venerdì 5 gennaio 2018

“Non pensate a me, pensate a Franco che sta messo peggio…”

 
7 gennaio 1978: la strage che ha cambiato le nostre vite                                                                                  
 
Oggi non ho voglia di parlare di calcio. Oggi voglio parlare d'altro, di un evento accaduto quasi 40 anni fa e che ha cambiato radicalmente la vita di molti della mia generazione: la strage di Acca Larentia. Vi ripropongo una parte del capitolo di "Faccetta biancoceleste" in cui ho parlato di questa vicenda che mi e ci ha segnato profondamente. Nel libro, c'è un seguito sportivo a quella serata di sangue, perché il giorno dopo si gioca un Perugia-Lazio segnato da gravi incidenti, da scontri con tifosi rivali mischiati a estremisti di sinistra, ma anche da una vera e propria caccia al carabiniere. Ma qui mi limito al racconto di quella giornata, agli avvenimenti di quel 7 gennaio che resterà per sempre impresso nella nostra memoria...
Quella del 7 gennaio sembra una sera come tante. Le vacanze di Natale sono finite, ma le scuole non hanno riaperto i battenti perché è il sabato dopo la Befana e la città sta lentamente riprendendo il suo aspetto normale: sono sparite le bancarelle natalizie, sono stati smontati gli alberi di Natale. Già, la vita normale, sempre ammesso che si possa parlare di normalità riferendosi a quel periodo.
Via Acca Larentia è una piccola via del quartiere Tuscolano, una traversa di via delle Cave, quella grande strada che collega la Tuscolana all’Appia. Nella sede dell’Msi della zona, quella sera sono riuniti un gruppo di ragazzi che si sono dati appuntamento per fare volantinaggio. Non si tratta di volantini politici, ma solo di fogli fotocopiati con cui si pubblicizza un concerto degli Amici del Vento, un gruppo musicale di destra. Nella sede ci sono Francesco Ciavatta, figlio del portiere dello stabile, Maurizio Lupini, un giovane dirigente di estrazione popolare, Franco Bigonzetti, studente di Medicina, Vincenzo Segneri che fa il meccanico e Giuseppe D’Audino, anche lui studente. Ragazzi normali, non figli di papà e neanche degli esaltati o dei terroristi in erba. Questa è la ricostruzione di quello che è successo quella sera, di una delle pagine più nere di quegli anni e di una vicenda che non è mai stata del tutto chiarita, perché si tratta di una strage compiuta da assassini rimasti sempre senza un nome e un volto. E poi di altre morti, con responsabili che avevano sia un nome che un volto, ma che non hanno pagato per quegli omicidi, perché indossavano una divisa.
Sono le sei di pomeriggio, quando il gruppo di ragazzi si appresta a spegnere le luci della sezione: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta sono già sull’uscio, con la serranda tirata giù ma quanto basta per far passare chi sta ancora dentro. Anche se è cintura nera di judo, Franco è ragazzo timido, che studia e lavora, che si paga gli studi in Medicina lavorando per una società addetta alla manutenzione delle strade. Francesco, è completamente diverso: è estroverso, il burlone del gruppo conosciuto da tutti nel quartiere, dove scorrazza a bordo del suo Boxer Piaggio blu. Franco e Francesco parlano da fuori con gli amici che stanno ancora dentro la sezione. I due danno le spalle alla strada e quindi non si accorgono che dietro di loro, vicino alle colonnine di marmo collegate da catene che delimitano il marciapiede, si sono posizionate cinque o sei persone: armate e con il volto coperto da sciarpe e passamontanga. Un vero e proprio plotone di esecuzione.
Quel gruppo di fuoco comincia a sparare su quei ragazzi innocenti e che stanno girati di spalle. Testimoni parlano di un crepitio di colpi infinito. Qualcuno all’inizio pensa all’esplosione di botti avanzati a Capodanno, invece sono proiettili che volano dritti verso i bersagli: che non sono sagome o fantocci, ma ragazzi disarmati. Franco è il primo a cadere a terra, poi tocca a Francesco, mentre Vincenzo Segneri, pur ferito, trova la forza per spingere gli altri dentro la sezione e di chiudere la porta di ferro. I ragazzi, feriti, sotto shock e frastornati, da dentro sentono urla, rumore di passi, altri colpi esplosi e poi il silenzio. Quando dentro la sezione qualcuno trova il coraggio di accendere la luce, i ragazzi si accorgono che all’appello mancano Francesco e Franco, poi vedono il sangue che entra da sotto la porta: la aprono e trovano Bigonzetti a terra, morto e con il volto orribilmente straziato dai colpi che lo hanno centrato in pieno viso. Lì vicino c’è Ciavatta, che è ancora vivo e che prima di morire dice agli amici che lo soccorrono: “Non pensate a me, pensate a Franco che sta messo peggio…”. E poi chiude gli occhi, per sempre, perché uno di quei tre proiettili che lo hanno centrato gli ha spaccato in due il cuore. Vincenzo Segneri è ferito ad un braccio e grida, urla come un pazzo: non per il dolore fisico, ma per la rabbia di aver dovuto assistere impotente a quella violenza, a quell’esecuzione che gli ha strappato per sempre due amici.
In quell’agguato, dai bossoli ritrovati in terra e dalla perizia balistica, è stato ricostruito che sono state usate pistole a canna corta, ma i colpi mortali sono stati sparati da una mitraglietta Skorpion. E la storia di questa mitraglietta, è uno dei tanti misteri irrisolti di questa vicenda.
Ad acquistarla, legalmente, è stato qualche anno prima un signore distinto, con gli occhiali, che risponde al nome di Enrico Sbriccoli, ma che è conosciuto con il suo nome d’arte: Jimmy Fontana. È un noto cantante dell’epoca, che ha raggiunto la notorietà grazie a Il mondo, il suo cavallo di battaglia. Interrogato, anni dopo quando la mitraglietta fu ritrovata in un covo di brigatisti, Jimmy Fontana ammette di aver acquistato l’arma, ma dice di averla venduta alla fine del 1977 ad un commissario di polizia. Non ad un commissario qualsiasi, ma ad un funzionario che presta servizio proprio al commissariato del Tuscolano. Il dottor Cetroli nega la circostanza e la giustizia non ha mai chiarito chi tra lui e Jimmy Fontana fosse il vero bugiardo. Eppure, non è difficile appurarlo, perché il cantante sostiene nel verbale dell’interrogatorio di esser stato pagato con un assegno per la vendita della mitraglietta. Quindi, basta fare un controllo in banca. Ma quel semplice controllo non viene mai fatto e l’inchiesta su Jimmy Fontana viene chiusa e archiviata, mentre quella sul commissario Cetroli non è mai stata aperta.
Non esiste internet, non esistono i telefoni cellulari e neanche le tv satellitari che sfornano le notizie in tempo reale, ma grazie al passaparola nel giro di poco tempo la notizia della strage si sparge da un capo all’altro della città e a via Acca Larentia arrivano dirigenti del Msi, camerati di altre sezioni, militanti di sezioni del Fuan e del Fronte della Gioventù, ma anche gruppi di extraparlamentari. Centinaia di persone, tenute a fatica sotto controllo dalle forze dell’ordine. Soprattutto ragazzi, che piangono e urlano, che cercano solo un’occasione per sfogare la rabbia repressa per quella strage.
