sabato 5 novembre 2016
AVANGUARDIA NON SCORDA: PIERLUIGI PAGLIAI, PRESENTE !
34 anni di menzogne per coprire un assassinio di Stato
"Il fallimento dell’operazione “Pall Mall” ai primi mesi del 1982, non fece desistere i servizi ed il ministero dell’Interno dal rinnovare il tentativo contro di me. Fu messa a punto un’altra operazione chiamata Marlboro, approfittando di una vacatio di potere per il passaggio del governo boliviano da Vildoso a Siles Suazo.
Il 9 ottobre 1982 fu ordinato di predisporre a Fiumicino un area dell’Alitalia, il Giotto per un viaggio intercontinentale.
Primo ufficiale era Marcello Pesaresi, il secondo tal Marchini, chiamato dai servizi. La rotta segnalata fu quella per Caracas con richiesta di carburante per scalo alternativo cosi come previsto quando la destinazione può cambiare da quella comunicata. A bordo del Giotto c’era un gruppo di teste di cuoio del Sisde e dell’ Ucigos, agli ordini del commissario Fragranza. Si disse che a bordo vi fosse anche Mario Fabbri, un ex iscritto alla Caravella poi arruolatosi in polizia. Fabbri, grazie alla sua precedente militanza, era in grado di riconoscermi.
Il Giotto atterrò a La Paz, la mattina del 10 ottobre. Nello stesso giorno da Porto Rico giunse anche l’agente della Cia Richard Adler. Una circostanza nota a Parisi, che nell’udienza del 20 ottobre 1987 al processo per la strage di Bologna, disse che i servizi americani si offersero di collaborare con quelli italiani alla cattura ed estradizione di Delle Chiaie.
I poliziotti, sbarcati a La Paz, si diressero all’edificio San Ferdinando, a Plaza Isabel, senza trovarmi. Ero infatti in Venezuela, e l’appartamento che occupavo in quell’edificio della capitale boliviana con i miei camerati, come già raccontato, era stato lasciato da tempo, perché ci eravamo trasferiti tutti a Calacoto.
Pierluigi avrebbe dovuto essere in Argentina e si stava preparando a rientrare in Italia essendo perseguito soltanto per renitenza alla leva causata dalla sua latitanza.
Claudio Larrea, un capitano dei carabineros boliviani di Santa Cruz, con il quale Pierluigi aveva stretto amicizia, con un pretesto lo avevo però richiamato in Bolivia. Il gruppo delle teste di cuoio, avvertito della presenza del mio camerata a Santa Cruz, si spostò in quella città.
All’atterraggio del Giotto a Santa Cruz, un gruppo di nostri camerati boliviani sospettando un azione contro di noi, tenne l’areo sotto tiro. Desistettero da ogni azione perché fu assicurato loro che si trattava di un atterraggio di emergenza causato da un guasto.
Gli italiani, attraverso Larrea, erano riusciti ad ottenere il complice appoggio di un nucleo di carabinieros agli ordini di un maggiore di nome Zugel e del colonnello Nelson Peredo. La complicità era stata comperata da due funzionari del Sisde giunti in Bolivia l’8 settembre.
Larrea fissò un appuntamento con Pagliai alle undici del mattino dinnanzi alla chiesa di Nuestra Senora de Fatima.
Pierluigi arrivò a bordo di una Toyota. La trappola predisposta scattò e la sua auto venne circondata da uomini a bordo di una Lauda bianca e altro quattro vetture. Pierluigi bloccò le porte, chiuse i finestrini e portò le mani dietro alla nuca. Partì un ordine e dopo aver frantumato un vetro dello sportello anteriore, uno dei boia sparò 2 colpi a bruciapelo con una pistola calibro 22. Pierluigi, sanguinante, si piegò al volante. Il corpo esamine fu caricato sulla Lauda ed i killer si allontanarono. Parteciparono all’imboscata circa 20 italiani e 40 carabineros.
Era domenica, e alla scena assistettero molti testimoni che a quell’ora uscivano dalla chiesa dopo la messa. Tra essi anche la giornalista Mabel Azcui del giornale El Pais di Madrid, che scriverà sull’imboscata un ampio resoconto sul giornale boliviano El Mundo.
