QUANDO UCCIDERE UN FASCISTA NON ERA REATO
È la mattina del 12 marzo 1980, ore 8.20, minuto più, minuto meno.
La strada è ancora deserta. Siamo a Roma in via Tozzi, in zona Bufalotta.
Angelo fa il fattorino del Secolo d’Italia, ilquotidiano del MSI. È uscito di casa, come al solito, per andare a lavoro. In motorino, parcheggiato poco distante. Ma al lavoro, “Manciokan” (gli amici lo chiamano così) non ci arriverà mai.
Non fa che pochi passi, quando, ad un tratto, si sente chiamare per nome.
Ad apostrofarlo sono tre persone in camice bianco, vestiti da infermieri, che sono scese dal retro di un furgone parcheggiato lì di fronte. Hanno passato la notte chiusi nel pulmino (ma questo si saprà solo dopo). Lo aspettano.
Angelo, capisce subito, avverte immediatamente il pericolo. Di coraggio ne ha da vendere. È sempre stato un vero combattente lui, schierato in prima linea. Uno, in altre parole, abituato a non tirarsi mai indietro. E lui lo sa che di nemici ne ha molti. In quegli anni si è sempre in guerra e si vive perennemente nell’inquietudine. Bisogna stare “in campana”, di teste calde in giro ce ne sono tante. Del resto, appena due giorni prima, il dieci di marzo, in via Tiepolo, sempre a Roma, un commando comunista aveva ucciso un cuoco, tra l’altro iscritto alla CGIL, Luigi Allegretti,scambiandolo per Gianfranco Rosci, segretario della sezione Msi Flaminio.
Va pure messo in conto che Mancia era da tempo entrato nel mirino degli “autonomi” che fanno riferimento al collettivo ultracomunista di Valmelaina, coi quali si era più volte scontrato, anchefisicamente. Inoltre era stato, puntualmente, inquisito per “ricostituzione del Partito fascista”.
Voltatosi di scatto, Mancia non fa in tempo neppure a fiatare. Un colpo di pistola, sparato a bruciapelo, lo colpisce subito. Ma lui rimane in piedi, grazie alla sua robusta costituzione. Magari,pensa, “forse ce la faccio”. L’unica cosa che gli viene in mente è tirare il suo “Benelli” contro i tre aggressori e correre, a perdifiato, in cerca di salvezza. Chissà cosa gli passa per la mente in quegli attimi così concitati. Non lo si saprà mai. I killer, infatti, non mollano. Lanciatisi all’ inseguimento, sono determinati a eliminarlo. E ci riescono. Altri due colpi sparatigli alle spalle, infatti, lo centranoin pieno. Mancia non ha scampo. Cade a terra, in un lago di sangue. Lo scempio non è ancora finito: uno dei tre criminali, avvicinatosi al corpo ormai agonizzante di Angelo, gli pianta una pallottola direttamente nel cervello. In totale, contro di lui, sono stati esplosi sei colpi di pistola calibro 7.65.
La rivendicazione arriva puntuale come un orologio. Stavolta si tratta dei “Compagni Organizzati in Volante Rossa”. Un gruppo mai sentito prima. L’attentato viene rivendicato da una telefonata a la Repubblica: “ qui compagni organizzati in Volante rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Un messaggio da far rabbrividire. Ancora oggi.
ESTRATTO DA:http://www.aurhelio.it/angelo-mancia-memoriam/
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