lunedì 14 maggio 2018

SILVIO FERRARI, NEI NOSTRI CUORI


 
Silvio Ferrari, aveva preferito l’Onore al disonore,
il Coraggio alla paura

Il 1974, per la città di Brescia, fu l’inizio di una lunga stagione di attentati dinamitardi. A cominciare da gennaio, quando un ordigno esplose davanti alla porta principale del Municipio di Concesio; a febbraio contro la Coop in viale Venezia; a marzo contro la sede della Cisl a Leno e a maggio l’episodio più grave. La notte tra sabato 18 e domenica 19 maggio, in Piazza Mercato alle ore 03.05 un’esplosione assordante fece svegliare di soprassalto gli inquilini delle case circostanti.



Alla loro vista uno spettacolo agghiacciante. Un giovane, Silvio Ferrari, giaceva esamine al suolo. Le gambe erano orrendamente dilaniate e a pochi metri una vespa 125 “Primavera” fumante. Trasportava, sulla pedana, un ordigno ad alto potenziale, circa un chilo di tritolo con nitrato di ammonio e il detonatore elettrico innescato. Accanto al corpo una pistola, Beretta 7.65 con caricatore e colpo in canna. A poca distanza, alcune copie, quasi bruciate, del numero unico di “Anno Zero”, rivista ufficiale del movimento Ordine Nuovo. Silvio Ferrari, 21 anni, figlio di una famiglia agiata, era considerato un esponente di primo piano dell’estrema destra bresciana. Rimase legato ad Ordine Nuovo nonostante il suo scioglimento nel 1973. Diverse le sue amicizie in tutta la Lombardia, soprattutto nei confronti dei Sanbabilini. Due giorni dopo, al suo funerale, amici provenienti dal Veneto, dall’Emilia e da Milano parteciparono commossi alle esequie. Non mancarono scontri e tafferugli con militanti di sinistra e forze dell’ordine. Infatti la Polizia riuscì ad arrestate cinque esponenti veronesi del movimento di Ordine Nuovo. Il feretro fu accompagnato al cimitero periferico di S. Francesco da Paola, zona est della città, e gli amici, gli dedicarono una corona di fiori con rose rosse e al centro un’ascia bipenne formata da fiori bianchi. Il nastro fu firmato “Camerati Anno Zero”. Il 19 maggio 1975, in occasione del primo anniversario della scomparsa di Silvio Ferrari, alcuni amici fecero pubblicare, a pagamento, sulla testata giornalistica “Il Giornale di Brescia”, un necrologio molto particolare. Le iniziali dei nomi, lette in verticale, formavano la frase: “Camerata Silvio Presente”.
La corona di fiori che accompagnava il
feretro di Silvio Ferrari


In una terra occupata militarmente dagli americani e sottoposta a continue aggressioni da parte della sovversione marxista, i giovani anticomunisti sono costretti a difendere e a difendersi utilizzando ogni mezzo, lecito e no. Prevenire o perire. Troppe erano le tensione che (ormai da anni, investivano le città: aggressioni, incendi, ferimenti, bombe), i camerati subivano, erano gli anni in cui per le strade e nelle piazze i servi rossi del capitalismo gridavano << uccidere un fascista non è reato>>, servi che avevano disonorato l’Italia, che avevano massacrato altri italiani in nome del bolscevismo, traditori a servizio dello straniero che si arrogavano in nome dell’antifascismo il diritto di perseguitare ed escludere dalla vita politica e sociale chi aveva scelto di lottare il capitalismo. I giovani fascisti, erano perseguitati nelle scuole e nelle fabbriche, specialmente in Lombardia, dove l’antifascismo non viene professato per motivi ideologici ma per opportunità economiche, in questo difficile clima il Camerata Silvio Ferrari, era divenuto un esponente di primo piano nell’area dell’extraparlamentarismo bresciano. Legato all’organizzazione culturale “La Fenice”, un gruppo di giovani che, inconsciamente si erano sottoposti ai servizi deviati dello Stato, del quale facevano da tramite il capitano dei carabinieri Antonio La Bruna e il capitano Francesco Delfino - conosciuto nell’ambiente come «Palinuro» -, che da (Sbirro) esaltando i valori del Fascismo seppe contaminare la loro ingenuità, spingendoli in azione di rivolta, in questa attività venne coinvolto anche Silvio Ferrari, il quale la notte tra il 18 e il 19 maggio ’74 durante l’inspiegabile trasporto di un ordigno posto sulla pedana della vespa 125 “Primavera” di proprietà del fratello Mauro, alle tre e cinque, giunto nei pressi di un vicolo di Piazza del Mercato a Brescia, una piazza contigua a quella della Loggia, rimase dilaniato dallo scoppio dell'esplosivo composto da un chilo di tritolo e da nitrato di ammonio, già con il detonatore elettrico ed il congegno ad orologeria innescato. Del corpo di Silvio, restarono solo i piedi, vicino i suoi resti venne ritrovata una fondina vuota e a tre metri una Beretta 7,65 con caricatore e il proiettile in canna. A poca distanza alcune copie bruciacchiate della rivista “Anno Zero”. Il trasporto di quell’ordigno risulta ancor più strano se si considera che proprio per il giorno seguente era stata convocata in città una manifestazione di ex-combattenti (una strana coincidenza). Silvio Ferrari, aveva preferito l’Onore al disonore, il coraggio alla paura, si fidava dei suoi camerati, non sapeva ci fossero apparati e uomini che avevano saldato certe aree della destra ad apparati e settori dello Stato, in chiave di strumentalizzazione da parte di questi nei confronti di quelle aree (..) col miraggio del colpo di Stato risanatore". Nell’ambiente Fascista bresciano circolavano voci che accusavano della sua morte il traditore che aveva consegnato a Silvio la bomba confezionata in maniera tale da farlo saltare in aria. Di certo non un vero camerata.
 


