L'articolo che riportiamo, scritto da uno studioso -indipendente-
di comunicazione e sistemi di controllo, ci trova pienamente concordi
Alzi la mano chi avrebbe voluto due padri: a me, sinceramente, uno è bastato e avanzato…
Comincio celiando perché l’argomento è complesso. Accennerò soltanto ai contorni filosofici del tema, perché il mio scopo è quello di andare dritto alle funzioni della propaganda gender, all’interno del più generale sistema di propaganda a sostegno del progetto di ingegneria sociale mondialista e transumano.
La domanda filosofica di base è la seguente, premessa di qualunque speculazione sociologica e specialmente di quella in argomento: dove finisce l’aspetto biologico dell’uomo e dove comincia quello culturale?
È bene subito far presente che la risposta definitiva al quesito non è stata ancora data e probabilmente è impossibile da dare, vista l’enorme influenza dei fattori ambientali e culturali nel comportamento dell’uomo e lo stretto, spesso inestricabile, embricarsi di questi ultimi con i fattori genetici.
Certamente, la provenienza disciplinare degli studiosi (e, tristemente, ancor di più la difesa di steccati accademici) orientano la risposta. Per fare degli esempi abbastanza noti, si può citare la sociobiologia di Edward O. Wilson, dove l’accento cade sulla determinazione genetica del comportamento; ovvero all’opposto, l’ambientalismo radicale di Burrhus Skinner, secondo cui il comportamento umano è interamente manipolabile e determinato dai cosiddetti rinforzi ambientali: cioè i comportamenti si instaurano o estinguono in base ai premi o le punizioni comminate dall’ambiente sociale. Personalmente, sono d’accordo con molte delle risultanze scientifiche dell’etologia umana, che vede l’uomo non come una tabula rasa, bensì un animale con un corredo istintuale molto vasto e limitante; tuttavia, avendo una formazione psicologica, al contempo riconosco la manipolabilità dell’uomo, attestata da una ampia letteratura scientifica.
Parlando della presunta dicotomia natura-cultura, non possiamo ovviamente tralasciare il punto di vista dell’antropologia culturale, disciplina che più di ogni altra ha studiato la specie umana in contesti diversi. Possiamo, così, osservare come anche il comportamento sessuale, pur essendo un istinto biologico primario, è nell’uomo impregnato di elementi culturali: basti pensare al fatto che il tasso riproduttivo è tenuto sotto controllo proprio mediante pratiche culturali, (forse alcuni si meraviglieranno, ma persino nelle società a livello etnologico esistono pratiche di contraccezione elaborate).
Quello appena citato è un esempio di come biologia e cultura siano strettamente embricati; ma un altro caso da manuale è il tabù dell’incesto, il quale, se da un lato ha un ruolo biologico, permettendo una maggiore varietà genetica attraverso la riproduzione esogamica, dall’altro rende disponibili figlie e sorelle per scambi femminili interfamiliari, che creano alleanze politiche e strutturano la società.
Entriamo, in tal modo, nel cuore del tema che ci riguarda: il ruolo sociale strutturante della classificazione sessuale. Infatti, la divisione sessuale maschio-femmina ha un ruolo cognitivo fondamentale, attraverso il quale nasce lo stesso concetto di differenza sociale di base (se non il concetto di “differenza” tout court), senza il quale probabilmente non è pensabile nessuna organizzazione di società umana.
La ricerca antropologica (già Linton in Culture, Society and the Individual, 1938) ha messo in luce una tassonomia di elementi comuni e costituenti di tutte le società, che ne determinano l’organizzazione: la divisione sessuale; la classificazione per età; i legami fondati sulla parentela di sangue; i legami sociali volontari; la classificazione gerarchica di prestigio.
Alla luce di queste nozioni, arriviamo a comprendere una prima fondamentale funzione della propaganda gender: scardinando l’ordine sessuale tradizionale, scardina la base stessa dell’organizzazione sociale esistente. E ciò ci dà una misura della radicalità e della violenza del programma di rimodellamento sociale concepito ai piani alti del sistema mondialista. L’attacco all’ordine sessuale è, quindi, l’attacco al cuore della società, tramite il quale un’altra architrave finisce definitivamente in pezzi: quella della famiglia, del resto già aggerdita da divorzio e femminismo.
