mercoledì 31 maggio 2017

L'ABBANDONO DEI NEONATI

neonato

UNA TRISTE E TRAGICA REALTA'
 
Non si abbandonino i neonati: partorire in anonimato si può

L.M.- Un neonato, probabilmente appena partorito, è morto a Settimo, in provincia di Torino.
Un’altra piccola vittima è deceduta a Trieste, circa un mese fa, ritrovata all’interno di un cortile condominiale.
Morti che si potevano evitare, conseguenza di gravidanze inaspettate e certamente indesiderate. Ma la legge prevede esplicitamente che la donna che decida di portare a termine la gravidanza, possa partorire nel più totale anonimato, non riconoscere il nascituro e lasciarlo nell’ospedale dove partorisce, così da garantire assoluta sicurezza al bimbo.
Il nome della madre, ricorda il ministero della Salute, rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto ‘Nato da donna che non consente di essere nominata’.
“Il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione o richiesta e ciò deve costituire un ulteriore elemento di sicurezza per quante dovessero decidere, aiutate da un servizio competente ed attento, a partorire nell’anonimato”, sottolinea il ministero.
Poi scatta l’immediata segnalazione alla  Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto.
Ciò consente l’apertura di un procedimento di adottabilità e la ricerca di una coppia idonea all’adozione.
Può inoltre accadere, per scelta o per necessità, che il parto non avvenga in una struttura ospedaliera. Anche in questo caso il neonato non deve correre alcun pericolo, lo si può lasciare in speciali culle, versione moderna e tecnologica delle Ruote degli esposti, che in genere si trovano in prossimità di ospedali, parrocchie o conventi.
Una volta depositato il neonato, la finestra si chiuderà mettendolo in sicurezza. Il personale che sorveglia la culla si prenderà immediatamente cura del piccolo secondo la procedura adottata per il neonato non riconosciuto e verrà avviato il procedimento di adozione.
A Tal proposito Gianluigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita, dichiara “A fronte di una buona legge, credo che lo Stato non abbia fatto e non stia facendo abbastanza per pubblicizzare questi ottimi strumenti che le donne hanno a disposizione“.

martedì 30 maggio 2017

A MAN FOR ALL SEASONS

Finché rimarrà Vespa nulla

cambierà in Rai

DI MASSIMO FINI

Bruno Vespa, di cui in questi giorni si sta parlando molto per una sua lettera lamentosa e insieme minacciosa al Cda della Rai (sostanzialmente pretende che non siano ridotti i suoi cospicui compensi) è la cartina di tornasole: finché manterrà il suo programma per tre giorni consecutivi, generalmente in seconda serata e a volte anche in prima, con importanti incursioni pure in altri programmi, come conduttore, co-conduttore, invitato di lusso, vorrà dire che nulla sarà cambiato nella Radio Televisione italiana.

