I campi di internamento
di Coltano
“meglio pecore al
pascolo che leoni in gabbia”
"Non
è da dimenticare quanto gli americani amassero provocarci per la grande fame
che avevamo; più di una volta suonarono l'adunata ad ore strane del giorno e
della notte per farci correre a prendere un bicchiere di tè o infuso di tiglio
che fosse, certi che non avremmo rinunziato a nulla. Ridevano insieme ai
tedeschi nel vederci nuovamente inquadrare sotto il sole o al buio, consapevoli
della nostra difficoltà di entrare ed uscire velocemente dalle tende, dovendo
anche aiutare i commilitoni in difficoltà. Nessun segno di pietà e umanità
verso quei relitti umani che, soldati come loro, avevano il torto di essere
stati vinti dopo quattro anni e mezzo di dura guerra. Bene in vista, sulla facciata di una casa
poderale qualcuno aveva tracciato con un pennello questa frase: «Meglio pecore
al pascolo che leoni in gabbia»". ( da: Ciabattini P., Coltano 1945. Un
campo di concentramento dimenticato, Ed. Mursia 1995)
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“In
Toscana il primo campo di concentramento alleato fu costruito con baracche di
legno e metallo nella Caserma dei Lupi di Toscana a Scandicci. Gli Alleati,
però preferirono costruire le altre strutture detentive nel territorio pisano,
per motivi logistici e per la vicinanza al comando generale dei campi,
l’MTO-Usa Prisoner War di Livorno. Questi campi, sorgevano a San Rossore, a
Metato e nella tenuta di Coltano, proprietà dell’Opera Nazionale Combattenti”.
Mentre il campo di
internamento 334 era, appunto, a
Scandicci ed il 339 a S. Rossore, i cosiddetti pwe 336,337 e 338 furono allestiti
a Coltano, in provincia di Pisa e
gestiti dalla 92^ divisione “Buffalo” della 5^ armata U.S.A. da maggio a fine
agosto 1945.
Una curiosità storica: i
soldati della “Buffalo” erano in gran parte neri. Le origini di questa
divisione risalivano alla Guerra di Secessione. All’interno della divisione
c’erano anche soldati di altre etnie, come filippini, ebrei, nativi americani.
I tre campi ospitavano,
si fa per dire, militari italiani, tedeschi, russi e slavi.
In particolare, il pwe 337 raccolse, oltre a
civili, ben 35.000 militari italiani
della
R .S. I. : secondo le fonti ufficiali,
qui furono internati 3.472 ufficiali dell’esercito, 359 civili, 24.717 soldati
di truppa, 994 prigionieri che dichiaravano di essere partigiani e 2.506
disertori.
Tra i prigionieri, personaggi noti : Walter Chiari,
Enrico Maria Salerno, Raimondo Vianello, Enrico Ameri (giornalista), Luciano
Salce (regista), Mirko Tremaglia e Giuseppe Turini (politici), Giuseppe Dordoni
(podista olimpionico) e Giovanni Prodi.
Ezra
Pound , invece, accusato di
collaborazionismo, non fu detenuto a Coltano, come riferisce buona parte
della storiografia, ma in un campo per
internati americani a Metato (fra Pisa e Viareggio)- (cfr. Hugh Kenner, The Pound
Era, London 1972, p. 472.)
Altri ancora, pur meno
o per nulla noti, furono a Coltano : come
Pietro Ciabattini il cui libro-
testimonianza : “Coltano 1945: un campo dimenticato”, edito da Mursia nel 1995 resta
forse nell’ambito della storiografia
italiana scritta l’ unico testo sistematico che ne parli nei diversi aspetti; o
come mio zio Giovanni Spadini, tenente
G.N.R. a Breno internato nel maggio del
1945 e rimesso in libertà l’8 ottobre dello stesso anno, in condizioni –limite.
La verità su Coltano è
certamente racchiusa nei ricordi e nelle
testimonianze di chi ha vissuto quell’esperienza , negli archivi americani -
ammesso che ve ne sia rimasta traccia scritta- e nei ritrovamenti del 1964
nell’ora campo sportivo di Castel Fiorentino, utilizzato allora come cimitero
clandestino ove raccogliere parte delle salme provenienti da Coltano.
In quel luogo ed in
quell’anno , infatti, una bonifica riportò alla luce i corpi rimasti ancora prevalentemente senza nome di
almeno 350 persone.