Per terra, ci sono dei fiori e delle bandiere tricolori distese per coprire il sangue di quei ragazzi. E scocca la scintilla. Una serie di spinte, qualche slogan forte, insulti, poi l’incendio quando un giornalista getta (non si sa se volutamente o inconsapevolmente) una cicca di sigaretta sulla pozza di sangue che c’è sul punto dove è morto Francesco Ciavatta. Questa è una versione, l’altra è quella che tutto è iniziato a causa di una carica fatta per liberare un ragazzo di destra, fermato dai carabinieri perché ha dato un calcio ad una macchina di servizio. Non si sa qual è la versione reale, ma la situazione precipita nel giro di pochi attimi. Le forze dell’ordine sono sopraffatte dalla folla inferocita e in quel momento alcuni testimoni sostengono di aver visto un capitano dei carabinieri che, forse nel timore di essere linciato, estrae la pistola e spara ad altezza d’uomo.
A cadere a terra, all’angolo tra via Acca Larentia e via delle Cave, freddato da un colpo che lo centra in mezzo alla fronte, è un ragazzo di 19 anni. Si chiama Stefano Recchioni, fa parte della sezione di Colle Oppio, si è appena arruolato nei parà e sta per partire, per coronare il suo sogno di indossare la divisa, il basco della Folgore e di lanciarsi da un aereo con un paracadute. Il suo volo, invece, finisce ancora prima di iniziare, perché quel proiettile gli spezza le ali.
E come è successo per Ciavatta e Bigonzetti, anche l’assassino di Stefano Recchioni resta impunito: ma non senza volto, perché il suo nome è Eduardo Sivori, ed è il capitano dei carabinieri che quei testimoni hanno visto sparare. Nei verbali, però, si parla di legittima difesa, perché il capitano sostiene di aver sparato ma solo dopo che il suo gruppo è stato aggredito e che ai colpi sparati in aria dai carabinieri hanno fatto seguito quelli sparati da alcuni militanti di destra; e, solo allora, Sivori sostiene di aver abbassato il tiro, sparando ad altezza d’uomo e centrando involontariamente in fronte Stefano Recchioni. La versione ufficiale, quella contenuta nell’intervento del ministro dell’Interno Francesco Cossiga il 10 gennaio alla camera dei deputati, recita:
…il gruppo di dimostranti reagiva esplodendo colpi d’arma da fuoco contro l’ufficiale (…) L’ufficiale era costretto a prendere posizione dietro l’autovettura militare per difendersi dall’attacco e con la propria pistola d’ordinanza esplodeva tre colpi in aria, ma permanendo lo stato di pericolo ed essendosi la sua pistola inceppata, si muniva di un’altra arma in dotazione al reparto. Da parte dei dimostranti continuavano il lancio di sassi e gli spari contro l’ufficiale, il quale veniva colpito dai sassi al ginocchio e alla spalla, per cui cadeva a terra e dall’arma che impugnava partivano due colpi.
Uno di quei colpi, colpisce in piena fronte Stefano Recchioni. Una versione ridicola che, per certi versi, ricorda quella di Spaccarotella, di quel colpo sparato per disperdere il gruppo di tifosi laziali e juventini che si stanno scontrando nell’autogrill di Badia al Pino e che deviato dall’impatto su una rete metallica casualmente colpisce e uccide Gabriele Sandri. Come “Gabbo”, anche Stefano è un bel ragazzo e un artista: ama la musica e ha anche una passione sfrenata per il disegno. Non muore sul colpo, muore dopo due giorni di agonia in ospedale, senza essere mai uscito dal coma.
La quarta vittima di Acca Larentia, è Alberto Giaquinto, ucciso il 10 gennaio del 1979 in occasione della commemorazione del primo anniversario della strage. Alberto, che sta in compagnia di Massimo Morsello (un cantautore di destra che dopo l’uccisione dell’amico entra a far parte dei Nar), viene ucciso dall’agente di polizia Alessio Speranza durante gli scontri a Centocelle tra militanti di destra e le forze dell’ordine.
A dire il vero, le vittime della strage di Acca Larentia sono 5, perché il padre di Francesco Ciavatta, che non si è mai ripreso per la morte del suo unico figlio, pochi mesi dopo si toglie la vita straziato dal dolore. Lo fa in modo drammatico, bevendo fino all’ultimo goccio una bottiglia da un litro di acido muriatico, seduto da solo su una panchina dei giardinetti vicino casa.
La strage spinge tanti a prendere la decisione di imbracciare le armi e di imboccare la strada senza ritorno della lotta armata. È la scintilla che da il via ad un vero e proprio incendio. Sull’onda emotiva di quella strage, ad esempio, nascono i Nar, come conferma anni dopo Francesca Mambro, che all’epoca è solo una militante missina presente ad Acca Larentia per quel sit-in di protesta degenerato con l’uccisione di Stefano Recchioni. Ma vicino a lei vede morire Stefano Recchioni e davanti a quel sangue giura che, mai più, si farà trovare disarmata. Quella strage, segna anche la rottura tra tantissimi giovani di destra e l’apparato dirigente del Msi, rappresentato quel giorno ad Acca Larentia da Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri, oltre che da Teodoro Buontempo.
Eravamo pochi, ci conoscevamo più o meno tutti. Con Francesco Ciavatta, poi, avevamo militato insieme nel circolo di via Noto. La reazione immediata, mia e di tanti, fu la paralisi, come quando ti muore un parente. Ci guardavamo in faccia senza capire e senza sapere che fare, mentre dalle varie sezioni della città affluivano gli altri. Il Movimento sociale italiano non ebbe alcuna reazione nei confronti dei carabinieri, probabilmente per difendere interessi e posizioni che non avevano nulla a che fare con la nostra militanza. Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma in quell’occasione dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri e il loro comportamento, allora non valeva la pena. Per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larentia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il Msi. Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano Recchioni, significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra. Per la prima volta e per tre giorni i fascisti spareranno contro la polizia. E questo segnò un punto di non ritorno. Anche in seguito, per noi che non eravamo assolutamente quelli che volevano cambiare il Palazzo, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato. Che lo facessero altre organizzazioni era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora erano considerati il braccio armato del potere.
Quel 7 gennaio è sabato e la notizia della strage ci è arrivata con il passaparola mentre usciamo dalla discoteca. Il tempo di radunarci e ci precipitiamo con i motorini per raggiungere una zona a noi sconosciuta, fuori dalla nostra contea, dai nostri “confini”. Ma in quel momento nessuno si preoccupa di questo. Di quella sera ricordo solo i volti stravolti dalla rabbia, le urla, ragazzi che camminano in silenzio e il sangue. Sangue ovunque. Tre pozze di sangue, a distanza di pochi metri, circondate da ragazzi e uomini che in silenzio e a testa bassa fissano quelle chiazze di morte. Ci sono dei lumini, tanti fiori, ma nessuno osa toccare quel sangue, che resterà in terra per giorni, fino a dopo la morte di Stefano Recchioni e dei funerali. E su quella piazza, da quel giorno, ogni anno si radunano centinaia di camerati. Gente come me con i capelli ingrigiti, ma anche ragazzi che gli anni di piombo non li hanno vissuti, ma li hanno conosciuti solo dai racconti di genitori e altri camerati, oppure li hanno vissuti attraverso i tanti libri che hanno raccontato quegli anni e quel vento di follia.