Da trent’anni resiste a qualsiasi cambiamento politico che sia avvenuto nel nostro Paese.
E’ il classico uomo per tutte le stagioni.
E ne ha le qualità, se così si può chiamarle. E’ come il Corriere della Sera. Governativo per vocazione, istituzionale per calcolo, cerchiobottista per opportunismo, senza essere con ciò equidistante, mellifluo per temperamento. E’ un Gianni Letta minore. Il suo habitat naturale è il Potere o, a essere più precisi, il sottopotere. Gli è impossibile non stare sotto. Sotto qualche padrone. Lui stesso lo ammise, durante la bufera di Mani Pulite, quando era direttore del Tg1, dichiarando: “La Dc è il mio editore di riferimento”. E fu selvaggiamente aggredito dai colleghi della Tv, compromessi quanto lui, come Sandro Curzi, e da quelli della carta stampata. Invece fu, forse, la sola volta in cui Bruno Vespa disse la verità e trovò un pizzico di coraggio. Non ci riprovò più.
Ha resistito al crollo del muro di Berlino, a quello della Dc, a Mani Pulite. E’ camaleontico, serpentino, sfuggente e per quanto si capisca benissimo da che parte tiri non è facile coglierlo in flagrante. Dà il suo contributo alla Causa con abilità e astuzia, utilizzando soprattutto i giornalisti che invita alla sua trasmissione che, essendo appiattiti come tappeti ai piedi dei politici, lo fanno apparire, se non in posizione eretta –questo gli è antropologicamente e psicologicamente impossibile- appena genuflessa. Del resto sa il suo mestiere, perché appartiene a una infornata Rai del 1968, in epoca bernabeiana, ed Ettore Bernabei sceglieva i migliori. Ma questa è un’aggravante. Sottomettersi quando non si ha talento può essere una necessità, farlo possedendone, una perversione. E quando, occupandosi di politica, si fanno presentare i propri libri dal presidente del Consiglio, come fu con Berlusconi, vuol dire che si è chiuso col giornalismo indipendente.
Bruno Vespa ha iniziato, giovanissimo, la sua carriera di giornalista in una rivistina satirica dell’Aquila intitolata Lu Rischiu (qualcuno, per l’evidente contraddizione, sostiene che si chiamasse La Rischio, ma è una difesa postuma). Rischiare Vespa non l’ha fatto mai. In quanto alla satira, per cui pretenderebbe oggi di essere qualificato come artista, è destituito di qualsiasi ironia, autoironia, sense of humour. E di allegria. E’ cupo, funereo, permaloso. Non ride mai, al massimo il suo è un ghigno.
Da giovane –anche se è difficile immaginarlo tale, è nato socialdemocratico- ebbe, come cronista, una certa passione per il rugby. E lo si può capire, perché il rugby, depurato dei suoi connotati di lealtà, appaga le sue pulsioni più profonde e più vere. Sotto quella sua aria di Gran Ciambellano, di cerimoniere un po’ viscido e moralmente impomatato, di moderato dedito al ‘politically correct’, Vespa ha una natura violenta. Se, naturalmente, non c’è nulla da rischiare e si trova in una posizione di forza.
Quando collaboravo al Gazzettino, di cui era un editorialista, come lo sarà del QN di cui oggi è Direttore editoriale, chiese al direttore di allora, Luigi Bacialli, di togliermi di mezzo dicendogli, o facendogli intendere, che ero un terrorista o quasi. Una volta gli telefonai, per sbaglio. Avevo bisogno di un’informazione su uno dei suoi ospiti e poiché lavoravamo entrambi al QN chiesi a quel giornale un numero di telefono. Credevo che fosse un numero della sua segreteria, invece era il suo. Ne approfittò virilmente per coprirmi di insulti a distanza di sicurezza. Mi dette, tra le altre cose, dell’“invidioso, megalomane e faccia di bronzo”. Mi parlava considerandosi a una distanza siderale da me, nonostante non fossi, allora, proprio l’ultimo della pista. L’anno precedente, col Vizio oscuro dell’Occidente, ero risultato, nelle classifiche, il primo saggista italiano e in assoluto il secondo dopo Stupid white man di Michael Moore, Vespa, con uno di quei libri che sforna ogni anno, e che son fatti come son fatti, era al decimo posto. Io, come tutti i polemisti, sono sostanzialmente un timido e, credo, una persona educata. Lì per lì non replicai all’energumeno. Gli scrissi però un biglietto che diceva: “Mi ha colpito, fin quasi alla tenerezza, la Sua ingenuità psicologica: qualsiasi psicoanalista potrebbe dirLe che Lei proietta la sua ombra. Se Lei vede il mondo a Sua immagine e somiglianza, non è un bel mondo quello che le tocca vedere, dottor Vespa”.
Massimo Fini
 

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lunedì 29 maggio 2017

GIANCARLO ESPOSTI, PRESENTE !

 
Il 30 maggio 1974 venne ucciso il combattente.
Morto, cercarono d'incastrarlo per depistare
le loro stragi schifose ma il tentativo fallì.
Sepolto, è stato dimenticato.
Perché non era un morto comodo per il maquillage politicamente corretto di chi ha scalato la società avendo come base le nostre magnifiche tragedie.
Lo hanno quindi dimenticato,
per noi invece è sempre Presente!
 



IN RICORDO DI GIANCARLO ESPOSTI 
30 MAGGIO 1974
« Il 30 maggio 1974 venne ucciso a Pian del Rascino, in provincia di Rieti, Giancarlo Esposti, militante di Avanguardia Nazionale. 
« Cecchinato» a freddo dal tiratore scelto dei carabinieri, maresciallo Filippi. L’episodio, frettolosamente archiviato come conflitto a fuoco, avvenne due giorni dopo l’attentato di Piazza della Loggia a Brescia. 

L’identikit (a volto sbarbato) del giovane era apparso su tutti i giornali.

Quindi era « wanted» e non vivo o morto, ma solo morto.