Ferrari era morto per essersi fidato di gente senza scrupoli, al servizio del sistema, che utilizzava allo stesso tempo giovani dell’una e dell’altra parte, come esplicitamente affermato in sede d’audizione il 4 giugno 1997, presso la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle stragi dal Dottor Arcai, in risposta al Presidente on. Giovanni Pellegrino, che chiede: << tutti questi gruppi che lei ha definito bianconeri siano stati per un lungo periodo, diciamo fino al 1974, in qualche modo seguiti, se non incoraggiati seguiti con le briglie lunghe, da parte di apparati istituzionali con alle spalle, probabilmente, precise responsabilità politiche, e che poi invece nel 1974 c'è una svolta e questi gruppi vengono buttati a mare. Quindi l'operazione Maifredi, il primo rapporto di Delfino, potrebbero rientrare in questa logica, in questa strategia, vale a dire il tentativo di recidere i rapporti che ad un certo punto erano diventati pericolosi >>. Domanda a cui Il Dottor Giovanni Arcai rispose: << sono d'accordo su questo per un complesso di ragioni. Intendiamoci: non c'è dubbio, per quello che ho accertato e che ho capito poi leggendo e facendo certi processi anche di terrorismo rosso, perché ho fatto poi anche i processi Feltrinelli e Curcio a Milano, e anche in quelle circostanze mi sono trovato di fronte a servizi segreti che facevano questi lavori, carabinieri che facevano altrettanto>>. Da questa audizione del 1997 si evince un chiaro atto d'accusa verso questa “democrazia rappresentativa” e a chi dovrebbe tutelare l'ordine pubblico e la serena convivenza civile, ma non lo fa: per inefficienza o per inettitudine?  La stessa “Democrazia” che tre giorni dalla morte, sfrutta, mediaticamente, persino il dolore familiare e di una comunità, attraverso la più paradossali provocazioni delle forze dell’ordine le quali durante i funerali di Silvio Ferrari creano un gran trambusto ed arrestano cinque giovani Camerati del gruppo «Anno Zero». Funerale che vede comparire a firma i Camerati una corona di fiori con l’ascia bipenne simbolo del Movimento politico Ordine Nuovo, “democraticamente” sciolto nel 1973, d’autorità dal Ministro degli interni. 
 