FONTE: http://www.sslaziofans.it/contenuto.php?idContenuto=30341

E’ partito il treno per la completa digitalizzazione di denaro e lavoro

 
 
L’altro giorno, mi servivano soldi e cercavo un bancomat in un centro commerciale. Non c’era nessuno sportello automatico. Una settimana fa, iin quel centro commerciale c’era ancora una agenzia di una banca locale – ma non c’è più, lo spazio vuoto sarà riempito da uno Starbucks. Ho chiesto in giro – non ci saranno più bancomat in questo centro commerciale – e questo schema si sta ripetendo più e più volte in tutta la Svizzera e in tutta l’Europa occidentale. Le macchine bancomat gradualmente ma sempre più velocemente stanno scomparendo, non solo dai centri commerciali ma anche dagli angoli delle strade. Sarà la Svizzera il primo paese dove sarà pienamente operativo il denaro digitale?
Questo nuovo modello di vita senza denaro contante viene progressivamente e brutalmente imposto a svizzeri e europei in generale – dato che nessuno sta dicendo che cosa sta veramente succedendo  dietro le quinte. Se mai, si sta dicendo alla popolazione che pagare diventerà molto più facile. Basta che passare una carta e  …  BINGO!  Niente più firme, niente più ricerca di un bancomat: addebitano tutto sul tuo conto bancario, direttamente, qualsiasi importo piccolo o grande che sia. E naturalmente e gradualmente, arriverà una “piccola tassa” per la banca, ma nessuno ci potrà far niente,  dato che l’alternativa del contanti sarà ormai superata.
In genere il limite di quanto può essere addebitato sul proprio conto bancario è quello che decide il cliente, a condizione che non superi la tolleranza bancaria. Ma la tolleranza delle banche è generosa. Se si supera il credito disponibile, il saldo sul conto scivolerà discretamente sul rosso e alla fine del mese saranno addebitati gli interessi e gli interessi sugli interessi non ancora pagati – e così via. E questo anche se i tassi di interesse interbancari sono ai minimi storici. Gli interessi fissati della Banca Centrale Svizzera per le banche, ad esempio, sono addirittura negativi; una delle poche banche centrali al mondo con interessi negativi, oltre a  Giappone e Danimarca.
Quando recentemente ho parlato con il direttore di una banca di Ginevra, mi ha detto, sta andando sempre peggio. “Stiamo già chiudendo tutti i punti cassa della banca, e lo stesso vale per la maggior parte delle altre banche”. Il che significa licenziamenti di personale, cosa che ovviamente viene raccontato solo in parte, infatti  dipendenti e manager della banca ora dovranno tutti superare un esame della commissione bancaria svizzera, e per questo esame hanno dovuto studiare centinaia di ore in pochi mesi per superare un test che, di solito viene programmato durante il week-end, in modo da non inficiare sull’orario di apertura delle banche. Ti offrono la possibilità di superare l’esame, ma se non ce la fai,  sei fuori e puoi unirti alle schiere degli altri disoccupati. C’è la stessa tendenza in tutta Europa. Questo manager non ha rivelato cosa c’è esattamente si sia dietro questa “riqualificazione”, ma dalla conversazione è emerso chiaro che aveva a che fare con il “superamento del denaro contanti” messo in mano alla gente da parte delle banche. Questo è quello che ho capito, ma lui, uno che ci sta dentro, era preoccupato quanto me, se non di più.
La sorveglianza è ovunque. Ora, non sono solo le nostre telefonate e le e-mail ad essere spiate, ma anche i nostri conti bancari. E quel che è peggio, se l’economia funzionerà senza denaro-cash, i nostri conti saranno più vulnerabili e potranno essere manipolati dallo stato, dai ladri, dalla polizia, dalle autorità fiscali, da qualsiasi tipo di autorità – e, naturalmente, dalle stesse banche che hanno avuto la nostra fiducia da tutta la vita. Ricordate  i “bail-in” che furono testati per la prima volta all’inizio del 2013 a Cipro? I bail-in diventeranno una regola comune per qualsiasi banca che abbia abusato della propria avidità di profitto e che andrebbe a gambe all’aria, se non ci fossero i depositi dei loro clienti ( per coprire le perdite). Nemmeno gli azionisti stanno tranquilli. Questa storia è stata decisa di soppiatto un paio di anni fa, sia dagli USA che da quella mafia dei colletti bianchi non eletti, che siedono nella Commissione europea – EC.