Pagliai fu portato all’ospedale Petrolero di Santa Cruz e la notte stessa, in seguito a voci di un’azione organizzata da parte dei camerati boliviani per la sua liberazione, fu trasportato alla clinica Isabel di La Paz con l’areo su cui salirono anche i complici boliviani timorosi di subire una ritorsione. Nella notte Pierluigi fu operato dal professor Brunn, dell’ambasciata Usa e l’11 ottobre, malgrado il parere contrario dei medici boliviani, fu condotto all’aeroporto per essere imbarcato sul Giotto e ricondotto in Italia.
Il personale civile dello scalo tentò di opporsi al decollo dell’areo, ma l’ambasciatore Corr ottenne dal ministro dell’interno Mario Roncal Antezana un decreto di espulsione.
La direzione dell’aeroporto, con l’appoggio di militari armati dell’aeronautica, continuò a opporre resistenza, adducendo come presto il mancato pagamento dei diritti aeroportuali.
Ancora una volta Corr intervenne pagando i diritti e l’areo su cui era salito anche Adler, decollò per l’Italia facendo scalo a Porto Rico per sbarcare l’agente della Cia.
Tutte le foto dell’operazione furono fatte sparire dalle agenzie e dai quotidiani. Pagliai morirà poco dopo essere giunto in Italia, il 5 novembre.
Questo assassinio di Stato sarà coperto da numerose menzogne".
Il 9 ottobre 1982 fu ordinato di predisporre a Fiumicino un area dell’Alitalia, il Giotto per un viaggio intercontinentale.
Primo ufficiale era Marcello Pesaresi, il secondo tal Marchini, chiamato dai servizi. La rotta segnalata fu quella per Caracas con richiesta di carburante per scalo alternativo cosi come previsto quando la destinazione può cambiare da quella comunicata. A bordo del Giotto c’era un gruppo di teste di cuoio del Sisde e dell’ Ucigos, agli ordini del commissario Fragranza. Si disse che a bordo vi fosse anche Mario Fabbri, un ex iscritto alla Caravella poi arruolatosi in polizia. Fabbri, grazie alla sua precedente militanza, era in grado di riconoscermi.
Il Giotto atterrò a La Paz, la mattina del 10 ottobre. Nello stesso giorno da Porto Rico giunse anche l’agente della Cia Richard Adler. Una circostanza nota a Parisi, che nell’udienza del 20 ottobre 1987 al processo per la strage di Bologna, disse che i servizi americani si offersero di collaborare con quelli italiani alla cattura ed estradizione di Delle Chiaie.
I poliziotti, sbarcati a La Paz, si diressero all’edificio San Ferdinando, a Plaza Isabel, senza trovarmi. Ero infatti in Venezuela, e l’appartamento che occupavo in quell’edificio della capitale boliviana con i miei camerati, come già raccontato, era stato lasciato da tempo, perché ci eravamo trasferiti tutti a Calacoto.
Pierluigi avrebbe dovuto essere in Argentina e si stava preparando a rientrare in Italia essendo perseguito soltanto per renitenza alla leva causata dalla sua latitanza.
Claudio Larrea, un capitano dei carabineros boliviani di Santa Cruz, con il quale Pierluigi aveva stretto amicizia, con un pretesto lo avevo però richiamato in Bolivia. Il gruppo delle teste di cuoio, avvertito della presenza del mio camerata a Santa Cruz, si spostò in quella città.
All’atterraggio del Giotto a Santa Cruz, un gruppo di nostri camerati boliviani sospettando un azione contro di noi, tenne l’areo sotto tiro. Desistettero da ogni azione perché fu assicurato loro che si trattava di un atterraggio di emergenza causato da un guasto.
Gli italiani, attraverso Larrea, erano riusciti ad ottenere il complice appoggio di un nucleo di carabinieros agli ordini di un maggiore di nome Zugel e del colonnello Nelson Peredo. La complicità era stata comperata da due funzionari del Sisde giunti in Bolivia l’8 settembre.
Larrea fissò un appuntamento con Pagliai alle undici del mattino dinnanzi alla chiesa di Nuestra Senora de Fatima.