Nell’intenzione dei solerti « operatori di giustizia» , era stato prescelto come lo stragista, e la sua morte tra i monti del reatino avrebbe dovuto costituire il suggello di una ben congegnata operazione a regia, diretta ad attribuire ai fascisti la responsabilità della strage di Brescia.

Gli « operatori» ignoravano soltanto il fatto che Giancarlo Esposti si era lasciato crescere una folta barba…» 

(Paolo Signorelli-Di Professione Imputato-Edizioni Sonda 1996).

Giancarlo oggi è sepolto a Lodi, sua città natale.

A Pian del Rascino venne ucciso Giancarlo Esposti e i servizi provarono a perfezionare una macchinazione diabolica. 

Il 18 maggio 1974 la polizia di Taviani, il ministro degli interni già capo partigiano, tra i brandelli di carne e metallo in cui vennero rinvenuti i resti di Silvio Ferrari, un giovane ordinovista saltato in aria sulla sua motocicletta in circostanze non chiare, "trovò" miracolosamente intatta una copia del giornale Anno Zero. Sulla base di questo miracoloso gioco di prestigio partì il teorema dello stragismo “neonazista”. Perché lo stragismo? Già sapeva, quella polizia, che dopo qualche giorno sarebbe stata perpetrata una strage. Il cui effetto fu il superamento della contrapposizione Dc-Pci e il varo, quell'estate, del "compromesso storico".

Dieci giorni dopo la morte di Silvio Ferrari, infatti, il giorno 28, venne perpetrata a Brescia, in Piazza della Loggia la prima di due stragi (Brescia e Italicus) che in quattro mesi avrebbero aperto la strada ai “governi di unità nazionale” con il partito comunista. Per la prima volta dopo un secolo di manifestazioni in Piazza delle Loggia, quel giorno le forze dell'ordine si schierarono in un posto diverso da quello occupato per consuetudine. E proprio lì, dove era uso che si schierassero, ma non lo fecero, l'ordigno esplose: oltretutto era nascosto in un cestino da poco perquisito.

Due giorni più tardi, il 30, venne ucciso dai gruppi speciali dei carabinieri a Pian del Rascino, nel reatino, Giancarlo Esposti cui si cercò di attribuire la strage; ma l'identikit che fu dettato al “testimone” che secondo i piani doveva addossargli la responsabilità dell'eccidio si rivelò inservibile perché Esposti che, morto, non poteva più difendersi, si era fatto crescere la barba da un mese, particolare che i depistatori ignoravano e che neutralizzò il loro tentativo d'incastro.


 

L’anno 1974 fu segnato da numerosi attentati dinamitardi in Italia, soprattutto nella città di Brescia. L’episodio, che spinse il “Cupa”, Comitato unitario permanente antifascista, a convocare una grande manifestazione antifascista per il 28 maggio a Piazza della Loggia, fu la morte di un giovane neofascista, Silvio Ferrari, appartenente a Ordine Nuovo, saltato in aria, la notte tra il 18 e 19 maggio, con il suo ciclomotore mentre trasportava un ordigno ad alto potenziale.

Nonostante la giornata piovosa, alla manifestazione erano presenti più di duemila e cinquecento persone, sul palco dirigenti dei comitati antifascisti, ma anche un folto gruppo di uomini delle forze dell’ordine. All’improvviso, da un cestino dei rifiuti collocato sotto ad un porticato, una grande esplosione che investì in pieno alcuni manifestanti. Il bilancio fu drammatico, otto morti e più di cento feriti.
Le prime indagini della Magistratura portarono subito alla pista dell’estrema destra. Tra i presunti responsabili anche un giovane “Sanbabilino”, Giancarlo Esposti. Figlio di un venditore di automobili di Lodi, da giovanissimo si iscrisse alla Giovine Italia, Avanguardia Nazionale, poi Ordine Nuovo. Protagonista di numerose iniziative politiche e non, fu arrestato più volte dalla Polizia.

Nel maggio del 1974, con l’arresto dei vertici del Movimento d’azione rivoluzionaria, Giancarlo Esposti, insieme ad altri camerati, lasciò Milano per fuggire verso l’Italia centrale. Dopo una settimana di soggiorno in un appartamento affittato nella frazione di Roiano di Campli in provincia di Teramo, decise di trovare un rifugio più sicuro.