Il punto è : ‘le banche über alles’. E quale altro paese potrebbe essere più adatto della Svizzera per una “vita senza contanti”, l’epicentro – insieme a Wall Street – del sistema bancario internazionale. Saranno le banche in futuro che suoneranno le campane delle nostre economie personali e di quelle statali. Sono già globalizzate e seguono gli stessi principi della deregolamentazione in tutto il mondo. Sono in collusione con le società globalizzate. Decideranno se noi mangeremo o se diventeremo schiavi. Sono una delle armi principali a disposizione dello 0,1% per battere il 99,9% e  sottometterlo. Le altre due armi al servizio del Dominio Completo del maestro egemone dello Spectrum, sono l’industria della guerra e quella del sicurity con una macchina-della-bugia-e-della-propaganda sempre più spudorata. La deregolamentazione bancaria è diventata un’altra regola di cui si parla poco da parte della Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). I paesi che vogliono aderire all’OMC, devono prima deregolamentare il proprio settore bancario ed aprirlo agli squali monetari globalizzati e ai conglomerati bancari sotto il controllati sionista.
Il ridimensionamento del personale nel mercato del lavoro bancario sta aumentando. I giornali ne parlano poco, solo quando i posti di lavoro che vengono eliminati sono veramente tanti. Le statistiche mentono ovunque, sia nella UE che a Washington. – Perché spaventare la gente? Avrà tempo per spaventarsi, quando gli offriranno solo posti di lavoro a stipendi con cui si riuscirà a malapena a sopravvivere. Sta già succedendo. Questa tattica ha già funzionato nei paesi in via di sviluppo: tenere la gente schiava dei debiti e degli stipendi troppo bassi, in modo da non avere né tempo, né energia per scendere in piazza e protestare: bisogna prima cercare da  mangiare e da lavorare, poi cercare un qualunque lavoro per quanto possa essere umile, per nutrire le famiglie. Per il momento questo succede  in Europa e in Occidente in generale. Diciamo che c’è qualche paese che sta molto più avanti della Svizzera.
Prove di mercato senza contanti sono partite altrove, specialmente nei paesi nordici, dove certi grandi magazzini e supermercati  non accettano più contanti. Un altro mostruoso processo è stato sperimentato in India un anno fa, nell’ultimo trimestre del 2016,  da un giorno all’altro furono dichiarate fuori corso  l’80% delle banconote che dovevano essere scambiate con banconote nuove da ritirare in banca o dai conti bancari. E questo esperimento è stato fatto in un paese dove tutto girava intorno ai soldi in contanti, dove metà della popolazione non ha un conto in banca e dove, nelle zone  rurali più lontane, non ci sono nemmeno le banche. Hanno mentito alla gente e con l’introduzione improvvisa delle nuove regole monetarie si è ottenuto il massimo effetto.
In seguito a questo c’e stata una grande carestia e migliaia di persone sono morte, perché improvvisamente nessuno aveva più soldi contanti per comprare da mangiare – il tutto per seguire il progetto USAID –  “Catalyst” – messo in pratico con la complicità del governo e della banca centrale dell’India. E ‘stato un collaudo, ma è stato un disastro. Se funziona in India con 1,3 miliardi di persone, due terzi delle quali vivono in aree rurali e la maggior parte non ha un conto in banca, la stessa truffa potrebbe funzionare in qualsiasi paese in via di sviluppo – leggi : India – Crime of the Century – Financial Genocide
Quello che sta succedendo in Svizzera è un collaudo sulla fascia più alta della popolazione. Come li prenderanno, questi cambiamenti così radicali nella nostra routine monetaria quotidiana, quelli delle caste più elevate? – Finora non ci sono state troppe proteste. C’è un gruppo di persone che ha lanciato senza convinzione un referendum, perché vuole che la Banca centrale svizzera sia l’unica istituzione in grado di fare soldi, come ai “vecchi tempi”, ma anche se si tratta di un’idea molto rispettabile, il referendum non ha nessuna possibilità di riuscire nel contesto attuale delle banche e del finanziamento del debito, dove ai ragazzini stanno facendo capire quanto “sia fico” strisciare la carta davanti a un occhio elettronico. Oggi, la maggior parte del denaro è fatto da banche private, in Svizzera come altrove, in Europa come negli Stati Uniti. La deregolamentazione bancaria mondiale, avviata dall’amministrazione Clinton negli anni ’90 – oggi una regola per qualsiasi membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) – ha reso tutto questo possibile.
La digitalizzazione e la robotizzazione sono solo all’inizio. Le casse dei supermercati che hanno una cassiera stanno diminuendo; la maggior parte delle casse sono automatiche – e questo è cambiato solo nell’ultimo anno. – Dove sono andati a finire i dipendenti? – Ho chiesto a un addetto che stava aiutando i clienti a passare attraverso il self-checkout. “Sono entrati anche loro nell’esercito dei disoccupati”, ha detto con tristezza, perché aveva già perso molti dei suoi colleghi. “Toccherà anche a me, non appena non avranno più bisogno di spiegare ai clienti come si paga da soli.”