Pierluigi arrivò a bordo di una Toyota. La trappola predisposta scattò e la sua auto venne circondata da uomini a bordo di una Lauda bianca e altro quattro vetture. Pierluigi bloccò le porte, chiuse i finestrini e portò le mani dietro alla nuca. Partì un ordine e dopo aver frantumato un vetro dello sportello anteriore, uno dei boia sparò 2 colpi a bruciapelo con una pistola calibro 22. Pierluigi, sanguinante, si piegò al volante. Il corpo esamine fu caricato sulla Lauda ed i killer si allontanarono. Parteciparono all’imboscata circa 20 italiani e 40 carabineros.
Era domenica, e alla scena assistettero molti testimoni che a quell’ora uscivano dalla chiesa dopo la messa. Tra essi anche la giornalista Mabel Azcui del giornale El Pais di Madrid, che scriverà sull’imboscata un ampio resoconto sul giornale boliviano El Mundo.
Pagliai fu portato all’ospedale Petrolero di Santa Cruz e la notte stessa, in seguito a voci di un’azione organizzata da parte dei camerati boliviani per la sua liberazione, fu trasportato alla clinica Isabel di La Paz con l’areo su cui salirono anche i complici boliviani timorosi di subire una ritorsione. Nella notte Pierluigi fu operato dal professor Brunn, dell’ambasciata Usa e l’11 ottobre, malgrado il parere contrario dei medici boliviani, fu condotto all’aeroporto per essere imbarcato sul Giotto e ricondotto in Italia.
Il personale civile dello scalo tentò di opporsi al decollo dell’areo, ma l’ambasciatore Corr ottenne dal ministro dell’interno Mario Roncal Antezana un decreto di espulsione.
La direzione dell’aeroporto, con l’appoggio di militari armati dell’aeronautica, continuò a opporre resistenza, adducendo come presto il mancato pagamento dei diritti aeroportuali.
Ancora una volta Corr intervenne pagando i diritti e l’areo su cui era salito anche Adler, decollò per l’Italia facendo scalo a Porto Rico per sbarcare l’agente della Cia.
Tutte le foto dell’operazione furono fatte sparire dalle agenzie e dai quotidiani. Pagliai morirà poco dopo essere giunto in Italia, il 5 novembre.
Questo assassinio di Stato sarà coperto da numerose menzogne".
Tratto da :
"L'Aquila e il Condor"
di Stefano delle Chiaie
venerdì 4 novembre 2016
EMANUELE ZILLI, PRESENTE !
Anche una tranquilla città di provincia come Pavia può avere i suoi morti, e può persino dimenticarseli. È, più o meno, ciò che è avvenuto per la vicenda di Emanuele Zilli, 25 anni, originario di Fano Adriano (Teramo), ma abitante a Pavia già dai primi anni settanta. Esponente e attivista del Movimento Sociale Italiano, era stato anche candidato alle elezioni comunali. Il suo impegno politico si esplicava infine come rappresentante CISNAL.
Cronologicamente la vicenda si sviluppa nei primi anni settanta. Nel 1972 l'MSI raggiunge nelle elezioni politiche il suo massimo storico: 8,7% alla Camera, 9,2% al Senato. Ora si chiama MSI – Destra Nazionale, perché grazie alla segreteria Almirante il Movimento Sociale coagula altre forze, quali il PDIUM, con cui erano stati riscontrati punti di convergenza politica. È proprio da questo anno che la sinistra, preoccupata del successo elettorale dei neofascisti, corre ai ripari. Sia dal punto di vista sociale che da quello, per usare un eufemismo, di azione politica. L'atmosfera di odio che si respira in quel periodo è alimentata dalle campagne giornalistiche ed intellettuali, tutte indirizzate verso l'antifascismo. Tollerate e condivise dalla stragrande maggioranza dell'intellighenzia italiana, le azioni antifasciste trovano consenzienti scrittori, registi, attori, professori universitari, studenti. Tutti schierati con il "bene" (la battaglia comunista ispirata ai principi marxisti–leninisti) nella lotta contro il male. Al governo, un monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti. La DC darà enfasi alla "strategia degli opposti estremismi" in cui più destra e sinistra vengono identificati dall'opinione pubblica come entità sovversive e destabilizzatrici, più l'immagine di un centro moderato (quindi la Democrazia Cristiana) potrà risultare forzatamente l'unico soggetto per assicurare al Paese la stabilità e la serenità negli anni a venire.
