sabato 4 novembre 2017

PIERLUIGI PAGLIAI : LO STATO HA UCCISO UN INNOCENTE

 
 
PIERLUIGI PAGLIAI, IL 5 NOVEMBRE SI E’ FESTEGGIATO L’ANNIVERSARIO DEL PIU’ GRAVE CRIMINE, MAI COMMESSO DALLO STATO ITALIANO, NEI CONFRONTI DI UN PROPRIO CITTADINO INNOCENTE.
 
Sono avvenuti vari altri crimini commessi dallo Stato, ma nessuno di essi ha avuto l’organizzazione diretta e, sopra tutto, l’impunità dell’omicidio di Pagliai.
Siamo di fronte a un crimine che coinvolge contemporaneamente la Procura di Bologna, 84 agenti speciali, l’Ambasciata americana e il Primo Ministro Spadolini. Vediamo la ricostruzione di questo misfatto.
Alla fine degli anni ’70, molti fuoriusciti italiani si erano trasferiti in Sud America, fuggendo dalla dura repressione del regime. Si trattava di elementi molto ideologizzati e decisi a far valere le loro ragioni. Era gente già vissuta in esilio per molti anni e quindi disponevano di grande facilità nel dialogare in varie lingue. Subito, si erano resi conto di una generale scarsa preparazione politica locale sui temi della gestione dei flussi di potere nel mondo. A quasi tutti erano sconosciuti gli obiettivi della Trilateral (ai tempi il mondo non era ancora multipolare come oggi) e, spesso, era sconosciuta la Trilateral stessa. Il Sud America era culturalmente e commercialmente dominato dagli Usa, molto più di oggi.
Così, divenne abbastanza semplice l’opera di sensibilizzazione politica con la proposta di una Terza Posizione, sia in campo economico, sia nel campo delle alleanze esterne con i Paesi non Allineati (Cina e India, su tutti).
Particolarmente attiva in questa opera fu Avanguardia Nazionale e, quando arrivò in Bolivia, chiese immediatamente di revisionare e ridiscutere gli accordi commerciali con gli Usa.
In Bolivia gli avanguardisti furono aggregati come consiglieri presso i dipartimenti governativi che si occupavano di gestione delle materie prime estratte e della gestione della circolazione monetaria per la valuta locale, stampata stranamente a Londra.
Il gruppo tentò immediatamente di operare saltando i soliti canali dei mediatori statunitensi, cercando di aprire contatti diretti con vari Paesi non Allineati e con gli stessi altri Paesi del Sud America. In sostanza gli avanguardisti tentavano di far riappropriare i boliviani della loro sovranità commerciale, persa da sempre per via della ineluttabilità dei mediatori statunitensi.
A questa opera, si aggiunse quella di un tentato recupero della sovranità monetaria, infatti la Bolivia era solo figurativamente indipendente, ma, come già detto, invece doveva stampare la sua valuta a Londra, con la Banca d’Inghilterra che ne sorvegliava le quantità in emissione. Come avere il controllo del FMI, senza neanche la necessità che lo stesso si spostasse in Bolivia.
L’ambasciatore statunitense si avvide immediatamente di queste manovre e, dopo un’energica protesta con i militari boliviani suoi amici, dicendo che venivano violati gli accordi commerciali con le aziende dei mediatori americani, lasciò la Bolivia. In apparenza sembrava un abbandono per protesta, nella realtà tornò a Washington per concordare una strategia d’attacco.
Tanti post fascisti avevano da sempre sognato un attacco nei confronti degli Usa, ora Avanguardia li stava sfidando su argomenti concreti. Ovviamente il pericolo era molto più grande della Bolivia, il pericolo, se questa nuova politica di rinegoziazioni funzionava, era il contagio.
Il contro attacco arrivò, inizialmente, sotto forma di minacce di ricorrere ad arbitrati commerciali internazionali, tutti controllati dagli Usa e, poi, con una stretta monetaria da parte della Banca d’Inghilterra. Bloccarono di fatto la spedizione delle banconote nuove.
Questa situazione creò un vuoto di potere tra i militari, spaventati dalla situazione inedita e con la maggior parte dei militari che volevano tornare sotto l’ombrello americano e una parte minoritaria, ma importante, che appoggiava ancora il disegno di terza posizione non allineata.
A quel punto, l’ambasciatore statunitense tornò al suo posto e riprese le sue funzioni da vice re della Bolivia, come funzionava da decenni.
Adesso lasciamo per un momento la Bolivia con questo vuoto di potere e veniamo a vedere cosa succedeva parallelamente in Italia.
La presenza del Delle Chiaie in Bolivia aveva sollevato l’attenzione della magistratura e i media avevano iniziato a fantasticare di un’internazionale nera che si era impossessata della Bolivia. In questo contesto, abbastanza ingigantito, si inserisce un truffatore internazionale italiano ricercato per truffa dalla polizia svizzera e dall’Interpol. Elio Ciolini.
La vicenda di Ciolini è oscura, ma di fatto arrivò in Bolivia nell’ambito dei tentativi di aprire nuovi canali commerciali per la Bolivia e qui, fatalmente, conobbe Delle Chiaie, Giorgi e Pagliai. La tendenza di Avanguardia era sempre quella di cautelarsi senza mai mostrare completamente il suo organico e, questo comportamento, la faceva sembrare molto più grande di quanto non fosse nella realtà.
Ciolini fu presto inquadrato come un impostore e non ricevette nessuna delega commerciale sulle miniere (c’erano anche importanti miniere d’oro), però Ciolini si rese conto di avere comunque qualcosa da vendere e si vendette gli unici tre italiani che aveva conosciuto: Delle Chiaie, Giorgi e Pagliai.