Bitcoins

La digitalizzazione include anche le criptovalute, i soldi della blockchain che fluttuano  – il più famoso è il Bitcoin – e porta  all’apice la digitalizzazione del denaro. Il sistema è complesso e sembra che lo capiscano solo gli “esperti”. Le criptovalute sono denaro legale, basato sul nulla, nemmeno sull’oro. I criptos sono elettronici, invisibili e molto, ma veramente molto speculativi, sono un invito per gangster e truffatori. Spingendo la speculazione all’estremo, sembra che queste criptovalute siano state progettate proprio per truffatori e speculatori.
Sembra che il Bitcoin sia stato inventato da Satoshi Nakamoto che potrebbe essere uno pseudonimo di un uomo, o di un gruppo di persone, che forse vive negli Stati Uniti. Sembra che l’origine di questo “Nakamoto” sia nel Commonwealth, per il tipo di vocaboli usati nei suoi scritti. Uno dei suoi collaboratori più stretti forse è un programmatore svizzero, membro attivo della comunità delle criptovalute. Si dice che abbia disegnato i caratteri usati in tutti gli oltre 500 post del forum – bitcoin di Nakamoto. Questi ” forum posts’” esistono a migliaia, in tutto il mondo e formano una rete elaborata e basata su algoritmi.
Il Bitcoin è stato formalmente creato nel gennaio 2009 con una quantità fissata in 21 milioni di “coins”, la metà sono già in circolazione e 1 milione  circa  – il 4,75% (del totale) – riconducibile a Nakamoto – secondo l’attuale valore di mercato corrisponde a circa 15 miliardi di dollari USA. Ad oggi la capitalizzazione complessiva del mercato Bitcoin supera i 315 miliardi di dollari, ma questo mercato è altamente volatile e drastiche fluttuazioni sono all’ordine del giorno, in particolare negli ultimi 12 mesi. Se uno come Nakamoto – che detiene una delle quote maggiori di Bitcoin –  capitalizzasse i propri profitti vendendo le sue partecipazioni, il prezzo dei Bitcoin andrebbe in caduta libera, più o meno come succede normalmente in borsa.
Il 24 agosto 2010, quando il Bitcoin fu scambiato per la prima volta, il suo valore era SEI centesimi di dollaro USA,  il 24 dicembre 2017, valeva 13,800 dollari, con un incremento del 230.000%.  Negli ultimi dodici mesi, il suo valore è aumentato da  800 dollari  a dicembre 2016 fino a un picco vicino a 20.000  dollari a dicembre 2017, con un incremento di quasi il 2.500%. Ma negli ultimi 7 giorni, il prezzo è sceso di 5.160 dollari , cioè del 27%, e la tendenza sembra essere al ribasso; forse un segno di assestamento e di un guadagno veloce? Tuttavia, questo dimostra quanto sia instabile questa criptovaluta, apparentemente molto più delle azioni societarie sul mercato azionario.
Il numero di criptovalute disponibili su Internet al 27 novembre 2017 supera 1300 e continua ad aumentare. Chiunque può creare una nuova criptovaluta in qualsiasi momento. Per capitalizzazione di mercato, il Bitcoin è attualmente la più grande rete di blockchain (una rete di database che archivia dati in diversi siti verificabili pubblicamente), poi ci sono Ethereum, Bitcoin Cash, Ripple e Litecoin.
Bitcoin potrebbe essere  la prossima bolla che si porterebbe dietro tutta una economia parallela che ha già messo il dito nella nostra vecchia economia occidentale. Le criptovalute sono ufficialmente proibite in Russia e in Cina, anche se è quasi impossibile fermare le transazioni di criptovaluta fatte da privati, perché non passano attraverso il sistema bancario tradizionale. Ecco perché le grandi banche li odiano. Perché evitano di farsi succhiare il sangue dalle stesse banche, impedendo loro di accumulare profitti sempre più alti con assurde commissioni, contro le quali la gente in generale resta impotente.
E’ questo il valore positivo del Bitcoin: sfugge ai controlli bancari e statali. Se le economie dei paesi fossero gestite con Bitcoin o altre criptovalute, sfuggirebbero alle sanzioni USA che funzionano solo perché le valute occidentali, che sono figlie adottive del dollaro e  quindi soggette all’egemonia del dollaro. Il che significa che tutte le transazioni internazionali devono passare per le banche USA. Un caso tipico è quello dei “blocchi bancari”, quando Washington decide di  bloccare tutte le transazioni internazionali verso un paese fino quando questo paese non si sottomette ai desideri dell’impero. È un ricatto totalmente illegale, ma funziona se non c’è  nessuna alternativa monetaria ed il mondo (occidentale) è soggetto a questo sistema.
Un tipico caso è l’Argentina, quando a giugno del 2014   fu costretta da un giudice di New York  a pagare ad uno dei Vulture Fund – un fondo- avvoltoio – ben 1,6 miliardi di dollari: fu una decisione illegale che applicava una risoluzione delle Nazioni Unite. L’Argentina si rifiutò di pagare, così il giudice, intervenendo contro una nazione sovrana, bloccò il pagamento di più di 500 milioni di dollari USA del debito dell’ Argentina verso i creditori, buttando il paese sull’orlo di un secondo fallimento in 13 anni. Alla fine, il neoliberal  Macri ha negoziato un accordo con i Vultures per un pagamento di oltre 400 milioni di dollari.
Questo ricatto americano non sarebbe stato possibile se l’Argentina fosse stata in grado di fare le sue transazioni estere in Bitcoin o in un’altra criptovaluta. Il Venezuela sta attualmente usando una criptovaluta nazionale per alcune  transazioni estere, sfuggendo così alla morsa delle sanzioni di Washington. Se i cittadini greci e ciprioti avessero avuto una criptovaluta alternativa all’euro, non sarebbero stati soggetti al controllo sulla loro liquidità imposto dalla Banca Centrale Europea.
D’altro canto, non potrebbe essere fermato nemmeno il finanziamento di organizzazioni terroristiche, come l’ISIS, se i gruppi terroristi usassero le criptovalute. – Questo dimostra che, nel bene e nel male, i Bitcoin o le criptovalute sono per ora gli unici mezzi con cui si può resistere –  nelle transazioni di denaro elettronico –  a censure, ricatti o a qualsiasi tipo di interferenza autoritaria esterna.