I primi disordini di una certa entità a Pavia hanno luogo proprio durante la campagna elettorale dell'MSI nel 1972, con il comizio di Franco Servello nella città. A seguito dei tafferugli, 12 arresti. A sinistra i gruppi più attivi erano quelli di Lotta Continua e i marxisti-comunisti. Il clima politico di quegli anni a Pavia era certamente molto diverso da oggi. Teatro di episodi di guerriglia urbana la città intera, ma in particolare Piazza Grande (oggi Piazza della Vittoria) in cui aveva sede l'MSI, e "punto di ritrovo degli estremisti di sinistra". Ma trasferire la Sede dell'MSI da Piazza Grande in altro punto della città non avrebbe cambiato molto. Sosteneva l'allora consigliere MSI C. Zanotti: "Il fatto di avere la sede in Piazza Grande non vuol dire nulla. Anche se fosse trasferita in periferia, verrebbero a provocare, a fare attentati: lo si è visto in corso Mazzini, contro la sede CISNAL". Per la cronaca, nel 1972 la famiglia del consigliere MSI subì due attentati, il prof. Zanotti molteplici aggressioni. Il prefetto di allora , dott. Benigni, riceve continue delegazioni di cittadini e commercianti preoccupati dell'evolversi della situazione.
Emanuele Zilli era un militante di quelli che non si tiravano indietro, in anni di scontri anche molto duri. Aggredito una prima volta, nel 1972, in piazza Castello insieme ad un amico, qualche settimana dopo, il 5 Dicembre 1972, stava per subire la stessa sorte. Teatro dell'aggressione è Piazza della Vittoria, all'angolo con Corso Cavour, verso le 13:45. Era insieme ad altri due iscritti, uno dei quali, Marco Noè, reagì sparando un colpo di pistola che ferì uno degli aggressori, Carlo Leva. Naturalmente questo episodio ebbe grande risonanza ed Emanuele passò non pochi guai. Infatti, poche ore dopo, lo stesso giorno alle ore 17:30 fu "prelevato" da un branco di comunisti mentre si trovava di fronte alla sede dell'MSI e selvaggiamente percosso.

Testimoni citarono un "gruppo di trenta persone accanirsi contro un singolo". Ricoverato in ospedale in gravi condizioni fu però dimesso quasi subito, ancora sofferente, per consentire alla polizia non di proteggerlo, bensì di arrestarlo per l'episodio precedente. Due medici del Policlinico del reparto neurochirurgia-ortopedia, furono denunciati per la loro prognosi a dir poco "sospetta". Sarebbe del tutto inutile specificare che Zilli fu poi riconosciuto completamente innocente, ma ormai il suo destino era segnato. Il suo indirizzo di casa, perennemente sui giornali in modo che fosse "raggiungibile" da chiunque. Emanuele era sposato e padre di due bambine che, nel novembre 1973, avevano appena due e un anno: era un operaio che, per mantenere la sua famiglia, lavorava duramente presso uno spedizioniere di Pavia, la ditta Bertani, e fu all'uscita dal lavoro che trovò ad aspettarlo la morte.
Così "La Provincia Pavese" di quei giorni ricostruisce i fatti:
"ESTREMISTA DI DESTRA
DECEDE DOPO MISTERIOSO INCIDENTE"
Sembra che venerdì sera egli fosse uscito dal lavoro e, verso le 18 e 30, stesse facendo ritorno a casa in sella al proprio motorino percorrendo una traversa di via dei Mille. Qui è stato rinvenuto, poco dopo le 18 e 30, esanime a terra accanto al proprio motorino. Il corpo dello Zilli giaceva sulla sinistra della carreggiata. Prontamente soccorso, il giovane veniva trasportato al Policlinico. In un primo tempo si faceva l'ipotesi più ovvia, quella dell'incidente stradale: lo Zilli sarebbe sbandato sulla propria sinistra, andando a sbattere contro un'auto o finendo a terra per un malore. Ma alcune circostanze inducono ad una maggiore cautela: lo Zilli aveva un occhio pesto, come se fosse stato picchiato; sul collo presentava un profondo graffio; ed il suo corpo era stato trovato in una posizione "strana" rispetto al motorino."
