lunedì 13 novembre 2017

IL SENSO DEI 18 PUNTI DI VERONA


Per comprendere appieno il valore dei “18 punti di Verona”, è necessario, anzitutto, inquadrarli nel momento storico e nel clima di tensione altamente drammatico in cui sono apparsi.
Il regime, che aveva portata l'Italia ad alti fastigi di gloria, era caduto dalla sera alla mattina. Mussolini era stato arrestato da quel re che aveva avallato l'insurrezione fascista nel 1922, favorendo la sua ascesa al potere, ne aveva accettato per venti anni i servizi e ne aveva avuto in dono le corone di Etiopia e di Albania. Per merito di quel regime, quel re aveva visto all'interno debellate le forze sovversive che minavano la stessa esistenza della dinastia, ristabilito l'ordine e aumentato il suo prestigio.
Nel giro di qualche ora, tutto era stato cancellato, annullato, calpestato.
Il nuovo governo, con a capo Pietro Badoglio, che dal fascismo aveva avuto cariche, onori e prebende, dopo aver, fino all'ultimo minuto, ingannato tutti, dichiarando, tra l'altro, che «la guerra continua», era fuggito assieme al re, consegnandosi al nemico. Due terzi dell'Italia furono alla mercé dei tedeschi, centinaia di migliaia di soldati, in Patria e fuori, rimasero, nel giro di qualche ora, senza comandanti e senza ordini, cadendo nelle mani dei germanici inferociti per il tradimento reale e degli slavi, andando a popolare i cimiteri e i campi di concentramento.
La popolazione, provata soprattutto dai bombardamenti indiscriminati, anelava alla pace. Avvelenata dalla propaganda nemica si abbandonò ad azioni pazzesche, devastando le sedi delle organizzazioni fasciste, demolendo i simboli del Littorio, come se con questo si potesse cancellare la storia, commettendo violenze sulle persone.
L'Italia piombò nel caos completo mentre i bombardamenti, anziché cessare, si intensificarono. Si arrivò così alle ore 19 dell'8 settembre con l'annuncio del «Diktat». L'Italia si era posta letteralmente alla mercé del nemico: resa senza condizioni. La storia è ricca di guerre vinte e perdute. Mai guerra al mondo fu perduta con tanto disonore e con tanta vergogna.
Mussolini era tenuto prigioniero sul Gran Sasso in attesa di essere consegnato agli anglo-americani, ma il 12 settembre egli venne liberato.
Da questo momento il panorama politico italiano muta. Nella tenebra del tradimento e della disfatta si incomincia a vedere il barlume di una nuova alba. Mussolini parlò: «La Rivoluzione Fascista si era fermata, a suo tempo, davanti a un trono. Gli eventi vollero che la Corona espiasse con la sua caduta il colpo mancino tirato al regime e il delitto imperdonabile commesso contro la Patria. Questa non può risorgere e vivere che sotto le insegne della Repubblica».
Era nata la Repubblica Sociale Italiana «per ricostruire l’Italia dalle macerie e fare del lavoro il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato».
Intanto da Radio Bari si incominciò a incitare alla guerra fratricida. Incominciarono i primi assassinii di militi e di ufficiali isolati, che avevano ripreso il loro posto di combattimento. (Si presentò alle armi circa un milione di uomini. Ne vennero ammazzati settecentomila). Le stazioni radio trasmittenti dell'Italia meridionale, in mano ai traditori della Patria, indicavano ai sicari prezzolati i nomi, i cognomi e gli indirizzi delle persone da uccidere.
In questo clima, proprio da Castelvecchio in Verona, il 14 novembre 1943, vennero annunciati all'Italia e al mondo quelle 18 tesi o “punti” che rappresentavano qualche cosa di più di una vaga promessa. Essi contenevano delle soluzioni nettamente e squisitamente rivoluzionarie, dove le esigenze del singolo e della collettività trovavano il loro punto di incontro o di fusione nel pieno rispetto della libertà e della dignità umana. Molta acqua è passata, da allora, sotto i ponti e molte cose sono cambiate.
Rimangono però valide le idee originali espresse in essi, le indicazioni fondamentali sulle quali dovrà essere costruita la società moderna, se vorrà sopravvivere.




 

 
Il manifesto di Verona, elaborato durante il Congresso del P.F.R. del 14 Novembre 1943, rappresenta la summa ideologica del Fascismo che, abbandonati i fasti e gli aspetti reazionari, torna alle origini, ai postulati di Piazza San Sepolcro. Ne riproduciamo integralmente il testo, sia per il valore storico di questo documento ignorato da quasi tutti i libri di storia, sia per far apprezzare alcuni aspetti più puramente legati alla situazione bellica del momento. 
Premessa