 
 Silvio Ferrari, era nato nel 1955 in una famiglia agiata, già fidanzato con Ombretta Giacomazzi, una bella ragazza 17enne del bresciano. Nessuna indagine fu istruita per la morte del Camerata Ferrara. Solo dopo l’esplosione del 28 maggio 74’, in piazza Della Loggia, vengono affidate le indagini al capitano Francesco Delfino, lo stesso ufficiale che teneva i contatti con le organizzazioni extraparlamentari, alle quale avrebbe materialmente fornito armi ed esplosivo.  Secondo i documenti trasmessi a Roma dal giudice Salvini, Delfino, sarebbe uno degli ufficiali italiani più vicini alla Cia, il servizio segreto degli Stati Uniti: e fin dai primi anni Settanta.  Un carabiniere invischiato nel grande gioco dell’eversione. O meglio: era un uomo dello Stato che, all’occorrenza, si faceva passare per «nero» e usava spregiudicatamente ingenui «camerati» per la sporca guerra che appartati dello Stato senza esclusione di colpi stavano combattendo per destabilizzare la nazione. Il Capitano Delfino, nelle indagini imbocca, come prevedibile, un’unica e precisa direzione che porta ad un eccentrico locale - Ermanno Buzzi - e all’etereogeneo ambiente a cui appartiene.  Buzzi non è noto come un tortuoso stratega o una raffinata mente politica, bensì come pregiudicato per reati comuni, mitomane, persino informatore dell’Arma. Nel suo entourage - oltre al defunto Silvio Ferrari - spiccano in particolare i nomi di due personaggi di varia umanità: Ugo Bonati, che si rende prontamente disponibile come testimone dell’accusa e Angelo Papa, un diciottenne disadattato. Il sostituto procuratore di Brescia, Francesco Trovato chiuse le indagini, chiede il rinvio a giudizio di 30 persone, tra cui Ermanno Buzzi, imputati dell'omicidio di Silvio Ferrari. La richiesta viene accolta dal Giudice istruttore Domenico Vino, che dispone il rinvio a giudizio degli imputati davanti la Corte di assise di Brescia. La Corte di assise di Brescia, emette la sentenza di primo grado il 2 luglio 1979, con la quale condanna all'ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni e sei mesi Angiolino Papa quali esecutori materiali della strage di Piazza della Loggia, Ferdinando Ferrari a 5 anni per la detenzione dell'ordigno esplosivo che ha provocato la morte di Silvio Ferrari e ad 1 anno per l'omicidio colposo del medesimo. Marco De Amici viene condannato con Pierluigi Pagliai per il trasporto dell'esplosivo, di proprietà di Silvio Ferrari, da Parma a Brescia. La Corte di assise di appello di Brescia, emette la sentenza di secondo grado il 2 marzo 1982 con la quale vengono assolti tutti gli imputati per non aver commesso il fatto. La Corte di Cassazione, con sentenza del 30 novembre 1983, annulla la sentenza della Corte d'assise d'Appello per difetto di motivazioni e rinvia gli atti alla Corte d'Assise d'Appello di Venezia. La Corte di assise d’Appello di Venezia, il 19 aprile 1985, pronuncia una nuova sentenza di assoluzione per insufficienza di prove per tutti gli imputati, mentre conferma la condanna per Marco De Amici. La Corte di Cassazione, con sentenza del 25 settembre 1987, conferma la sentenza della Corte d’assise d’Appello di Venezia, rendendola definitiva.  La morte di Silvio Ferrari, non trova alcun colpevole, lo Stato assassino ancora una volta l’ha fatta franca, mentre il capitano Delfino a spese di tanti ingenui Camerati ha compiuto una folgorante carriera raggiungendo il grado di generale.
 Gradi che vengono spazzati via dalla vicenda Soffiantini.  Molti anni dopo, Ombretta Giacomazzi ex fidanzata di Ferrari sposerà Carlo Soffiantini, uno dei figli dell’industriale sequestrato. Subito dopo il matrimonio il fratello di Carlo, Giordano, rivela un'altra prepotenza commessa da quell’ Ufficiale: «Delfino, quando era capitano, aveva indotto Ombretta a testimoniare il falso, dopo averla arrestata».

"CORRIERE DELLA SERA" 20 MAGGIO 1974

Necrologio per il primo anniversario della morte di Silvio Ferrari
pubblicato su «Il Giornale di Brescia» il 19 maggio 1975.
Le iniziali dei nomi, lette in verticale, formano la frase
 «Camerata Silvio presente».

VOLANTINO DISTRIBUITO DAL CIRCOLO CULTURALE
 "RISCOSSA" NEL 1971
 

 
SILVIO FERRARI
 
 
VISITA IL SITO :

Nessun commento:

Posta un commento