"Il luogo era completamente deserto" - aggiunge il quotidiano in un altro resoconto - "non c'erano macchine intorno contro cui Zilli potesse aver urtato cadendo. Né segni di uno scontro". Articoli successivi sulla vicenda ribadivano come tutta la dinamica continuasse a rimanere avvolta nel mistero. Titolava infatti "La Provincia Pavese" del 7 Novembre 1973: "SEMPRE OSCURA LA MORTE DEL GIOVANE ESTREMISTA - Davvero vittima di un incidente Emanuele Zilli?" Una domanda che, come leggerete, non ha mai trovato risposta.
Tre giorni durò l'agonia di Emanuele, che si spense, senza mai riprendere conoscenza, all'alba di lunedì 5 novembre 1973. Sulla sua vicenda non è mai stata fatta luce, non si sono cercati testimoni, non si è vagliato l'alibi dei più feroci estremisti di sinistra che avevano giurato a Zilli "sei il primo della lista".
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mercoledì 2 novembre 2016
GENDER: VOGLIONO DISTRUGGERE LA NATURA UMANA . BOICOTTA LA SVEZIA
In Svezia è boom di adolescenti
"sessualmente incerti"***

In Svezia è boom di adolescenti confusi riguardo alla propria identità sessuale. Ad affermarlo è la psichiatra infantile Louise Frisén del Karolinska Institutet di Solna, comune situato nella Contea di Stoccolma, che riporta come, l’Astrid Lindgren Children’s Hospital presso il quale presta servizio, nell’ultimo anno abbia registrato un vertiginoso incremento del 100% di bambini “sessualmente incerti” che si rivolgono alle sue strutture specializzate alla ricerca di un’assistenza medica.
IMPENNATA DAL 2012 AD OGGI
Nello spazio di soli 3 anni si è assistito ad una vera e propria impennata di richieste. Nel 2012, l’ospedale riservato ai bambini “Lindgren Astrid” aveva infatti contato solo 4 casi di questo tipo, divenuti ben 116 nel 2015, con una maggioranza di ragazze, 94 contro 22 ragazzi. Quest’anno, si prevede che tale triste statistica sia destinata ad aumentare fino a toccare quota 200.
Una drammatica escalation che la psichiatra Frisén, intervistata dall’emittente nazionale “SVT”, si illude di risolvere incentivando l’accesso alle fallimentari terapie affermative:
“E’ così incredibilmente doloroso vivere in un corpo che non si riesce a riconoscere come il proprio. Non va dimenticato che ciò è anche associato alla malattia mentale e ad un rischio molto elevato di suicidio in caso di non riuscire ad avere accesso alle terapie affermative di genere”.
La Frisén continua, affermando come tale crescita del numero di adolescenti che si rivolgono alle strutture sanitarie per problemi di disforia di genere sia una “notizia positiva”, riconducibile ad una maggiore consapevolezza odierna in materia di identità ed affermazione sessuale:
“Più giovani si stanno rivolgendo ora, perché la consapevolezza è aumentata e ora hanno il coraggio. (…) Sempre più persone stanno esplorando la loro identità di genere come parte del loro sviluppo della personalità”.
CONSEGUENZA DI POLITICHE IDEOLOGICHE
Nella realtà, tale incomprensibile e alquanto preoccupante diffusione dell’incertezza sul proprio genere sessuale tra gli adolescenti svedesi è una drammatica conseguenza delle scellerate politiche ideologiche condotte dalla Svezia negli ultimi quarant’anni.