Notiamo, di passata, che in questa lotta senza quartiere alla società esistente, anche l’ordine su base “anagrafica” è aggredito e sconvolto: presto l’assenza di coperture previdenziali e sanitarie pubbliche falcidieranno la terza età e l’eutanasia – preconizzata da Jacques Attali e accompagnata da campagne mediatiche ad effetto – sarà il pronto rimedio ad una intollerabile vecchiaia di povertà e solitudine, misera al punto da rendere i romanzi di Dickens barzellette per tirarsi su. La parte rimanente della popolazione bianca (tranne i bambini, sempre di meno) – come già si può cogliere osservando i rincitrulliti e ossigenati ambosessi in blue jeans nati all’inizio degli anni ’50 – costituirà un’unica indistinta classe di età, vestità allo stesso modo dai quindici ai sessant’anni. Diceva Dino Risi che si dovrebbe morire a ottant’anni per legge; sbagliava: si dovrà morire molto prima. (Mi dilungo un po’, ma è interessante pure osservare come nelle società dei cacciatori raccoglitori, nomadi, gli anziani siano abbandonati al loro destino, esattamente come inizia a succedere nel nuovo nomadismo mondialista della società tecnologico industriale senza frontiere).
E scopriamo, allora, un’altra funzione essenziale della propaganda gender, rubricata nell’agenda delle élites che modella le nostre vite e le nostre morti: quella di ridurre la popolazione. I rapporti omosessuali, infatti, sono per definizione sterili e non a caso, nella storia e nelle diverse società, le pratiche omosessuali non sono state mai promosse od imposte, perché ciò avrebbe provocato l’estinzione della specie. Qualcuno dirà: ci saranno gli uteri in affitto; certo, ma se li potranno permettere solo gli omosessuali più abbienti e le nuove balie del duemila – ovviamente di modesta estrazione – anziché allattare, partoriranno.
Ma la propaganda gender oltre che da distruttore, funge anche da enorme distrattore, convogliando sulla sua grancassa mediatica l’interesse di popolazioni inebetite, che dovrebbero pensare a problemi forse più importanti, quali la propria sopravvivenza non più garantita. Invece, mentre si smantellano diritti, possibilità, livelli di benessere ottenuti attraverso secoli di lotte, l’attenzione è indirizzata sulla grande conquista di potersi sposare con qualcuno dello stesso sesso. Il mio consiglio a questi fortunati, è di godersi la cerimonia, visto che vivere insieme a lungo sarà piuttosto difficile, se nessuno dei due sposi potrà avere un lavoro.
E approdiamo ad un altro punto nodale della nostra analisi: la propaganda omosessuale come strumento politico.
Il progetto imperiale, come ho già scritto in http://www.conflittiestrategie.it/2017-fuga-dalleuropa-di-francesco-mazzuoli, prevede la creazione di anonimi territori coloniali, sprovvisti di storia comune e abitati da individui sradicati in perenne conflitto tra loro.
Questo disegno passa dalla distruzione dell’identità dei popoli, della tradizione, e del legame con il proprio territorio. Comporta l’annientamento dei popoli stessi per come li conosciamo, fisicamente sostituiti con immigrati di culture differenti e inassimilabili, in modo da costruire un mosaico multietnico di interessi contrastanti e inconciliabili in nome di un interesse comune, che si riconosca in un territorio e voglia difenderlo. In quest’ottica, l’imposizione dei diritti del “diverso” – divenuto per legge uguale, in primis attraverso la propaganda gender – è appunto il grimaldello per giungere al compimento di un simile disegno.
È fondamentale, a questo punto, capire che l’ideologia gender sarà utilizzata come nuova discriminante politica per escludere – stigmatizzandole come omofobe o sessiste – forze politiche anti-sistema o pericolosamente antagonistiche.
