, a polemiche. Parlare il meno possibile, meditare il più possibile: nulla deve turbare la maestà del silenzio e della perfetta comprensione. Si faranno esercizi di silenzio completo.
Se il capo di cuib fissa la seduta alle 9, tutti devono disporre i loro impegni in modo da non venire né troppo presto né troppo tardi. Nessuno faccia aspettare l'altro. Il legionario deve essere uomo di parola. Quando ha dato una parola, deve mantenerla. Il paese è pieno di gente che dice molte parole, ma che non mantiene mai quanto dice. Quando prometti qualcosa, pensaci bene. Se credi di non potere, dillo francamente: è meglio!
Il Legionario, quando viene in cuib, deve avere il cuore puro. Non vi si rechi con propositi di lite, di risentimento, poiché in cuib nessuno ha il permesso di litigare. Quando il legionario avrà voglia di battersi, vada fra i nemici.
Le cose grandi e buone si operano con cuore puro, poiché, laddove è cuore puro, lì c'è Dio, mentre dove esiste un cuore malvagio, là si è ficcato il diavolo. Perciò dove c'è un cuore malvagio nemmeno il lavoro produce buoni risultati: tutto va alla rovescia. Di chi sarchia con cuore cattivo si dice che nemmeno il granoturco cresce sul suo terreno.
All'ora stabilita, dopo che i membri del cuib si sono radunati, il capo del cuib si alza e grida con voce militaresca:
Camerati!
A questo segnale tutti scattano in piedi. Volgono la faccia a oriente e salutano col braccio teso: e un saluto al cielo, alle altezze, e al sole, simbolo della vittoria della luce e del bene.
L'iniziativa è il fiore più bello che un comandante può portare. Il capo che assume sopra di sé la responsabilità dell'iniziativa deve sapere che essa può determinare l'ingrandimento dell'organizzazione, ma può causare anche molto danno, secondo che un capo se ne serva bene o male. Egli non ha, in special modo, il permesso:
a) di stampare alcunché in nome dell'organizzazione senza l'approvazione dell'Ufficio Centrale della Stampa Legionaria.
b) Di scrivere ordini o lettere dal contenuto sconsiderato, che possano essere male interpretate da coloro cui si indirizzano o dagli avversari.
c) Di gettare la sua unità in azioni disordinate, baldorie, gozzoviglie o azioni scandalose ecc.
d) Non ha il permesso di trattare e neppure di concludere alcun accordo politico con persone di altri gruppi, senza l'approvazione diretta del Capo della Legione.
e) In generale un capo, come anche un legionario, deve stare attento a non promuovere nessuna azione che potrebbe mettere in pericolo, danneggiare o disonorare la Legione.
Quando si prende l'iniziativa?
a) L'iniziativa si prende quando non esiste nessun ordine preciso dato dai capi gerarchici. Se c'è un ordine si esegue l'ordine.
b) Se nel frattempo la situazione è cambiata, il capo di cuib, come ogni comandante, dietro sua responsabilità, prenderà misure di propria iniziativa, riflettendo però con lucidità, affinché l'organizzazione ne ritragga il maggior vantaggio possibile.
c) Se per caso c'è, sul luogo, un capo legionario più autorevole del capo di cuib, il capo di cuib non ha più iniziativa. Il comando, l'iniziativa e la responsabilità le prende il legionario di grado più elevato.
Fuori dei casi qui previsti, il capo di cuib possiede un'ampia iniziativa. Egli prenderà decisioni in base al potere che gli è dato, in armonia con tutti i militanti del cuib, allo scopo di servire la causa legionaria. Subito dopo aver preso un'iniziativa, ne riferisce a1 Capo di distaccamento. Dopo averla eseguita, comunica: «Porto a vostra conoscenza che la decisione, da noi presa, di eseguire... è stata oggi da me portata a termine, con nostra gioia di averla potuta condurre a buon fine».
Il Capo della Legione valuta un capo legionario secondo la sua capacità di iniziativa. I capi migliori e i cuiburi migliori sono quelli che assumono le iniziative migliori e le portano a termine.