Pur non molti testimoni italiani, ex internati, hanno comunque descritto
la propria esperienza, vissuta e
raccontata in modi differenti.
Alcuni in modo
sistematico e storico, come Ciabattini,defunto il 10 giugno di quest’anno,
altri in modo maggiormente evocativo ed emotivo, affidandosi anche a poesie e racconti composti in notturna nel campo stesso, come Cesare Tessoni
e Franco Landini, mio conterraneo ostigliese, di cui ho potuto leggere ed apprezzare il
memoriale, distribuito in forma privata e formato da quattro volumetti manoscritti.
I più sono invece
rimasti assolutamente muti o
silenziosi,come mio zio, che non parlò mai in vita di questa esperienza
perché indicibilmente dolorosa. Solo un
giorno a tavola ebbe un moto di
autentica rivolta e profonda repulsione
nell’allontanare un contorno di carote che non mangiò mai più, in quanto
“ricordo di Coltano”. Cosa abbia egli passato non lo volle mai riferire.
La fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana cui aderì volontario, come giovane ufficiale classe
1924, l’esperienza di Coltano e infine la condanna ed esecuzione del padre
Maggiore Ferruccio Spadini nel febbraio del ‘46,lo fecero poi decidere di
scontare consapevolmente una pena detentiva
nel carcere militare di Peschiera a seguito della volontaria renitenza
alla leva- richiamato dalla nuova Repubblica italiana democratica- della quale
non riconobbe la giustizia .
Va ricordato che
l’esistenza di Coltano fu taciuta all’opinione pubblica italiana fino al 31
agosto 1945, data nella quale gli Alleati trasferirono alle autorità italiane,
quindi ai cosiddetti badogliani, la giurisdizione sul campo stesso, che restò comunque operativo fino all’ottobre 1945, sgombrato interamente
nel mese di novembre.
“ Il 28 agosto del 1945 la gestione del
campo fu affidata alle autorità italiane sotto il controllo del 3° Reggimento
Guardie, con la direzione del Colonello Francesco Marinai. A partire da questa
data furono numerosi i familiari degli internati che, provenienti da varie
parti d’Italia, si recarono a Coltano per chiedere notizie dei propri cari e la
loro liberazione, mentre le autorità locali e le rappresentanze ecclesiastiche
si rivolsero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché risolvesse la
ingestibile situazione del campo.
Il 20 settembre successivo, il Ministero
dell’interno dispose la costituzione di una Commissione che si occupasse di
esaminare la posizione degli internati nel campo. Il 24 seguente il Prefetto
della Provincia di Pisa nominò la Commissione, che a sua volta costituì altre
41 sottocommissioni delle quali 36 militari, che iniziarono immediatamente ad
analizzare la situazione nel campo.
In un mese furono liberate circa 30.000
persone, mentre altri 2.700 internati furono trasferiti in altre strutture:
1.637 furono inviati al campo di Laterina (AR); 45, tra ufficiali, generali e
colonnelli vennero trasferiti a Forte Boccea a Roma; 187 militari della marina
furono destinati al campo di Narni; 251 ricercati dal centro di
controspionaggio di Firenze e 246 ricercati da varie Questure furono
rimpatriati con foglio di via obbligatorio. Risultano, inoltre, ben 313 le
persone prelevate da varie Questure per rispondere di reati e crimini di
guerra, ed una prelevata dal centro di controspionaggio di Firenze”.
Queste le notizie che, nude e crude, possono essere sommariamente
sintetizzate in base ai documenti conservati nell’Archivio storico di Pisa.
Nel famigerato pwe 337 di Coltano sembra
siano avvenuti decessi per fame, per omicidio, per torture inaudite in violazione dei diritti
sanciti dalla Convenzione dell’Aja, occultamento di cadaveri , sevizie
impensabili quale quella della cosiddetta “fossa dei fachiri” e , come ricorda
Ciabattini, molti furono gli internati italiani morti di stenti nell’ospedale
da campo n°99 WQ06 o nel n°650.
In assenza di una pluralità di testimonianze veramente articolate che
permettano alla storiografia più recente di registrare date, nomi e fatti, non
essendo rintracciabili a tutt’oggi
documenti probanti le nefandezze
commesse in questi campi, il Tempo si è appropriato del ricordo e ne è sceso
l’oblio fino al 1995, data dell’uscita del libro di Ciabattini, che ebbe il
merito di riproporre all’opinione pubblica il ricordo di questo luogo
dimenticato, pur prestando in questo modo involontariamente il fianco a nuove polemiche,
a nuove contestazioni e a -purtroppo-
rinnovate brutture.