Non è finita qui. La propaganda gender ha pure la funzione di conculcare le libertà residue del mondo libero. La libertà dovrebbe essere scelta e non imposta; laddove invece la si imponga, come per l’ideologia gender, con tanto di apparato repressivo e psicopoliziesco predisposto per la punizione dei trasgressori, (lo spiega lucidamente Maurizio Blondet http://www.maurizioblondet.it/gender-arma-della-nuova-oppressione-libertaria/), la cosa è perlomeno sospetta. Del resto, imporre la cosiddetta libertà con la forza è prassi cui il sistema ci sta abituando, a partire dai bombardamenti per stabilire democrazia e libertà, secondo il noto motto orwelliano “La guerra è pace la libertà è schiavitù”. (Rammentiamoci sempre che per comprendere la realtà lo strumento più semplice è ribaltare i concetti dettati dalla propaganda: il meccanismo della neolingua è piuttosto semplice e in definitiva, una volta smascherato ci aiuta addirittura a capire le cose. Certo, bisogna cominciare dal non credere, ma, come scriveva Louis Scutenaire: “Il peccato originale è la fede”).
Ci sono implicazioni filosofiche ancora più profonde. Non solo la biologia non è un destino, ma la biologia addirittura non esiste. Questo ci dice, in ultima analisi, la propaganda gender.
L’anima ce la siamo lasciata alle spalle già da tempo, ma adesso scomparirebbero anche gli istinti e le predisposizioni biologiche: il modello di uomo è quello preconizzato da Filippo Tommaso Marinetti nei vari Manifesti del futurismo: “l’uomo meccanico, dalle parti cambiabili”; “la fusione tra uomo e macchina”.
La fantascienza è ormai superata dalla realtà: siamo nel transumanesimo consumistico: si progettano robot che assomiglino a uomini e uomini che assomiglino a robot e siamo vicini al punto di convergenza. Vista l’idiozia dei progettisti, non ci resta che sperare nell’intelligenza artificiale.
Eugenetica da supermercato e sconti comitiva per l’eutanasia ci aspettano ammiccanti e sostituiranno gite a Lourdes e genuflessioni davanti alla statua della Madonna di Fatima.
Intorno a noi e davanti allo specchio – riempiendo di filling in offerta una ruga di troppo – un popolo di schiavi robotizzati reclutati col telefonino, pronti in cambio di un nuovo gadget ad obbedire al nuovo feudalesimo dal volto umano e democratico.
Tuttavia, sono ottimista: la biologia vincerà; ma non sarà quella umana.
Perché, in una società del genere, anche la conservazione della specie deve avere un data di scadenza.
Francesco Mazzuoli
Fonte: Comedonchisciotte.org
https://comedonchisciotte.org/a-che-cosa-serve-la-propaganda-gender/
di comunicazione e sistemi di controllo, ci trova pienamente concordi
Alzi la mano chi avrebbe voluto due padri: a me, sinceramente, uno è bastato e avanzato…
Comincio celiando perché l’argomento è complesso. Accennerò soltanto ai contorni filosofici del tema, perché il mio scopo è quello di andare dritto alle funzioni della propaganda gender, all’interno del più generale sistema di propaganda a sostegno del progetto di ingegneria sociale mondialista e transumano.
La domanda filosofica di base è la seguente, premessa di qualunque speculazione sociologica e specialmente di quella in argomento: dove finisce l’aspetto biologico dell’uomo e dove comincia quello culturale?
È bene subito far presente che la risposta definitiva al quesito non è stata ancora data e probabilmente è impossibile da dare, vista l’enorme influenza dei fattori ambientali e culturali nel comportamento dell’uomo e lo stretto, spesso inestricabile, embricarsi di questi ultimi con i fattori genetici.
Certamente, la provenienza disciplinare degli studiosi (e, tristemente, ancor di più la difesa di steccati accademici) orientano la risposta. Per fare degli esempi abbastanza noti, si può citare la sociobiologia di Edward O. Wilson, dove l’accento cade sulla determinazione genetica del comportamento; ovvero all’opposto, l’ambientalismo radicale di Burrhus Skinner, secondo cui il comportamento umano è interamente manipolabile e determinato dai cosiddetti rinforzi ambientali: cioè i comportamenti si instaurano o estinguono in base ai premi o le punizioni comminate dall’ambiente sociale. Personalmente, sono d’accordo con molte delle risultanze scientifiche dell’etologia umana, che vede l’uomo non come una tabula rasa, bensì un animale con un corredo istintuale molto vasto e limitante; tuttavia, avendo una formazione psicologica, al contempo riconosco la manipolabilità dell’uomo, attestata da una ampia letteratura scientifica.