Per evitare posti di blocco della polizia, fu costretto a percorrere sentieri tortuosi fino ad arrivare a Pian del Rascino, milletrecento metri di quota, in provincia di Rieti, dove piantò una tenda da campeggio e iniziò ad elaborare alcuni progetti rivoluzionari. Il Corpo Forestale, allertato dalla presenza di sconosciuti nel bosco, decise di effettuare un controllo solo la mattina del 30 maggio, due giorni dopo l’attentato a Brescia. Infatti, proprio in quelle ore, mentre Brescia piangeva i suoi caduti, Giancarlo Esposti, decise di lasciare la montagna per raggiungere Roma. Al suo ritorno, nell’accampamento, gli amici, non parlarono d’altro che della bomba esplosa a Piazza della Loggia e che quello poteva essere il segnale imminente di un colpo di Stato. Come programmato, all’alba del 30 maggio, sei carabinieri e tre guardie forestali giunsero nei pressi dell’accampamento. Ne scaturì un conflitto a fuoco. Giancarlo Esposti, nonostante le vistose ferite riportate, fu immobilizzato, inginocchiato e freddato con un colpo di pistola alla tempia.

Forse Giancarlo Esposti sapeva troppo, forse era un personaggio scomodo che doveva essere eliminato, perché quella spedizione, non fu altro che una vera e propria esecuzione.

 

Il 30 maggio 1974 a Pian del Rascino, nel Reatino, veniva ucciso da una pattuglia di Carabinieri Giancarlo Esposti, militante dell'ultradestra milanese.

Due giorni prima a Brescia era stata commessa la prima strage consociativa; ovvero il primo massacro volto a far passare nell'opinione pubblica italiana l'idea dell'opportunità di una coalizione tra “nemici” storici: Dc e Pci.

Compromesso Storico

Quel programma, definito appunto Compromesso Storico, era stato disegnato dal partito della Fiat, che si sobbarcò i debiti contratti dai comunisti dopo lo spaventoso aumento della vita susseguito alla Guerra del Kippur dell'autunno precedente e al consequenziale serrate degli Stati produttori del petrolio. Il patto fu quindi ideato dall'avvocato Agnelli e, con lui, da Giulio Andreotti e da Enrico Berlinguer.

Ai registi occulti, a quelli che, come Pasolini, potremmo dire che si sa bene chi siano ma se ne ignora il nome, al fine d'imboccare con successo di carriera la nuova strada parve necessario creare uno stato d'allarme generalizzato e così pensarono di riproporre uno scenario da primavera '45: unità nazionale contro un'eversione nazifascista che fu esaltata appositamente e dipinta appunto come stragista. Per la 

salvaguardia della democrazia e per la difesa della sicurezza pubblica tutti avrebbero finito con l'accettare senza troppe resistenze l'abbraccio improvviso tra gli storici rivali.

E i garanti di quest'unità avrebbero così non solo mantenuto ma addirittura consolidato il loro ruolo di registi occulti.

Così maturarono la strage di Brescia e, due mesi e una settimana più tardi, quella del treno Italicus: stragi che portarono il Partito comunista in area di governo e ve lo lasciarono per anni; fino a quando i poteri forti lo ritennero opportuno.

Il fiasco dell'identikit

La morte di Esposti si presentò come un'occasione unica per i direttori d'orchestra. 

Le strutture “deviate”, deputate a inquinare le indagini e a indirizzarle sempre in un vicolo cieco, pubblicarono immediatamente l'identikit dell'autore del massacro di Piazza della Loggia: era la fotocopia di Giancarlo Esposti.

Ma, come sa il popolo che esprime la voce di Dio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.

Esposti si era lasciato crescere la barba da più di un mese e nell'identikit di colui che doveva essere lo stragista di soli due giorni prima non c'era un solo pelo sulle guance e sul mento. Troppo palese l'esecuzione a comando del portrait-robot, realizzato in ufficio da una foto segnaletica e non frutto di una testimonianza oculare, perché gli agenti devianti e le loro casse di risonanza facessero altro che una fischiettante fuga alla chetichella.

Il particolare da allora è stato scandalosamente rimosso mentre invece, a ben trentasei anni di distanza, gli eredi canuti del non ancor tramontato partito dei devianti tuttora si affannano a cercare tra delinquenti comuni presunti “collaboratori di giustizia” che non parlano di fatti concreti o di episodi tangibili ma riportano frasi imprecise - e tra l'altro mai documentate – che dovrebbero in qualche modo tenere in piedi l'architettura corrosa e traballante dello stragismo nero.