Tra queste
l’accanimento vandalico al monumento- cippo eretto in onore degli internati e
caduti di Coltano , voluto da Ciabattini stesso, che si battè per ottenerne il
pubblico riconoscimento; edificato nel 1996, inaugurato il 22 settembre di
quello stesso anno , subito imbrattato di scritte ingiuriose ed offensive della
memoria ,poi divelto e frantumato sabato 5 ottobre 1996 ad opera di un gruppo
di anarchici dichiaratosi “Macchia Nera” ed alla fine rimosso e sostituito con
copia in plastica, trasportabile, da esibire pubblicamente solo durante le cerimonie.
Nell’autunno del 1997
il questore di Pisa vietava con ordinanza
pubblica ai reduci di commemorare nei pressi della Pineta delle Serre (ove si estendeva il campo), facendo firmare ai
reduci organizzatori un verbale di prescrizione col quale si diffidava i
partecipanti ad esibire labari, insegne, bandiere, nastrini e medaglie.
Nel 1999 fu però aperto
dalla Procura militare di La Spezia un fascicolo giudiziario sulle presunte
esecuzioni sommarie a carico della 92^ divisione “Buffalo”, a seguito delle
denunce di Ciabattini e a cura del Procuratore della Repubblica dott. Giovanni
Bolla di cui attualmente non ho potuto rintracciare alcuna ulteriore notizia .
Tutto è trasportabile,
rimovibile, convertibile in plastica, perfino un piccolo monumento al ricordo. Quello che è invece inamovibile è quanto vi
sta dietro: il valore, il valore delle testimonianze e del silenzio, il valore
di soldati che credevano in ideali non trasportabili, non rimovibili e non convertibili e per questo sono rimasti al loro
posto anche nella prigionia e, forse, certa
storia li ha condannati proprio per questo.
In totale discordanza con quanto detto finora vi
sono infatti ben altre dichiarazioni di
storici, come il prof. Michele Battini, docente di storia contemporanea
all’Università di Pisa e membro del comitato scientifico nazionale degli
Istituti storici della Resistenza, secondo la cui opinione paragonare il campo di Coltano a un lager non è possibile in nessun
caso.
Esempio che
potrebbe confermare questo fatto è il caso del giornalista Mauro De Mauro,
giovanissimo nella Decima Flottiglia Mas, il quale riuscì a fuggire dal campo
di Coltano, approfittando di un momento di confusione generato dalle visite dei
parenti dei detenuti ed anche il caso di
Giovanni Prodi, fratello dell’ex presidente del consiglio, la cui testimonianza
è rintracciabile nell’ultimo libro di
Pansa e che farebbe pensare a Coltano
come ad un grande palcoscenico, ove gli internati cantavano, ballavano,
recitavano ed ascoltavano e componevano poesie. Poco meno quindi di una colonia
estiva o di un villaggio
turistico,insomma, ove era possibile acculturarsi gratuitamente per colmare
eventuali lacune nella preparazione
scolastica.
Dal ricordo di Giovanni Prodi:” Ci
sarebbero tante cose da raccontare riguardo alla mia prigionia, che si protrasse
per tutta l’estate del 1945: può darsi che mi decida a ripassare qualche
ulteriore ricordo.
Comunque, qui voglio accennare
all’aspetto che mi sembra il più importante. Nel nostro settore del campo veniva celebrata ogni
giorno la Messa. Circolavano ottimi libri di spiritualità cristiana.
Ripensando alle mie vicende, vedo
l’importanza di questo lungo periodo di "Esercizi spirituali" situato tra l’adolescenza e la
piena giovinezza. In quel periodo stabilii anche amicizie che durarono a lungo. Quei mesi non furono del
tutto sprecati neppure sotto il profilo degli studi. Infatti la
mancanza di maestri e di libri mi
spinse a spremere il massimo dalle poche nozioni che avevo potuto apprendere
occasionalmente».