Una vita Cashless

Se la Svizzera, un paese dove fino a poco tempo fa la maggior parte della gente andava a pagare le bollette alla posta con i soldi in mano, accetterà il passaggio al denaro digitale, allora noi, tutto il mondo occidentale, siamo sulla strada giusta per essere asserviti alla schiavitù delle  istituzioni. Ovviamente questo, andrà di pari passo con il resto delle altre oppressioni del sistema e di una robotizzazione sempre più veloce su tutto il 99,9% da parte dello 0,1%.
Siamo ad un incrocio, dove possiamo ancora decidere se seguire il discorso di una nuova era monetaria elettronica, dove potremo dire sempre meno su come deve funzionare il lavoro e su come usare i nostri soldi; o se We the People  saremo capaci di resistere ad un sistema bancario/finanziario che sta prendendo il pieno controllo delle nostre risorse finanziarie e che può letteralmente farci morire di fame, può sottometterci o ammazzarci, se non ci comportiamo bene. Per resistere abbiamo bisogno di un sistema monetario alternativo o di una rete monetaria, lontano dall’egemonia dollaro-euro.
Ma è ancora più importante che prenda corpo un’altra economia, un altro schema di pagamento e di trasferimento come già esiste in Oriente, il Chinese International Paymen, totally System (CIPS) che, in pratica, sostituisce lo  SWIFT, che è totalmente gestito da privati ed è legato al dollaro USA e a  banche degli Stati Uniti. Il mondo ha bisogno di un’economia multipolare, basata sulla produzione reale di un paese o di una società, come nel caso della Cina e della Russia, non di una economia basata su una moneta legale, come è attualmente l’ economia occidentale.
Riuscirà questa piccola Svizzera, roccaforte della finanza mondiale, insieme a New York, Londra e Hong Kong, a resistere alla tentazione di aumentare i profitti, il potere e il controllo che sta offrendo il denaro digitale? – We, the People, abbiamo ancora la possibilità di decidere se continuare a marcire in un’economia di imbrogli, basata sulla guerra e sulla avidità – che vede nel denaro digitale, esacerbato dalle criptovalute, un nuovo strumento per scavare un’altra miniera di guadagni estremi sulle spalle della povera gente? oppure saremo capaci di sceglierci un futuro onesto e una vita che ci lasci liberi di prendere decisioni politiche e monetarie sovrane in una società dove esiste ancora una liquidità monetaria?  Se la nostra risposta è l’ultima che abbiamo letto …
dobbiamo svegliarci  e vedere tutta la malafede di una  propaganda di parte che sta passando davanti ai nostri occhi, e resistere alle tentazioni dei robot e a tutte le ruberie del denaro elettronico che si sta scatenando intorno a noi.
 