Politiche sempre più lassive e radicali che hanno fatto della Svezia il paese più liberal d’Europa:
- nel 1944 è stata legalizzata l’attività sessuale tra persone dello stesso sesso;
- nel 1979 è stata declassificata l’omosessualità come malattia mentale;
- nel 1972 la Svezia è diventato il primo paese al mondo a consentire alle persone transgender di cambiare il proprio genere legale dopo l’intervento chirurgico di cambio del sesso;
- sempre nel 1972 il travestitismo è stato declassificato come malattia;
- nel 1995 è stata introdotta la “partenership” tra coppie dello stesso sesso;
- dal 2003 le coppie gay e lesbiche possono adottare bambini;
- dal 2005 le coppie lesbiche hanno avuto parità di accesso alla fecondazione in vitro e alla fecondazione assistita;
- nel 2009 è stato legalizzato il matrimonio omosessuale.
PROMOZIONE “A TUTTO CAMPO”
La promozione della “prospettiva gender”, in Svezia, è a tutto campo ed ha interessato anche il linguaggio con l’introduzione di nuovi incomprensibili vocaboli “politically correct“. A questo proposito, in alcuni asili di Stoccolma nel 2012 è stato introdotto il pronome neutro «hen» con il quale rivolgersi a bambini “incerti” della propria sessualità.
Anche se non esistono ancora statistiche ufficiali riguardo il numero degli asili nido svedesi che utilizzano il pronome «hen», Maria Hulth della Jämställt, società di consulenza sulla parità di genere, ha dichiarato come oggi vi siano numerosi insegnanti che scelgono autonomamente di utilizzare il termine «hen», anche quando non adottato come politica interna della struttura scolastica.
In tal senso, Sofia Bergman, una madre svedese di due bambini, tempo fa, interrogata sul tema dal noto settimanale americano “Newsweek”, si è espressa così: «Non abbiamo ancora iniziato ad utilizzarlo in casa, ma è solo una questione di abitudine. (…) è una buona cosa se gli asili e scuole lo utilizzano».
LA TEORIA DELLA “NORMA CRITICA”
L’impegno degli asili e delle scuole primarie svedesi nella promozione della parità dei sessi non si limita al pronome neutro: «Stanno facendo di tutto anche per evitare parole come “boys” e “girls”, utilizzando invece il vocabolo neutro “children”. E la “norma critica” si sta diffondendo sempre più velocemente». La Hulth racconta compiaciuta come gli stessi suoi due figli usano abitualmente il termine «hen» per chiamarsi l’uno con l’altro.
La cosiddetta “norma critica” è una teoria molto diffusa in Svezia secondo la quale tutte le norme tradizionali, come la distinzione tra uomini e donne, eterosessuali ed omosessuali, normodotati e disabili, devono essere smantellate al fine di realizzare una società veramente equa. Ad esempio, continua, a tale proposito, la Hulth, «tutti i bambini dovrebbero essere in grado di indossare ciò che vogliono. I vestitini non sono solo per le ragazze. Il rosa è un bel colore che dovrebbe essere a disposizione di tutti».
IL PROGETTO “EGALIA”

Tale assurda visione si è concretizzata nell’altrettanto folle progetto pedagogico dell’asilo Egalia dove i bimbi, tutti da 1 a 6 anni, in ossequio all'”agenda gender“, non vengono chiamati in base al loro sesso di nascita ma indistintamente con il nome friend, amico/a, o il citato pronome neutro “hen”. Ad Egalia i giochi e i libri sono mischiati, nella tipologia e nei colori, con l’obiettivo di non creare aree distinte femminili e maschili.
«La società si aspetta che le bambine siano femminili, dolci e carine e che i bambini siano rudi, forti e impavidi. Egalia dà invece a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono», dichiara una delle insegnanti (“Corriere della Sera”, 29 giugno 2011).
Tuttavia, in Svezia non tutti sono d’accordo con la promozione di tali politiche di genere. Tra questi, il dottor David Eberhard, uno dei più autorevoli psichiatri svedesi, ha messo in evidenza l’importanza dell’incontestabile dato biologico, sottolineando come l’introduzione di un nuovo pronome non cambierà il fatto che la stragrande maggioranza delle persone si identifica come uomini o donne:
«Qualunque sia il modo con cui si sceglie di chiamare le persone, le differenze biologiche tra uomini e donne restano. (…) Dovremmo trattare gli altri con rispetto reciproco, ma ignorare le differenze di genere biologiche è da pazzi. Renderci identici non creerà più uguaglianza. (…) chiamare i bambini con il termine neutro “hen”, invece di lui o di lei? Questa è crudeltà infantile».