Secondo
poi la documentazione dell´Archivio di Stato di Pisa, dove si trovano le
testimonianze del prefetto per la liberazione di Pisa e del comandante italiano
del campo: «Le autorità alleate ebbero in realtà un atteggiamento estremamente
benevolo nei confronti dei prigionieri». La dimostrazione di
questo è nel fatto che: «la stragrande maggioranza degli internati a Coltano fu rilasciata
nel giro di pochissime settimane, mentre soltanto qualche centinaio fu
trattenuto per accertamenti giudiziari».
I documenti testimoniano di come le famiglie
avessero perfino la possibilità di visitare gli internati. E a ottobre il campo
risultava già completamente vuoto. Il che non significa, dice Battini: «che
le condizioni di vita dei detenuti non fossero difficili»,
ma non bisogna dimenticare: «che in quel periodo la vita era durissima
per tutti». E quindi, conclude lo
storico: «paragonare a un lager un campo smantellato in tre mesi e i cui
prigionieri furono quasi tutti liberati, non può che suonare come un´offesa a
chi ha patito le atrocità dei veri lager nazisti e fascisti presenti anche in
Italia».
Da
cultrice della Storia , ponendo il semplice fatto davanti agli occhi del
lettore o alle orecchie dell’ascoltatore, posso trasmettere la testimonianza di
mia nonna e di mio padre, riguardo le effettive condizioni di mio zio Giovanni
uscito da Coltano, a cui per mesi non fu
possibile- a seguito delle torture subite- distendersi su un letto e che per
lungo tempo fu medicato e assistito dalla madre.
Non
ho notizia, invece, riguardo il miglioramento durante la prigionia a Coltano della sua cultura generale o della certa
possibilità che ebbe -secondo le fonti accreditate- di rinverdire i ricordi
delle nozioni giovanili, già comunque apprese nel liceo classico da lui
frequentato e non sarei una cultrice della Storia se parlassi di fatti non
verificabili.
Così
mi pare,invece, siano cultori di una storia fortemente intrisa di giudizi
parziali coloro che dichiarano la “leggerezza” della prigionia coltanina: ma di
pesi e misure differenti è perfino inutile parlare, per non finire poi a
commettere gli stessi errori di valutazione dei fatti nella quale incorrono
coloro che hanno saputo giudicare persino l’onorevole e dignitoso silenzio dei
forti, o le scelte valoriali e di campo consapevoli.
Ai
prigionieri dei campi di Coltano, morti e vivi, e a tutti i Militari Repubblicani
restino in dedica queste poche righe di sintesi,insieme alla certezza che in
tempi ove la coerenza non paga, c’è comunque chi ancora si batte come può per
riconoscerne tutto il valore.
Barbara
Spadini
COME ARRIVARE A COLTANO
Con l'autostrada Genova Livorno, uscire a Pisa centro e imboccare la via Aurelia in direzione Livorno. Dopo alcuni km, sulla destra si trova un cartello con l'indicazione "Coltano". Imboccare questa strada in salita e a metà, di fronte ad un ristorante, girare a sinistra e proseguire sempre dritti fino a Coltano. Arrivati di fronte ad alcune grandi costruzioni girare a destra e, dopo un centinaio di metri, imboccare la seconda strada sulla destra che conduce ad una pinetina. Dopo aver superato alcune case coloniche sui due lati, fare attenzione ad una piccola strada sulla destra che ci condurrà in poche decine di metri al Campo.
Bibliografia
Ciabattini Pietro, Coltano 1945:un campo dimenticato, Mursia 1995
Kenner Hugh, The Pound
Era, London 1972
Landini Franco- Tessoni Cesare, Memorandum prisoner of war 757764,
memoriale in quattro volumi, edizione
fuori commercio a distribuzione privata, 2010
Tanti
Giovanna (a cura di), Il dopoguerra: il campo di concentramento di Coltano
(1945), Archivio di Stato di Pisa, 2002
Pansa G. Paolo, I vinti non
dimenticano, Rizzoli 2010
Colla Alessandra, OLTRAGGIO A COLTANO Quando la memoria fa paura.
STORIA DEL XX SECOLO N. 18. Novembre 1996.
A LA
SPEZIA LA PROCURA MILITARE INDAGA SULLE ATROCITA' ALLEATE COMMESSE NEL CAMPO DI
CONCENTRAMENTO A COLTANO, NUOVA
CONTINUITA' IDEALE N. 1-2 Gennaio-Febbraio 1999
Colla Alessandra, OLTRAGGIO A COLTANO Quando la memoria fa paura.
STORIA DEL XX SECOLO N. 18. Novembre 1996.
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