“Il primo rapporto nazionale del partito fascista repubblicano leva il pensiero ai caduti del fascismo repubblicano, sui fronti di guerra, nelle piazze delle città e dei borghi, nelle foibe dell’Istria e della Dalmazia, che si aggiungono alle schiere dei martiri della rivoluzione, alle falangi di tutti i morti per l’Italia; addita nella continuazione della guerra a fianco della Germania e del Giappone fino alla vittoria finale e nella rapida ricostruzione delle Forze Armate destinate ad operare accanto ai valorosi soldati del Fürer, le mete che sovrastano qualunque altra d’importanza e d’urgenza; prende atto dei decreti istitutivi dei Tribunali straordinari nei quali gli uomini del partito porteranno intransigente volontà ed esemplare giustizia, e ispirandosi alle fonti e alle realizzazioni mussoliniane, enuncia le seguenti direttive programmatiche per l’azione del partito” 
Alessandro Pavolini legge il messaggio di Mussolini all'assise di Verona
Piero Pisenti, Ruggero Romano, Silvio Gai e Renato Ricci all'assise di Verona


I 18 PUNTI DI VERONA


IN MATERIA COSTITUZIONALE E INTERNA:

 
1) Sia convocata la Costituente, potere sovrano d'origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l'ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.


2) La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative, comprendendo i rappresentanti delle provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero.
Comprende altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani all'estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.

3) La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e contribuente - il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione.
Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.
Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine della autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell'autorità giudiziaria.
Nell'esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.

4) La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concilii le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.

5) L'organizzazione a cui compete l'educazione del popolo ai problemi politici è unica.
Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell'idea rivoluzionaria.
La sua tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico.

6) La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana.Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.

7) Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri.
Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

8) Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l'unità, l'indipendenza, l'integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla Natura, dal sacrifico di sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l'invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra.Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra un'area insufficiente a nutrirli.
Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:
a) eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro Continente;
b) abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;
c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell'Africa, nel rispetto assoluto di quei popoli, in ispecie musulmani, che, come l'Egitto, sono già civilmente e nazionalmente organizzati.

IN MATERIA SOCIALE


9) Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale,tecnico,intellettuale, in ogni sua manifestazione.



10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

11) Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato.
I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestite dallo Stato a mezzo di Enti parastatali.

12) In ogni azienda ( industriale,privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopererano intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonchè all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili per parte dei lavoratori.
In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con i Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

13) Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare .L'esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola.
Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l'impulso necessario.

14) E' pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.

15) Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al massimo l'azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti.In proposito è da affermare il principio generale che l'affitto - una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto - costituisce titolo di acquisto.
Come primo compito, l'Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.

16) Il lavoratore è iscritto d'autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne abbia i requisiti.I sindacati convergono in una unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici.Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della tecnica e delle arti.
I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore.
Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime Fascista in un ventennio restano integre.La Carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l'ulteriore cammino.

17) In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso la adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perchè il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d'azienda, estensione dei compiti della "Provvida", requisizione dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastale o cooperativa si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato.
Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori - al pari dei traditori e dei disfattisti - rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.

18) Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo.
Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi, domani: ributtare l'invasione schiavista delle plutocrazie anglo-americane, la quale per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli italiani. Vi è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.
IL TESTAMENTO DI MUSSOLINI
 
Non è la fede che mira nell'ora del crepuscolo quella che mi sostiene, è la fede della mia infanzia e della mia vita che mi impone di dover credere, anche quando avrei forse il diritto di dubitare.
Non so se questi miei appunti saranno mai letti dal popolo italiano; vorrei che così fosse, per dargli la possibilità di raccoglie in confessione di fede il mio ultimo pensiero.
Non so nemmeno se gli uomini mi concederanno il tempo sufficiente per scriverli.
Ventidue anni di governo non mi rendono probabilmente degno a giudizio unano di vivere altre ventiquattro ore.
Ho creduto nella vittoria delle nostre armi, come credo in Dio, Nostro Signore, ma più ancora credo nell'Eterno, adesso che la mia sconfitta ha costituito il banco di prova del quale dovranno venire mostrate al mondo intero, la forza e la grandezza dei nostri cuori.
E' ormai un fatto che la guerra è perduta, ma è anche certo che non si è vinti finchè non ci si dichiara vinti.
Questo dovranno ricordare gli italiani se, sotto la dominazione straniera, arriveranno a sentire l'insoffocante risveglio della loro coscienza e dei loro spiriti.
Oggi io perdono a quanti non mi perdonano e mi condannano, condannano se stessi.
Penso a coloro ai quali sarà negato per anni di amare e soffrire per la Patria e vorrei che essi si sentissero non solo testimoni di una disfatta, ma anche alfieri della rivincita.
All'odio smisurato e alle vendette subentrerà il tempo della ragione.
Così riacquistato il senso della dignità e dell'onore, son certo che gli Italiani di domani sapranno serenamente valutare i coefficenti della tragica ora che vivo.
Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha tradito, vada il mio perdono, come allora perdonai al Savoia la sua debolezza.
Germasino, 27 Aprile notte

Benito Mussolini


 
Il 22 aprile 1945, a Milano, su “Repubblica fascista”, Enzo Pezzato scriveva:
“Il Duce ha chiamato la Repubblica italiana sociale non per gioco; i nostri programmi sono decisamente rivoluzionari; le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero ‘di sinistra’… Il nostro ideale è lo Stato del lavoro. Su ciò non può esservi dubbio; noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo… Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta viene da destra”.
 
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