Come si è visto fino ad ora, l'obiettivo del legionario non è la campagna elettorale, ma la campagna elettorale è di un'importanza grandissima, poiché è la sola via che la legge ci mette a disposizione per determinare qualunque mutamento che noi desideriamo per il paese.
La sorte del paese per 3 o 4 anni, talvolta anche per un arco di tempo più lungo, viene sancita nel giorno delle elezioni. In quel momento l'elettore è arbitro del paese. Ciò che egli, col suo voto, deciderà, si verificherà. E proprio per questo nel giorno delle elezioni girano i compratori d'anime dei partiti politici con denari, con bevande alcooliche, con cibi, per acquistare voti. Contro il malcostume dei politicanti noi dobbiamo opporre la fede nei giorni migliori per la stirpe romena e allora vinceremo, così come abbiamo vinto a Tutova, a Neamtz ecc.
Ecco perché il capo di cuib dovrà attribuire grande importanza alla campagna elettorale
Un capo legionario non prometterà se quello che noi possiamo fare. Noi non promettiamo danaro, non promettiamo acquavite, non promettiamo cariche. Noi non compriamo col danaro gli animi umani. Coloro che vengono in nome di Dio non fanno ciò. Soltanto chi viene in nome di Satana compera gli animi col denaro.
Un capo legionario dirà: Non promettiamo denaro, ma promettiamo giustizia.
Non promettiamo di fare qualcosa per te, ma promettiamo di agire, di lottare per la nostra terra.
Chi vuole lottare per la giustizia e per l'onore del paese, chi vuole agire per la sua terra, chi vuole sacrificarsi accanto a noi, venga con noi.
Il capo di cuib deve tener scuola a tutti i legionari e dir loro che il nostro scopo non è quello di eleggere un numero di 5, 10, 20 deputati. Esso risulta molto più grande, molto più santo e molto più difficile.
Noi dobbiamo far si che tutta la Romania divenga legionaria.
Un legionario non chiede. Egli dice: non abbiamo bisogno di denaro o di impieghi. Dateci leggi giuste nel paese, perché con leggi giuste, grazie al nostro lavoro, avremo denaro ed esistenza dignitosa. I deputati legionari non possono correre per i ministeri con 2.000 richieste per 2.000 persone, mentre 14 milioni di contadini, lavoratori, impiegati devono aspettare e ancora aspettare il giorno della loro giustizia. I deputati legionari non daranno una sistemazione a 5 o 6 loro partigiani di un villaggio, come fanno i partiti politici, lasciando l'infelice moltitudine dei poveri a lavorare tutta la vita come bestie da soma. E poi, se un deputato legionario prega un ministro di rendergli un servigio per 1, 2, 3 persone, il giorno seguente è il ministro che prega il legionario di chiudere un occhio sulle leggi che egli fa e di non combatterle. Perciò i capi legionari dovranno spiegare queste cose a tutti e fare della vera scuola legionaria. Essi devono dire queste cose a tutti. Se siamo entrati nella Legione, non chiediamo nulla per noi, ma diamo. Diamo anima, diamo lavoro, diamo sofferenza, diamo tutto quanto abbiamo, per il santo giorno della vittoria della stirpe romena.
Che cosa faranno i capi di cuib prima delle elezioni.
a) Insegneranno il nostro simbolo elettorale a tutta la gente del villaggio.
Il simbolo deve essere tracciato sulla carta, in maniera che anche i bambini del villaggio lo possano conoscere alla perfezione. Si interesseranno presso il capo di circondario per sapere su quale pagina della scheda elettorale è stampato il nostro simbolo e spiegheranno per tempo alla gente se si trova a pagina 1, 2 o 3.
b) Faranno in modo che il simbolo sia riprodotto col gesso, con la calce o col catrame sia nel villaggio sia sulla strada fuori del villaggio.
c) A ogni uomo del cuib saranno affidati almeno cinque contadini del villaggio, che egli dovrà cercare di convincere a votare per la Legione.