In altri Paesi dove uno straccio di Stato esiste, una volta che i devianti si sono fatti cogliere con le mani nel sacco sono squalificati a vita. In Italia, da oltre sei decenni Paese-colonia gestito da cosche, è invece possibile anche questo.

E se è possibile ancora oggi insistere con faccia di tolla a proporre l'improponibile, figuriamoci allora!

La caccia alle streghe

L'incastro di Esposti, morto e quindi non in grado di rispondere alle accuse, fallì miseramente.

Ciò non ostò alla caccia alle streghe organizzata in grande stile dal ministro degli interni dell'epoca, il capo partigiano Paolo Emilio Taviani con il varo degli arresti indiscriminati per il semplice possesso di una copia di un giornale – autorizzato! – di marca “nazifascista”.

Sarebbe divertente sapere che cos' hanno da dire i Di Pietro vari a commento di una serie di arresti illegali compiuti in nome di uno stato eccezionale di polizia che sbeffeggiava letteralmente le leggi e le autorizzazioni dei Tribunali.

Da quel giorno si varò l'epurazione selvaggia, una riedizione in sedicesimo del biennio post-bellico e s'incoraggiò parimenti la follia dell'uccidere un fascista non è reato, di cui si aveva già avuto un chiaro sentore un anno prima con il rogo di Primavalle.

Il sangue scorse a fiotti e sappiamo che lo dobbiamo – tutto – a coloro che abusarono dei poteri istituzionali usandoli non in logica di Stato, come ha sostenuto, sbagliandosi, una fiorente letteratura d'inchiesta prodotta a sinistra, ma in logica di Anti-Stato.

O, se vogliamo, in logica d'obbedienza a qualche altro Stato, che non sempre né soprattutto fu quello americano e quasi mai il sovietico.

E se domani

Confidiamo che un giorno quella storia verrà finalmente conosciuta così come veramente si svolse.

Troppo tardi forse perché qualche centinaio di individui potenti e ignominiosi paghi il fio delle proprie colpe, ma non perché la verità affermi la dignità di chi è stato accusato ingiustamente e fotografi la miseria umana di certi paladini della democrazia.

 
Noreporter









"Piuttosto morire
 per mantenere una parola 
che morire da traditore!"

IMPRESSIONE
Fa impressione entrare in un cimitero un sabato pomeriggio.
Due tombe.
L'una di quello ucciso a sprangate,  l'altra di quello ucciso a revolverate.
L'uno ucciso dagli uomini in rosso, l'altro da quelli che il rosso in riga  l'hanno sui pantaloni.
Forse erano fratelli, forse no, ma tutti e due li hanno seppelliti di notte perché di giorno gli uomini rossi e quelli dalla rossa riga, ai feretri volevano dare tormento.
Fa impressione che l'una abbia fiori freschi, corone, pergamene votive sole in faccia e per corona l'intera famiglia.
E l'altra,  l'altra no.
L'altra è giù,  al fondo di un cunicolo un labirinto di colombari  bisogna attraversare per trovarla in basso, quasi rasoterra  come se per chi l'abita fosse ancora e sempre maggio.
Disadorna e un po' malmessa ha fiori secchi e foto sbiadita.
Fa impressione  saperti lì dietro una lapide incrinata a fare da scudo al tuo sorriso mai spento
Mi si è impressa l'anima fratello di passate primavere, ora che l'autunno è arrivato a preannunciarmi l'inverno.
Ma oggi, oggi per noi è ancora primavera:  lo dicono freschi i fiori.
Maurizio Murelli

3 giugno 2016
 
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VISITA IL SITO :
 "Un uomo da perdere"
Fabrizio Marzi
 
 
Come Pietro vi ho rinnegato
nell'alba del giorno dell'ira:
Mi sono aggrappato al buon senso,
mi sono sentito diverso.
Ho detto che avete sbagliato
prestando la vostra divisa
cucita di sangue e di sogni
a chi vi ha rubato la vita.
A chi vi ha mandato a morire
nel nome di un "ordine nuovo"
coi soldi del nostro nemico
giocando col vostro destino.
Sei morto con un colpo alla testa
e non ci potrai raccontare
la storia di un uomo bruciato
con Rover, mimetica e "sten".
E dietro al complotto sventato
chi c'era a tirare le fila
e dentro alla grande retata
i pesci chi sono e perché?
Ma so dove sta la ragione
soltanto perché ho rinunciato
tra ufficio, famiglia e carriera
a rabbia, speranza ed onore.
Ma il cuore è un po' matto
e il passato ritorna per battere forte,
ricorda le scelte di vita,
le inutili sfide alla morte.
Non puoi condannare te stesso,
spiegare le trame sottili
con logica fredda di toga,
con logica grassa di fifa.
E piango, ragazzo bruciato,
ultrà di un "commando" sbagliato,
se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato.
Se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato
 