Peter Koenig è un economista ed analista geopolitico. Ha lavorato per la World Bank e ha girato il mondo lavorando nel campo ambientale e delle risorse idriche. Insegna in università di  USA, Europa e Sud America e scrive regolarmente per Global Research, ICH, RT, Sputnik, PressTV, The 21st Century (China), TeleSUR, The Vineyard of The Saker Blog ed altri siti internet. E’ anche autore di  Implosion – An Economic Thriller about War, Environmental Destruction and Corporate Greed –  una fiction basata sui fatti e sulla sua esperienza vissuta in trent’anni passati girando il mondo per la World Bank. E’ anche co-autore di  The World Order and Revolution! – Essays from the Resistance.
 
Fonte:
1.01.2018
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario

MARCANTONIO BEZICHERI: UN SOLDATO POLITICO IN TOGA

 
GRATIS ET AMORE IDEAE
 
Otto anni fa andava Oltre l'Avvocato Marcantonio Bezicheri,
un Nobile Uomo di Fede, coraggioso che difese tutti, gratis et Amore Ideae
"il difensore dei dannati e dei vinti" come
lo definì il suo collega Gianni Correggiari.
Lui stesso pagò la sua militanza con il carcere,
 e uscì assolto da infamanti accuse di pentiti.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di parlargli -seppur per pochi minuti - 
ad un Raduno dell'Associazione Decima Mas a Bologna.
"E' arrivato l'Avvocato"...e tutti corsero a salutarlo.
Mi incantava la sua imponente figura ed avevo saputo dai Camerati più grandi della sua "militanza giudiziaria", della Passione
che metteva nel difendere i Camerati.
 Mi ricorda tanto quel "Medico" della canzone di Fabrizio De Andrè, che curava i malati gratis, che venne incarcerato,... e morì povero.
Come Lui.
 
Onore a Te, Avvocato







 

giovedì 4 gennaio 2018

LA TOP 20 DI AVANGUARDIA BERGHEM


I VENTI ARTICOLI PIU' LETTI DEL 2017
 
 
1) NON E' STATO SID
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2) IL TRENO DELLA VERGOGNA . 18 FEBBRAIO 1947
QUELLO CHE I LIBRI DI SCUOLA NON SCRIVONO
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3) PIERA GATTESCHI FONDELLI:
L'UNICA DONNA ITALIANA GENERALE DI BRIGATA
3186  VISUALIZZAZIONI
 
 http://avanguardiaberghem.blogspot.it/2017/03/piera-gatteschi-fondelli-lunica-donna.html
 
 
 
4) LA STRAGE DI SCHIO : 6-7 LUGLIO 1945
1781 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
5 )PORZUS - FILM COMPLETO
1779 VISUALIZZAZIONI 
 
 
 
 
 
6) ALBERTO GIAQUINTO, UCCISO DALLA POLIZIA IL 10 GENNAIO 1979
 1543 VISUALIZZAZIONI 
 
 
 
 
7) FRANCA BARBIER, UNA DONNA STRAORDINARIA
  1351 VISUALIZZAZIONI 
 
 
 
 
8) L'INTERVISTA: Nardulli (Avanguardia):giù le mani dalla tomba di Claretta Petacci La nostra storia non è in vendita
961 VISUALIZZAZIONI 
 
 
 
 
9) LOVERE, 29 NOVEMBRE 1943
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L'immagine può contenere: albero, pianta e spazio all'aperto
 
 
 
 
10)  "NOI" A VALLE GIULIA - 1 MARZO 1968
 750 VISUALIZZAZIONI 
 
 
 
 
11) QUANDO IL TUO MIGLIOR AMICO SE NE VA...
 689 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
12) QUANDO GLI INFAMI SI PROCLAMARONO EROI
598 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
13) PICCHIANO LA CAGNOLINA AMMALATA DI TUMORE
 E LA SEPPELLISCONO VIVA
581 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
14) L'AUSILIARIA E LA GUARDIA D'ONORE
 510 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
15) CIAO BENIZZI . OGGI, A TALE FIANO
AVRESTI SOR-RISO IN FACCIA
500 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
16) MARIO TUTI RACCONTA I SUOI CAMPI HOBBIT
 VISSUTI NELLE CARCERI SPECIALI
475 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
 
 
 
17) UN SOGNO RIVOLUZIONARIO - 21 APRILE 1981
447 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
18) ONORE E GLORIA, LEONE DELL'EUFRATE ! 
435 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
 
19) FIRENZE, 11 AGOSTO 1944: ONORE AI FRANCHI TIRATORI
400 VISUALIZZAZIONI
 
 
 
20) STORIE DI DONNE STRAORDINARIE
400 VISUALIZZAZIONI
 



 




 
 
 
 

 
 


 

martedì 2 gennaio 2018

Onore ad Ahed Tamimi


Memorabile risposta della giovane e coraggiosa ragazza palestinese Ahed Tamimi di fronte all'illegittimo 'tribunale' degli invasori sionisti!

Ahed Tamimi, la coraggiosissima ragazza palestinese che é stata letteralmente rapita pochi giorni fa da casa sua da un commando di codardi sionisti armati fino ai denti, é stata portata davanti a un illegittimo 'tribunale' del regime ebraico dove é stata accusata di cinque reati tra cui 'aggressione' per aver dato uno schiaffo a un soldato occupante.