Li vendette ai magistrati di Bologna nell’ambito dell’inchiesta sulla strage alla stazione e lo fece da tipico truffatore, argomentando con dei dettagli le sue dichiarazioni.
Non si può stabilire il confine oltre il quale i magistrati caddero in inganno o vollero cadere in inganno, di fatto, le dichiarazioni di Ciolini produssero dei mandati di cattura internazionali per il compimento della strage di Bologna. Il dubbio è legittimo poiché i dettagli forniti da Ciolini erano delle fandonie tali da poter essere smascherate in pochissimo tempo, senza dover emettere i mandati di cattura. Valga per tutte la base logistica per la strage dichiarata da Ciolini in “una fabbrica di cerniere in via Carlo Marx a San Giovanni in Persiceto”. Non esisteva la fabbrica, ovviamente, bastava andare a San Giovanni in Persiceto a effettuare un semplice controllo. Si può pensare che la Procura di Bologna non effettuò un riscontro così semplice ??? I documenti di queste dichiarazioni arrivarono nelle mani del deputato Tomaso Staiti a Milano e, contemporaneamente, a Radio Popolare, dove operavano dei giornalisti onesti.
Adesso torniamo al vuoto di potere in Bolivia, dove arriva un aereo dell’Alitalia con a bordo circa 84 membri dei servizi segreti e delle forze di polizia italiane. L’Alitalia non faceva scalo in Bolivia e l’aereo dovette ricevere un’apposita autorizzazione dalle autorità boliviane. Si sa già chi autorizzò in Italia gli agenti a operare, per di più armati, in uno Stato di diritto straniero, fu infatti il Presidente del Consiglio Spadolini ad accollarsi la responsabilità diretta dell’operazione, regole di ingaggio incluse.
Gli agenti si misero alla caccia degli italiani sapendo già dove andare, erano guidati, ma seppero del gruppo di Avanguardia ben compatto e pericoloso, se pure ormai in uscita dalla Bolivia. Allora i nostri eroi ripiegarono su Pagliai che era rimasto isolato a Santa Cruz.
Perché Pagliai era rimasto isolato ??? Pagliai non voleva credere a una manovra dei servizi segreti italiani di quell’entità (in effetti nessuno la immaginava di quelle proporzioni) e, per di più, forse Pagliai si sentiva protetto da un rapporto d’amicizia stretto con un ufficiale boliviano, convinto alla Terza Posizione. Oltre tutto Pagliai era un incensurato, sicuro di poter dimostrare con degli alibi precisi la sua estraneità alla strage di Bologna.
Forse ci fu un tradimento da parte dell’ufficiale boliviano che segnalò la posizione di Pagliai e lo portò allo scoperto con un appuntamento davanti a una chiesa. Ma forse no, non si sa bene.
Di fatto, trovarono Pagliai ignaro sui gradini di una chiesa e gli spararono. Come dalle varie testimonianze di gente presente, raccolte da una giornalista boliviana, Pagliai non aveva armi addosso. Molta gente stava uscendo dalla chiesa e assistette all’omicidio. Forse fu un funzionario di polizia boliviano, coordinato con gli italiani durante l’attacco, a sparare alle spalle di Pagliai. Difficilmente Pagliai avrebbe lasciato girare un bianco alle sue spalle senza notarlo.
Pagliai fu trasportato morente all’aereo dell’Alitalia per il quale, qualcuno (Pagliai aveva amici) tentò di ostacolare la ripartenza con una scusa burocratica: il mancato pagamento delle tasse aeroportuali per un volo non di linea. E c’era forse il gruppo di Delle Chiaie, rinforzato dai boliviani dissidenti, che stava arrivando in aeroporto.
In quei momenti non c’erano ancora notizie precise, si sapeva solo che Pagliai era stato catturato, non si sapeva ancora che fosse stato colpito alla testa. Non esistevano i telefoni cellulari e si deve tenere conto delle distanze in Bolivia, molto significative.
Nonostante ciò gli agenti italiani avevano premura di andarsene e allora intervenne il vice re della Bolivia, ovvero l’ambasciatore statunitense. Pagò le tasse aeroportuali e l’aereo riuscì a scappare.
In Italia, Staiti e Pannella si attivarono per tentare l’incriminazione di Spadolini, allora primo ministro, il quale si accollò subito la responsabilità diretta della spedizione di agenti, ma tutti scoprirono che un primo ministro può essere giudicato solo dal tribunale degli altri ministri, anche per un omicidio e, ovviamente, la posizione di Spadolini fu archiviata.
La morte di Pagliai va inquadrata nell’attacco generale che lo Stato italiano stava compiendo nei confronti di Avanguardia Nazionale in quel momento, forse volevano finalmente vendicarsi di Valle Giulia e di Reggio Calabria, forse anche dei legami col Comandante Borghese. Di fatto non si era mai più vista un’organizzazione formata da una Procura della Repubblica, da un’intera compagnia di agenti speciali, da un ambasciatore americano e da un Primo Ministro italiano, tutti direttamente coinvolti.
Lo Stato italiano ha commesso molti altri crimini, ma nessuno, come quello nei confronti di Pagliai, ha assommato l’innocenza del condannato e l’impunità degli esecutori. Negli altri casi ci fu almeno lo straccio di un’inchiesta, se non la pubblica esecrazione, nel caso di Pagliai niente, sembra che lo Stato abbia fatta propria la massima che uccidere un fascista non è reato e non ci fu nessuna indagine.
Oggi, a distanza di anni, sarebbe giusto che il governo mostri almeno il verbale del capo della spedizione ai media, per verificare come questi descrisse gli avvenimenti che portarono all’omicidio di un giovane italiano innocente, che si stava battendo dall’altra parte del mondo per i propri ideali.
 
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