TOTEM RELATIVISTA
Le sconcertanti statistiche provenienti dalla Svezia dimostrano, dati alla mano, le reali e tangibili conseguenze sociali del martellante piano di “normalizzazione” di ogni tendenza sessuale in nome dell’illimitata autodeterminazione individuale. Un piano rivoluzionario che, in riverente osservanza all’intoccabile totem relativista, rifiuta ogni verità e principio dato, arrivando a negare e mettere in discussione l’incontrovertibile realtà naturale e biologica del nascere maschio e femmina.
***Articolo originale https://www.osservatoriogender.it/in-svezia-e-boom-di-adolescenti-sessualmente-incerti/
BOICOTTA LA SVEZIA
Inviamo mail di protesta all' Ambasciata svedese a Roma
Contatti ambasciata svedese - Roma
martedì 1 novembre 2016
I “CAMMARATI” A INTERMITTENZA
Sono quelli che “W il Duce” ..ma non sanno chi è Pavolini
Sono quelli che non sanno la
differenza tra un Fascio Littorio e un Fascio Repubblicano
Sono quelli che si sentono fascistissimi perchè il 28 aprile e
28 ottobre vanno a Predappio, magari vestiti da pagliacci
28 ottobre vanno a Predappio, magari vestiti da pagliacci
Sono quelli che “sono d’accordo con te,
ma alla tua conferenza non vengo “
Sono quelli che “ sono d’accordo con te,
ma ho la mia famiglia”
Sono quelli che “ sono d’accordo con te,
ma se vengo in piazza perdo la faccia”
Sono quelli che “ sono d’accordo con te,ma
ho un lavoro”
Sono quelli che “ Mussolini ha sbagliato
ad entrare in guerra”
Sono quelli che “ Mussolini ha sbagliato
ad accordarsi con Hitler”
Sono quelli che “ chi te lo fa fare”
Sono quelli che “te l’avevo detto”
Sono quelli che “sarò con te col cuore “
Sono quelli che “maledetta febbre (a 37°),
non ce l’ho fatta “
Sono quelli che “se piove , si fa lo
stesso ? “
Sono quelli che proprio "quel giorno" è stata male la moglie , o il figlio , o il cane
Sono quelli che vedi una volta all'anno e
si lamentano “che non si fa mai un cazzo “
Sono quelli che “perchè non mi avete
avvertito !?”
Sono quelli che “ti faccio vedere chi sono
io ! “
Sono quelli che “con Berlusconi batteremo
i comunisti”
Sono quelli che “Salvini parla bene “
Sono quelli che “tu hai la testa calda”
Sono quelli che “Fini mi piaceva, poi mi
ha deluso “
Sono quelli che “se avessi un figlio gay
lo ammazzo , e di nascosto vanno a trans”
Sono quelli che “no alla droga , ma
una pippata ogni tanto....”
Sono quelli che vogliono “l’unità
dell’area”
Sono quelli che “porto mio figlio al Mc
Donald, se no rompe “
Sono quelli che “i partigiani bianchi
erano bravi “
Sono quelli che “come fai ad ascoltare
quella zecca di De Andrè ? “
Sono quelli che “Codreanu? Chi è ? uno
zingaro ? “
Sono quelli che “morto Almirante , è
finito tutto”
sono quelli che "non hai il lavoro e diventi matto per la politica? “
Sono quelli che “tu non sei furbo, certe
cose non si dicono”
Sono quelli che “mancan i Capi, mancan le
Guide”
Sono quelli che .............. sarebbero i
primi da prender a bastonate
Perchè sono i primi antifascisti
IL TRAMONTO E' ROSSO. L'ALBA DORATA
Il 1 Novembre 2013 un commando antifascista uccideva in Atene
Giorgos Fountoulis, 27 anni, e Manolis Kapelonis, 22, militanti di Alba Dorata
L'Omaggio dei tifosi Laziali ai Fratelli Greci
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