Il giudice rivolgendole alcune domande le ha chiesto:

"Come hai preso a schiaffi il nostro soldato?".

La ragazza, impassibile, ha levato i polsi verso lo scranno replicando:

"Se mi fa togliere queste (le manette), posso farglielo vedere direttamente".

Onore a lei.

Sionisti, ancora prima che nel sangue, annegherete nel ridicolo.


FONTE : https://palaestinafelix.blogspot.it/2018/01/memorabile-risposta-della-giovane-e.html

lunedì 1 gennaio 2018

CRISTIAN PERTAN, "BOCCIA". IN MEMORIAM

 
CRISTIAN PERTAN,  "BOCCIA" 
01-06-1974      01-01-2005
  
 
Cristian nasce a Trieste, il 1 giugno 1974, da Mario Pertan ed Elsa Federici, entrambi originari di un paese di campagna tra Umago e Buie, in Istria. Il piccolo Cristian, figlio unico, cresce tra la casa dei genitori a Trieste e quella dei nonni materni a Pizzudo, nel comune di Umago, dove passa molto tempo, soprattutto nei mesi estivi, stringe così molte amicizie, sia al di qua che al di là del confine e comincia a coltivare le passioni che contraddistingueranno la sua vita. Da ragazzo inizia a frequentare la curva nord dello stadio Grezar ed a seguire la squadra della sua città natale anche in trasferta. Pur orgoglioso della sua Trieste, Cristian sente molto le sue radici istriane e spesso diverte i suoi amici, parlando scherzosamente quel colorito dialetto istro-veneto appreso da amici e parenti fin da bambino. Completati gli studi superiori al liceo Oberdan e dopo aver assolto gli obblighi di leva presso il 9° Btg. Col Moschin, Cristian decide di provare ad intraprendere la carriera militare e si iscrive all’accademia militare di Modena, nel 1994. Terminata l’accademia, Cristian si iscrive alla scuola militare di applicazione di Torino nella quale, nel 1998, viene nominato tenente dei paracadutisti. Nello stesso periodo, sempre a Torino nell’ambito della scuola militare, si laurea in scienze politiche. L’anno successivo viene assegnato al 183° B.tg. paracadutisti “Nembo” di Pistoia e negli anni successivi partecipa a varie missioni in Bosnia e Kosovo. La sua carriera diviene brillante, nel 2003 è nominato capitano e l’anno successivo viene trasferito alla scuola Militare di Paracadutismo di Pisa in qualità di Capo Sezione Addestramento.
La carriera militare lo tiene lontano da casa ma appena possibile, nei fine settimana, Cristian torna dai suoi a Trieste e soprattutto nella sua amata Istria. Nel frattempo Cristian, ormai da tutti soprannominato “Boccia” per la sua testa rotonda e liscia, impara a suonare la chitarra e nel suo ormai costante ed ostinato sforzo di divulgazione della storia della sua terra, fonda con Nello ed altri amici il gruppo dei “Non nobis domine”, che dà vita a canzoni come “Mas 96” e “Terra Rossa”, divenute celebri nell’ambiente della musica alternativa.


Nonostante la sua giovane età “Boccia” ha letto e studiato molto, per sua passione e curiosità verso il mondo e la società umana, è conosciuto da molti come una persona ricca, di grande cultura ed eccezionale ricchezza spirituale.


All’alba dell’anno 2005, a metà strada tra i 30 e i 31 anni, in uno dei periodi più felici della sua vita, Cristian Pertan se ne va inaspettatamente, in sella al suo motorino tanto vecchio e lento da sembrare innocuo, ironia della sorte proprio in una via intitolata ad un patriota istriano. Dopo l’ennesima serata coi suoi amici, dopo l’ennesimo periodo di ritorno a casa, per l’irresistibile richiamo della sua terra, Cristian parte così, stavolta senza salutare, stavolta per una missione più grande, per un viaggio più lungo.
Il sentirsi e professarsi istriano era per Cristian un'autentica MISSIONE. Come capitano della Folgore viaggiava molto ed incontrava parecchie persone. Questo gli ha permesso di far conoscere a tanti in giro per l'Italia l'esistenza di un lembo di terra tanto affascinante e ricco di tradizioni, ma soprattutto un territorio dalla storia tormentata, strappato all'Italia da un ingrato destino. E' stato grazie a Cristian che molti, prima disinteressati o inconsapevoli, si sono appassionati alla storia d'Istria, di Fiume e della Dalmazia; è stato grazie al suo impegno che tanti giovani figli o discendenti di esuli hanno riscoperto le proprie radici, è stato grazie alla sua tenacia che non solo a livello locale si è ricominciato a parlare più diffusamente di storia e cultura della Venezia Giulia, ancor prima dell'istituzione del  Giorno del Ricordo. Ne sono un esempio le tante curve calcistiche che, indipendentemente dai gemellaggi e dall'eventuale "colore" politico, hanno sventolato in questi anni le bandiere azzurre con la capretta istriana e continuano oggi a farlo.

Tutto questo, per Cristian, non aveva nulla a che fare con la politica, era una  pura e vera ragione di vita. 

Questa è la MISSIONE che Cristian Pertan ha voluto adempiere fino all'ultima ora!       

Questa è la MISSIONE che l'Associazione Culturale Cristian Pertan porterà avanti in suo nome.
 
 
 

TRATTO DAL SITO
dell' Associazione Culturale Cristian Pertan
 
 
 

 

 

BUON ANNO, AVANGUARDISTI !