domenica 28 maggio 2017

L'ITALIA DELL'ONORE E DELL'AMORE

ROVETTA 28 Maggio
 
ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16

 
 LOVERE 27 Maggio
 
Emilio Le Pera, anni 22
  Francesco De Vecchi, anni 19

sabato 27 maggio 2017

ONORE AI RAGAZZI DI ROVETTA




“con l’avvicinarsi della primavera, il 28 aprile di ogni anno, sull’ imbrunire, dalla strada che scende dal Passo della Presolana, raffiche di vento strisciano tra le case poste sotto la montagna, rumoreggiando sulle pietre della via come un passo chiodato; sembra un passo cadenzato: è il marciare dei Ragazzi della Tagliamento, quando di pattuglia, scendevano a valle cantando“…per voi ragazze belle della via che avete il volto della primavera, per voi che siete tutta poesia e sorridete alla camicia nera…”
Si! è il cantare dei Legionari trucidati a Rovetta, che tornati in quella vallata, risalgono sulla Presolana, dove ogni notte sono di pattuglia; cantano, marciano e, mentre attendono giustizia, si chiedono e chiedono "PERCHE’ ?"
(tratto dal libro "ONORE–Una strage; perché? Rovetta 28 aprile 1945" a cura di Giuliano Fiorani)



 
AI 43 MILITI DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO TRUCIDATI INERMI
IN ROVETTA IL 28 APRILE 1945
E NEL RICORDO DI TUTTI I CADUTI PER L’ONORE

ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16

venerdì 26 maggio 2017

IN MEMORIA DI UN EROE PURISSIMO: MERICO ZUCCARI, COMANDANTE DELLA LEGIONE "M" TAGLIAMENTO

MERICO ZUCCARI
 
 
 