d) Il legionario non crederà mai e non lascerà che altri credano alle menzogne che gli avversari divulgheranno sul conto nostro: che la lista è stata ritirata, che il nostro simbolo non si trova sulla scheda elettorale, che la nostra organizzazione è stata legalmente disciolta, che nessuno può votare per la Legione, che chi dirà ancora qualcosa sulla Legione verrà punito, che siamo stati arrestati, picchiati, uccisi, fucilati, ecc. Tutte queste menzogne le dicono gli avversari sul conto nostro in tempo di campagna elettorale per sviare gli elettori affinché essi non votino per noi. Altri poi cercano di ingannare la gente sostenendo che saremmo cuzisti anche noi. I legionari risponderanno: non siamo e non saremo mai cuzisti!
e) È molto probabile che fino al villaggio vicino non arrivi nemmeno un nostro manifesto, sia per mancanza di fondi, sia perché i manifesti sono stati bloccati alla posta. I capi dei cuiburi del rispettivo comune faranno quello che potranno, per esempio piccoli manifesti scritti a mano e lotteranno svolgendo propaganda presso le persone.
f) È ugualmente possibile che nessun nostro candidato possa entrare fino a quel villaggio. I capi di cuib prepareranno per tempo la gente a una simile eventualità affinché essa non rimanga scoraggiata.
g) Cercheranno di prender parte a tutte le riunioni indette dagli avversari politici, per sentire ciò che vi si dice e per poter illuminare la gente dopo la loro partenza dal villaggio.
Il legionario, nella parola e nello scritto, deve essere breve, chiaro e preciso. Le chiacchiere lunghe e ingarbugliate sono le chiacchiere della democrazia.
Il legionario non giudicherà un uomo secondo il suo abito e non farà mai distinzione fra un uomo povero con abiti modesti e un uomo con abiti buoni. Il legionario giudicherà le persone secondo ciò che esse hanno sotto l'abito, cioè secondo il loro animo.
Ci sono molti vestiti malandati che nascondono sotto di loro tesori d'oro nel cuore!
Il legionario che si approprierà di denaro che non gli appartiene, che amministrerà in modo disonesto il denaro della Legione e di qualsiasi persona; colui che non potrà render conto, conforme all'impegno, del denaro incassato dalla vendita di opuscoli, giornali, distintivi, ecc., verrà eliminato per sempre dalla Legione, quale che sia la posizione che egli occupi in essa.
In questa organizzazione non possono crescere se non uomini d'onore.
Un piccolo furto non può lasciarci indifferenti, poiché, in definitiva, esso non è che la semenza di grandi furti, semenza che, sviluppandosi a causa della nostra tolleranza, potrebbe crocifiggere di nuovo, con le ruberie, il popolo romeno e questa terra.
Colui che entra in questa lotta, deve sapere fin dall'inizio che dovrà soffrire. Dopo la sofferenza viene sempre la vittoria. Colui che saprà soffrire, quegli vincerà.
Perciò noi legionari accetteremo le sofferenze con onore. Ogni sofferenza è un passo verso il riscatto, verso la vittoria.
Una sofferenza non scoraggerà il legionario, ma lo renderà d'acciaio, temprerà il suo spirito. Coloro che hanno sofferto ed ancora soffriranno, saranno veramente eroi della lotta legionaria. La benedizione della Patria si stenderà sopra di loro e sopra le loro famiglie.
Il legionario non fugge il pericolo, non si nasconde dietro gli alberi. Al contrario, egli si mostra laddove il pericolo è più grande.
La Legione è anche contro coloro i quali, benché lottino, sono spinti da un movente spirituale inferiore: «Desiderio di guadagno, godimento di un beneficio, creazione di una posizione». Costoro, conseguendo la vittoria, cominciano a divorarla.
Di fronte a lei, il legionario si presenta non con diritti di cittadinanza, ma con sacri doveri. La mira del politicante è di accumularsi dei beni; la nostra, è di costruirci una patria florida e potente. Per lei lavoreremo e costruiremo. Per lei faremo di ogni Romeno un eroe, pronto alla lotta, pronto al sacrificio, pronto alla morte.