Parlando della presunta dicotomia natura-cultura, non possiamo ovviamente tralasciare il punto di vista dell’antropologia culturale, disciplina che più di ogni altra ha studiato la specie umana in contesti diversi. Possiamo, così, osservare come anche il comportamento sessuale, pur essendo un istinto biologico primario, è nell’uomo impregnato di elementi culturali: basti pensare al fatto che il tasso riproduttivo è tenuto sotto controllo proprio mediante pratiche culturali, (forse alcuni si meraviglieranno, ma persino nelle società a livello etnologico esistono pratiche di contraccezione elaborate).
Quello appena citato è un esempio di come biologia e cultura siano strettamente embricati; ma un altro caso da manuale è il tabù dell’incesto, il quale, se da un lato ha un ruolo biologico, permettendo una maggiore varietà genetica attraverso la riproduzione esogamica, dall’altro rende disponibili figlie e sorelle per scambi femminili interfamiliari, che creano alleanze politiche e strutturano la società.
Entriamo, in tal modo, nel cuore del tema che ci riguarda: il ruolo sociale strutturante della classificazione sessuale. Infatti, la divisione sessuale maschio-femmina ha un ruolo cognitivo fondamentale, attraverso il quale nasce lo stesso concetto di differenza sociale di base (se non il concetto di “differenza” tout court), senza il quale probabilmente non è pensabile nessuna organizzazione di società umana.
La ricerca antropologica (già Linton in Culture, Society and the Individual, 1938) ha messo in luce una tassonomia di elementi comuni e costituenti di tutte le società, che ne determinano l’organizzazione: la divisione sessuale; la classificazione per età; i legami fondati sulla parentela di sangue; i legami sociali volontari; la classificazione gerarchica di prestigio.
Alla luce di queste nozioni, arriviamo a comprendere una prima fondamentale funzione della propaganda gender: scardinando l’ordine sessuale tradizionale, scardina la base stessa dell’organizzazione sociale esistente. E ciò ci dà una misura della radicalità e della violenza del programma di rimodellamento sociale concepito ai piani alti del sistema mondialista. L’attacco all’ordine sessuale è, quindi, l’attacco al cuore della società, tramite il quale un’altra architrave finisce definitivamente in pezzi: quella della famiglia, del resto già aggerdita da divorzio e femminismo.
Notiamo, di passata, che in questa lotta senza quartiere alla società esistente, anche l’ordine su base “anagrafica” è aggredito e sconvolto: presto l’assenza di coperture previdenziali e sanitarie pubbliche falcidieranno la terza età e l’eutanasia – preconizzata da Jacques Attali e accompagnata da campagne mediatiche ad effetto – sarà il pronto rimedio ad una intollerabile vecchiaia di povertà e solitudine, misera al punto da rendere i romanzi di Dickens barzellette per tirarsi su. La parte rimanente della popolazione bianca (tranne i bambini, sempre di meno) – come già si può cogliere osservando i rincitrulliti e ossigenati ambosessi in blue jeans nati all’inizio degli anni ’50 – costituirà un’unica indistinta classe di età, vestità allo stesso modo dai quindici ai sessant’anni. Diceva Dino Risi che si dovrebbe morire a ottant’anni per legge; sbagliava: si dovrà morire molto prima. (Mi dilungo un po’, ma è interessante pure osservare come nelle società dei cacciatori raccoglitori, nomadi, gli anziani siano abbandonati al loro destino, esattamente come inizia a succedere nel nuovo nomadismo mondialista della società tecnologico industriale senza frontiere).
E scopriamo, allora, un’altra funzione essenziale della propaganda gender, rubricata nell’agenda delle élites che modella le nostre vite e le nostre morti: quella di ridurre la popolazione. I rapporti omosessuali, infatti, sono per definizione sterili e non a caso, nella storia e nelle diverse società, le pratiche omosessuali non sono state mai promosse od imposte, perché ciò avrebbe provocato l’estinzione della specie. Qualcuno dirà: ci saranno gli uteri in affitto; certo, ma se li potranno permettere solo gli omosessuali più abbienti e le nuove balie del duemila – ovviamente di modesta estrazione – anziché allattare, partoriranno.