IN MEMORIA DI UN EROE PURISSIMO
 
IL COLONNELLO MERICO ZUCCARI 
UNA VITA SPESA PER LA PATRIA



La morte ne ha falciato un altro dei nostri migliori: il Colonnello Merico Zuccari, Comandate della gloriosa ed invinta Legione "M" Tagliamento - la Legione cara al cuore del Duce: Un eroe purissimo, un autentico Martire!
Una Vita sublime, un miracolo di Fede!
Egli era-e si sentiva- un fascista integrale, un intrepido sicuro Comandante. E lo fu, al sommo di ogni esempio della Sua generazione senza forse neppure avvedersene, possedendo tutte le virtù.
Il fascimo come Tu-Comandante-lo hai conosciuto con la Tua audace azione, con la Tua donazione costante, con il Tuo dolore fierissimo e del quale ne resti una delle più entusiasmanti figure, uno dei più degni depositari. Per l'eternità! Fosti un religioso della Patria e del suo Onore.
"La Patria è una costante apparizione,è una costante dedizione. Non la possiede se non chi la crea, non la merita se non chi la vede, non la serve se non chi abnega a sestesso"
Tu-Comandante-l'hai posseduta, l'hai meritata, l'hai servita fino in fondo. Si, fascisticamente.
Ecco le tappe della Tua troppo breve seppure intensissima vicenda terrena :
Adolescente : squadrista di "secco fegato"
Gennaio 1933-febbraio 1935 : Sottotenente in Libia, a Trioli, coi Cacciatori d'Africa.
1935 : Capomanipolo in AOI al comando degli Esploratori del Gruppo CC.NN del Gen. Diamanti. A passo Ua-rieu insieme a Padre Giuliani, il primo nastrino azzurro e Centurione per meriti eccezionali.
Dicembre 1936 : in Patria al Comando M.V.N.S. di Imola.
Gennaio 1938-Marzo 1940 : nuovamente volontario in africa con la legione M.V.S.N. di Misurata. Poi a Genova nella Legione della Milizia Universitaria.
Ottobre 1940 : campagna di Grecia, una ferita con mutilazione al braccio destro, secondo nastrino azzurro. Niente soste ma su domanda trattenuto in servizio e destinato a reparti combattenti. Nei Battaglioni "M".
Maggio 1943 : Seniore. Comandante del 63° Btg. "M" nei pressi di Roma in attesa di nuovo impiego.
2 Luglio 1943 : ore 18,30 al Comando del 41° Btg. "M" rinforzato da una Compagnia del 63° Btg. "M" e da altra del 79° Btg. "M" incaricato di disporre sorveglianza speciale a Palazzo Venezia, Villa Torlonia e alla Sede del Comando Generale della M.V.S.N.-Ore 22 pronto ad eseguire tale decisiva azione.-Ore 2 del giorno 26, revoca dell'incarico da parte del Generale "caramella" Galbiati e rifiuto di assegnazione degli automezzi indispensabili per muovere alla volta di Roma, dove avresti agito assumendone personalmente ogni responsabilità.
Ottobre 1943: in Repubblica Sociale Italiana. Ancora e sempre con Mussolini.
Novembre 1943: Primo-Seniore per Merito di Guerra e successiivamente Console a scelta eccezionale, al Comando della prima Legione d'assalto "M" Tagliamenrto, decorato di medaglia d'oro al V.M.. Poi su tutti i fronti per l'Onore d'Italia.
2 Maggio 1945 : Croce di ferro germanica di Prima Classe.
3 Maggio 1945 : la Legione "M" Tagliamento, fino a quel momento mantenuta sul piede di guerra, smobilita.
1945-1959 : l' esilio
L'ondata livida e tragica dell'antifascismo Ti strappò da questa nostra Patria alla quale Ti eri votato e dai tuoi cari che adoravi, inseguendoTi per quattordici interminabili anni. Ma Tu-Comandante-non li conoscesti meglio arrendersi pavido, bensì contenesti sempre in Te il virile coraggio, fatto di umana consapevolezza delle Tue forze, per sfidare ogni pericolo, durare ogni prova, superare ogni ostacolo.
Ora, non sei più con noi. Ma sei avanti a noi e alla nostra lotta che ancora per te continua!
Presso la Tua Salma-durante, il modesto e superbo rito funebre che malgrado questa lercia democrazia unicamente i Soldati come te possono avere, il magnifico Cappellano della Tua Legione ha saputo mirabilmente testimoniarTi ed interpretare la presenza ideale ma certissima di tutti i Tuoi Commilitoni e Camerati; della fede di tutti i nostri cuori; della selva sventolante di tutti i Vessilli e di tutte le Insegne della Rivoluzione. Spiritualmente, la Tua Legione cara al cuore del Duce, era al gran completo, nei suoi Vivi e nei Suoi Morti, disposta in quadrato a renderti l'estremo Onore delle armi. Solo essa era qualificata a farlo. la Fiaccola che ci hai trasmesso più arde e più deve ardere. E, ardendo, consumerà ogni cosa impura.
Questo il nostro impegno sacro, insieme al giuramento che sapremo vegliare la Tua memoria e il Tuo martirio, oltre la vita. Per poter continuare a Credere Obbedire Combattere.
Camerata Merico Zuccari, tutti i fascisti d'Italia rispondono "presente" per Te.


Da "M ROSSA" GENNAIO 2009

PAGELLA SCOLASTICA DI ZUCCARI

OPUSCOLO 
 IN MEMORIA DI AMERICO ZUCCARI 
A CURA DI GIULIANO E LUCA FIORANI



Merico Zuccari nasce il 6 novembre 1906 a Saavedra nelle pampas argentine da Famiglia emigrata da Montefano (MC), ma nel 1907 il padre lascia il lavoro nelle ferrovie di Buenos Aires e rimpatria. Frequenta le Scuole Elementari al paese d'origine, dove la diretta coltivazione di poderi consente al nucleo familiare una vita agiata. Sposa Clara Trombettoni di Porto Recanati (MC) e nel 1932 ha una figlia, Maria. Nel luglio 1922 si iscrive al PNF di Montefano e in ottobre partecipa alla Marcia su Roma. Dopo le Scuole Medie a Macerata frequenta l'Istituto Tecnico Agrario e nel 1924 segue corsi specializzati in ortofruttofloricoltura a Genova, dove partecipa ad iniziative goliardiche fasciste. Compie studi anche all'Istituto Tecnico Agrario di Ascoli Piceno e il 20 dicembre 1926 ottiene il diploma di Perito Agrario a Todi.