In questo uomo nuovo dovranno rivivere tutte le virtù dello spirito umano. Tutte le qualità della nostra razza. In questo uomo nuovo dovranno essere uccisi tutti i difetti e tutte le tendenze al male. 
In questo tipo d'eroe -eroe in senso militare, affinché egli possa con la lotta imporre il suo punto di vista; eroe in senso sociale: incapace di sfruttare, dopo la vittoria, il lavoro altrui; eroe del lavoro, gigante creatore della sua terra per mezzo del lavoro- deve essere concentrato tutto ciò che il popolo romeno ha potuto raccogliere di superiore in migliaia di anni.
Attendiamo quest'uomo, quest'eroe, questo gigante. Su di lui si fonderà lo Stato nuovo, la Romania di domani.
Il movimento legionario, prima di essere un movimento politico, dottrinario, economico ecc., un complesso di formule, è una scuola spirituale da cui, se vi entrerà un uomo, all'altro termine dovrà uscire un eroe.
LEGIONARIO,
Non compiere mai un'azione di cui ti possa vergognare il giorno seguente; e, quando tu abbia fatto qualcosa, assumitene l'intera responsabilità.
Quando ti trovi di fronte a un ostacolo, affrontalo, non scoraggiarti. Non darti per vinto. Non abbatterti d'animo. Tenta una seconda, una terza volta, sempre. Non esiste il «non si può». Il legionario può.
Se per il politicante la politica è un affare, per il legionario la politica è una religione.
Non dire: Non voglio servire la Legione perché il tale capo non mi piace, non è buono. Nella Legione nessuno è capo a vita. Oggi lo è uno, domani lo è un altro, dopodomani lo sarai tu, se col tuo lavoro e con la tua fede pura e con la tua capacità meriterai di esserlo, mentre un giorno si potrà trovare il migliore.

Non dimenticare che quello che può mandate in rovina noi legionari è l'incomprensione e la discordia in ogni cuib o fra diversi cuiburi.
Non dimenticare che, nel momento in cui un legionario veste la divisa di capo legionario, tutti gli altri devono obbedirgli.
In diversi villaggi si trovano elementi che hanno fatto molto per la Legione col loro lavoro, sacrificio e abnegazione; spiriti di élite che si sono resi illustri nella lotta legionaria dando prova di abnegazione, coraggio, devozione, disciplina, fede cristallina. Costoro possono uscire dalle organizzazioni di villaggio ed essere nominati Consiglieri del Capo della Legione. A questo scopo nel giorno della vittoria legionaria essi saranno trasferiti nella Capitale del paese con le loro famiglie e tutto il resto.
Da questa grande lotta legionaria uscirà una nuova aristocrazia romena. In essa non ci fonderemo né sul denaro, né sui beni di proprietà, né sui vestiti, bensì sulle qualità spirituali, sulla virtù; essa sarà un'aristocrazia della virtù.
L'aristocrazia uscita dagli affari, dalla frode o dalla svendita del paese decadrà. Se l'oro si prova col fuoco, nel fuoco delle lotte legionarie si proverà la vera élite morale del popolo romeno.
Se sei un uomo con dei peccati e lo spirito ti chiama a migliorarti, battezzati adesso, migliorati. Sii però rispettoso e tienti in seconda linea.
Il nostro movimento vincerà. Non pensare che sotto il regime legionario potrai vivere d'affari, di mance, di favori.
«Non accettiamo però assolutamente l'amicizia:
A) DI COLORO CHE CI HANNO ATTACCATO CON VILTÀ O HANNO TENUTO CON VILTÀ UN ATTEGGIAMENTO SIMPATIZZANTE.
B) Di coloro che hanno dimostrato, nei rapporti con noi o con altri, di essere uomini SENZA CARATTERE.
C) Di coloro che sono stati SCORRETTI, guadagnandosi fortune con affari sporchi o mediante appropriazione di pubblico denaro.
«Chiunque, perciò, può entrare in questo mondo degli «AMICI DEI LEGIONARI», eccezion fatta per queste tre categorie».
Tratto da "Il capo di cuib"



 


 
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