30 maggio 1875, Castelvetrano 15 aprile 1944, Firenze
L'assassinio di Gentile: il trionfo dell'odio
73 anni fa un gruppo di gappisti comunisti assassinava a Firenze Giovanni Gentile. A Fanciullacci, l' assassino materiale del filosofo, colui che gli sparò, è dedicata una via a Firenze: onore che a Gentile non fu e non è concesso. Eppure il filosofo siciliano è sepolto nella Basilica di Santa Croce: nonostante l’odio antifascista, Gentile riposa con i più grandi italiani di sempre, con Michelangelo, Machiavelli, Galileo e Foscolo. È quello il posto che gli spetta. Con buona pace dei figli della vera “anti-Italia”, quella che ammazza i filosofi e celebra i suoi assassini. Dei grandissimi figli di puttana che ci hanno ridotto come siamo ridotti
Valerio Benedetti) - Esattamente 72 anni fa un piccolo commando di partigiani comunisti (più precisamente “gappisti”) assassinò a Firenze Giovanni Gentile, il più grande filosofo italiano vivente. Gentile, oltre a essere filosofo di fama internazionale, era anche e soprattutto il “filosofo del fascismo”, come è stato spesso definito. Per questo motivo, ucciderlo equivaleva per i suoi boia a seppellire con lui anche la cultura fascista, tanto che girò la leggenda secondo cui Bruno Fanciullacci, colui che probabilmente tirò il grilletto, avrebbe esclamato: «Non uccido l’uomo ma le sue idee». E inoltre, a decenni di distanza, nel 2001, un solerte “gendarme della memoria” ha potuto scrivere in tutta serietà: «L’uccisione di Gentile fu un atto dovuto, più di quello di Mussolini. Uccidendo Gentile si uccideva l’anti-Italia». Fabio Vander, autore delle righe citate, intende con “anti-Italia” proprio il fascismo, ricollegandosi così a una tradizione che in realtà è ormai bell’e morta (e morta bene): è quella di Benedetto Croce, amico e poi acerrimo nemico di Gentile, secondo cui il movimento delle camicie nere avrebbe rappresentato solo una breve “parentesi” nel cammino che avrebbe condotto l’Italia alle «magnifiche sorti e progressive» del liberalismo assurto a meta escatologica dell’umanità.
Ad ogni modo, rivendicare l’assassinio di Gentile, se è squallido in sé, rappresenta tuttavia un bel passo in avanti. Sì, perché per decenni si è tentato di addossare la colpa del vile omicidio ai fascisti stessi: è la teoria della “faida interna”, che accompagnerà di lì in poi ogni “inchiesta” giornalistica sui morti neofascisti. Eppure questa teoria nasce proprio allora, il 15 aprile del 1944, come paradigma della vergogna antifascista che tenta goffamente di nascondere i suoi più crudeli e ingiustificabili delitti. Del resto, ormai non ci sono più dubbi: numerose opere hanno ricostruito in maniera circostanziata il movente e le dinamiche dell’assassinio. La mano dell’assassino fu antifascista. La bibliografia è sterminata, ma tra gli studi migliori e più recenti si segnalano quelli di Francesco Perfetti (2004), Paolo Paoletti (2005) e quello monumentale di Luciano Mecacci (2014). Le modalità dell’omicidio sono agghiaccianti: Gentile, senza scorta per non aver voluto gravare sulle spese di una nazione in guerra, si era appena seduto in macchina, allorché vide avvicinarsi due giovani con i libri sotto il braccio. Riconoscendoli quindi come studenti, abbassò il finestrino – come si addice a un professore – per poter discorrere con loro, ma subito venne crivellato dalle pallottole della pistola di Fanciullacci. Ricoverato in condizioni disperate, spirerà alla presenza dei figli Gaetano e Benedetto.
Ora, per giustificare la viltà di un tale gesto, peraltro stigmatizzato da numerosi antifascisti, l’intellighenzia del dopoguerra ha dovuto far ricorso alla “prova morale”: uccidere Gentile voleva dire uccidere il fascismo e la sua cultura, e cioè l’«anti-Italia». Eppure il filosofo italiano, benché defunto, continua a “parlare”: nonostante decenni di damnatio memoriae, si moltiplicano gli studi su Gentile, oramai rivalutato come “filosofo europeo” (Natoli 1989) e “maggior filosofo del Novecento italiano” (Fusaro 2013) – tutte tesi, oltre a quelle di Severino, Marramao ecc., che finiscono per dar ragione ad Augusto Del Noce, il quale scrisse: «Il pensiero di Gentile rappresenta una svolta di capitale importanza nella storia della filosofia, in un senso la più importante del nostro secolo». Gentile filosofo italiano ed europeo, quindi: un filosofo con cui non è possibile non fare i conti, se si vuol ripensare tutta la filosofia italiana e parte di quella europea. Non a caso Roberto Esposito nella sua celebrata opera Pensiero vivente (2010), per poter fornire la sua interpretazione dell’originalità della filosofia italiana, non ha potuto esimersi dal prender partito contro Gentile. Per questo non è possibile dar torto a Diego Fusaro: «Gentile [sta] al Novecento italiano come Hegel – secondo la nota tesi di Karl Löwith – sta all’Ottocento tedesco: non vi è filosofo, dopo di lui, che non abbia modellato il proprio profilo teorico prendendo posizione – ora esplicitamente, ora implicitamente – rispetto alla dialettica attualistica».
Abbiamo pertanto il “privilegio” di assistere a un bel paradosso. Coloro che consegnarono la nazione agli anglo-americani rappresenterebbero l’«Italia», mentre Gentile – riformatore della scuola, creatore dell’Enciclopedia Treccani, il più grande organizzatore culturale dall’Unità ad oggi – sarebbe l’«anti-Italia». Miracoli dell’ermeneutica antifascista… A Fanciullacci, assassino di filosofi, è dedicata una via a Firenze: onore che a Gentile non fu e non è concesso. Eppure il filosofo siciliano è sepolto nella Basilica di Santa Croce: nonostante l’odio antifascista, Gentile riposa con i più grandi italiani di sempre, con Michelangelo, Machiavelli, Galileo e Foscolo. È quello il posto che gli spetta. Con buona pace dei figli della vera “anti-Italia”, quella che ammazza i filosofi e celebra i suoi assassini.Gentile tuttavia, oltre ad esser sommo filosofo, fu anche e volle essere fascista, pagando con la vita la sua scelta di campo. Di più: nel momento di massimo pericolo per l’integrità dei confini della nazione, Benedetto Croce fu chiamato per pronunciare in Campidoglio un discorso di pacificazione per tutti gli italiani, ora tutti responsabili della difesa della patria, al di là delle ideologie. Croce, che evidentemente era “patriota” solo su carta stampata, si rifiutò. Gentile invece, nonostante la sua egemonia culturale si fosse da qualche anno eclissata, rispose alla chiamata. Fu il cosiddetto Discorso agli Italiani (24 giugno 1943), in cui il filosofo siciliano esortò tutti i compatrioti a rinunciare agli odi di fazione e a prepararsi alla difesa della nazione. Questo discorso, com’è noto, fu la sua condanna a morte. Perché Gentile voleva unire, mentre i comunisti, sovvenzionati dal capitale (i dollari di Wall Street), volevano dividere.
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