Ma la propaganda gender oltre che da distruttore, funge anche da enorme distrattore, convogliando sulla sua grancassa mediatica l’interesse di popolazioni inebetite, che dovrebbero pensare a problemi forse più importanti, quali la propria sopravvivenza non più garantita. Invece, mentre si smantellano diritti, possibilità, livelli di benessere ottenuti attraverso secoli di lotte, l’attenzione è indirizzata sulla grande conquista di potersi sposare con qualcuno dello stesso sesso. Il mio consiglio a questi fortunati, è di godersi la cerimonia, visto che vivere insieme a lungo sarà piuttosto difficile, se nessuno dei due sposi potrà avere un lavoro.
E approdiamo ad un altro punto nodale della nostra analisi: la propaganda omosessuale come strumento politico.
Il progetto imperiale, come ho già scritto in http://www.conflittiestrategie.it/2017-fuga-dalleuropa-di-francesco-mazzuoli, prevede la creazione di anonimi territori coloniali, sprovvisti di storia comune e abitati da individui sradicati in perenne conflitto tra loro.
Questo disegno passa dalla distruzione dell’identità dei popoli, della tradizione, e del legame con il proprio territorio. Comporta l’annientamento dei popoli stessi per come li conosciamo, fisicamente sostituiti con immigrati di culture differenti e inassimilabili, in modo da costruire un mosaico multietnico di interessi contrastanti e inconciliabili in nome di un interesse comune, che si riconosca in un territorio e voglia difenderlo. In quest’ottica, l’imposizione dei diritti del “diverso” – divenuto per legge uguale, in primis attraverso la propaganda gender – è appunto il grimaldello per giungere al compimento di un simile disegno.
È fondamentale, a questo punto, capire che l’ideologia gender sarà utilizzata come nuova discriminante politica per escludere – stigmatizzandole come omofobe o sessiste – forze politiche anti-sistema o pericolosamente antagonistiche.
Non è finita qui. La propaganda gender ha pure la funzione di conculcare le libertà residue del mondo libero. La libertà dovrebbe essere scelta e non imposta; laddove invece la si imponga, come per l’ideologia gender, con tanto di apparato repressivo e psicopoliziesco predisposto per la punizione dei trasgressori, (lo spiega lucidamente Maurizio Blondet http://www.maurizioblondet.it/gender-arma-della-nuova-oppressione-libertaria/), la cosa è perlomeno sospetta. Del resto, imporre la cosiddetta libertà con la forza è prassi cui il sistema ci sta abituando, a partire dai bombardamenti per stabilire democrazia e libertà, secondo il noto motto orwelliano “La guerra è pace la libertà è schiavitù”. (Rammentiamoci sempre che per comprendere la realtà lo strumento più semplice è ribaltare i concetti dettati dalla propaganda: il meccanismo della neolingua è piuttosto semplice e in definitiva, una volta smascherato ci aiuta addirittura a capire le cose. Certo, bisogna cominciare dal non credere, ma, come scriveva Louis Scutenaire: “Il peccato originale è la fede”).
Ci sono implicazioni filosofiche ancora più profonde. Non solo la biologia non è un destino, ma la biologia addirittura non esiste. Questo ci dice, in ultima analisi, la propaganda gender.
L’anima ce la siamo lasciata alle spalle già da tempo, ma adesso scomparirebbero anche gli istinti e le predisposizioni biologiche: il modello di uomo è quello preconizzato da Filippo Tommaso Marinetti nei vari Manifesti del futurismo: “l’uomo meccanico, dalle parti cambiabili”; “la fusione tra uomo e macchina”.
La fantascienza è ormai superata dalla realtà: siamo nel transumanesimo consumistico: si progettano robot che assomiglino a uomini e uomini che assomiglino a robot e siamo vicini al punto di convergenza. Vista l’idiozia dei progettisti, non ci resta che sperare nell’intelligenza artificiale.
Eugenetica da supermercato e sconti comitiva per l’eutanasia ci aspettano ammiccanti e sostituiranno gite a Lourdes e genuflessioni davanti alla statua della Madonna di Fatima.
Intorno a noi e davanti allo specchio – riempiendo di filling in offerta una ruga di troppo – un popolo di schiavi robotizzati reclutati col telefonino, pronti in cambio di un nuovo gadget ad obbedire al nuovo feudalesimo dal volto umano e democratico.
Tuttavia, sono ottimista: la biologia vincerà; ma non sarà quella umana.
Perché, in una società del genere, anche la conservazione della specie deve avere un data di scadenza.
Francesco Mazzuoli
Fonte: Comedonchisciotte.org
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