Assolto dal 16 ottobre 1926 il Servizio di Leva e dal 28 luglio 1930 Sottotenente di Fanteria, dal 1933 è in Tripolitania con il Corpo Truppe Coloniali e dal 1935 in Eritrea quale Capomanipolo del 1.Battaglione CC.NN. Coloniale. Il 24 gennaio 1936 nel Tembien con la Divisione CC.NN. 28 Ottobre e contro le bande di Ras Cassa e Ras Sejum difende Passo Uarieu per consolidare la conquista di Macallé (2 gennaio 1936).Nel 1937 è effettivo alla 68.Legione CC.NN. di Imola (BO). Promosso Centurione l'1 gennaio 1938 per Meriti in A.O. viene trasferito alla 2.Legione Libica. Il 14 dicembre 1940 resta ferito in Albania ad Hodati con relativa mutilazione al braccio destro presso l'Istituto Ortopedico di Firenze. Dopo la convalescenza, è alla 6.Legione Universitaria di Genova e l'1 aprile 1943 diviene Seniore. Alle ore 2 del 26 luglio 1943 quale Comandante del XLI Battaglione “M” Armi Accompagnamento 1. Divisione Corazzata CC.NN. si presenta a Trevignano (RM) al Console Ermacora Zuliani che comanda il Gruppo Battaglioni Tagliamento per aggiungere la sua opposizione a quella del Comandante del LXIII Battaglione “M” 1° Seniore Mario Rosmino, contro l' iniziativa del Console di vietare movimenti di CC.NN. verso Roma.
Nel settembre 1943 continua nella fedeltà all'alleato tedesco e assume il Comando del LXIII Battaglione “M” che a Roma, radunatosi alla Caserma Mussolini dal 14 settembre, sarà il nucleo della 1. Legione MVSN “M” impegnata in Abruzzo dal 29 settembre nella cattura di prigionieri di guerra liberati dai regi. Nella 1. Legione "M" confluiscono gli AA.UU. MVSN di Ostia e i resti del XVI Battaglione “M” che, reduce dalla Balcania e in accampamento a Ponte Galeria nell'Agro romano, agli ordini del Console Gustavo Marabini è l'unico a tentare di marciare sulla Capitale il 26 luglio 1943, però fermato alla Magliana da lanciafiamme e carri armati del Corpo d'Armata Motorizzato comandato dal Generale Giacomo Carboni.
Tenente Colonnello dal 28 novembre 1943 e Colonnello dal 24 maggio 1944, in RSI comanda gli oltre mille Militi della Legione GNR “M” Tagliamento, che avrà almeno 256 Caduti ed è stata secondo i tedeschi il Reparto più efficiente per la sicurezza del territorio. Dopo ottimi risultati nel Vercellese e prima di raggiungere il territorio di Sassocorvaro (PS) per compiti di retrovia sulla linea gotica, ai quali seguiranno il rastrellamento del 21 settembre 1944 sul Monte Grappa e presidi in Val Camonica, a metà giugno 1944 durante la lieta visita di iscritti ONB di Bologna alla Legione in sosta a Villa Impero, ascolta e interroga, placa ardori e invita gli Avanguardisti ad essere buoni patrioti.
Termina la guerra il 3 maggio 1945 a Revò nell'Alto Trentino occidentale e via Svizzera e Genova inizia una latitanza con altro nome in Argentina che dura 14 anni mentre monta in Italia la persecuzione giudiziaria. L'11 gennaio 1950, in un secondo processo disposto dal Tribunale Supremo, è assolto dal Tribunale Militare di Firenze che annulla la condanna a morte del 1947 emessa a Bologna. In congedo dal 20 giugno 1955 ed espulso dall'Esercito il 29 luglio 1955, ottiene il beneficio della liberazione condizionale il 9 novembre 1959 con virtuale scarcerazione. La concessione è deliberata dal Tribunale Militare di Milano che lo aveva condannato il 28 agosto 1952 alla pena dell'ergastolo.
Poco dopo il rientro in Italia, forse provato dalle forti emozioni in occasione dei festeggiamenti da parte di Commilitoni e paesani, muore a Montefano (MC) il 5 dicembre 1959 per infarto cardiaco.
CIMITERO DI MONTEFANO - LA TOMBA

LO STATO DI SERVIZIO DEL COMANDANTE ZUCCARI

 
 
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