martedì 29 maggio 2018

GIANCARLO ESPOSTI, UCCISO DALLO STATO


Il 30 maggio 1974 venne ucciso il combattente.
Morto, cercarono d'incastrarlo per depistare
le loro stragi schifose ma il tentativo fallì.
Sepolto, è stato dimenticato.
Perché non era un morto comodo per il maquillage politicamente corretto di chi ha scalato la società avendo come base le nostre magnifiche tragedie.
Lo hanno quindi dimenticato,
per noi invece è sempre Presente!



IN RICORDO DI GIANCARLO ESPOSTI 
30 MAGGIO 1974
« Il 30 maggio 1974 venne ucciso a Pian del Rascino, in provincia di Rieti, Giancarlo Esposti, militante di Avanguardia Nazionale. 
« Cecchinato» a freddo dal tiratore scelto dei carabinieri, maresciallo Filippi. L’episodio, frettolosamente archiviato come conflitto a fuoco, avvenne due giorni dopo l’attentato di Piazza della Loggia a Brescia. 

L’identikit (a volto sbarbato) del giovane era apparso su tutti i giornali.

Quindi era « wanted» e non vivo o morto, ma solo morto.

Nell’intenzione dei solerti « operatori di giustizia» , era stato prescelto come lo stragista, e la sua morte tra i monti del reatino avrebbe dovuto costituire il suggello di una ben congegnata operazione a regia, diretta ad attribuire ai fascisti la responsabilità della strage di Brescia.

Gli « operatori» ignoravano soltanto il fatto che Giancarlo Esposti si era lasciato crescere una folta barba…» 

(Paolo Signorelli-Di Professione Imputato-Edizioni Sonda 1996).

Giancarlo oggi è sepolto a Lodi, sua città natale.

A Pian del Rascino venne ucciso Giancarlo Esposti e i servizi provarono a perfezionare una macchinazione diabolica. 

Il 18 maggio 1974 la polizia di Taviani, il ministro degli interni già capo partigiano, tra i brandelli di carne e metallo in cui vennero rinvenuti i resti di Silvio Ferrari, un giovane ordinovista saltato in aria sulla sua motocicletta in circostanze non chiare, "trovò" miracolosamente intatta una copia del giornale Anno Zero. Sulla base di questo miracoloso gioco di prestigio partì il teorema dello stragismo “neonazista”. Perché lo stragismo? Già sapeva, quella polizia, che dopo qualche giorno sarebbe stata perpetrata una strage. Il cui effetto fu il superamento della contrapposizione Dc-Pci e il varo, quell'estate, del "compromesso storico".

Dieci giorni dopo la morte di Silvio Ferrari, infatti, il giorno 28, venne perpetrata a Brescia, in Piazza della Loggia la prima di due stragi (Brescia e Italicus) che in quattro mesi avrebbero aperto la strada ai “governi di unità nazionale” con il partito comunista. Per la prima volta dopo un secolo di manifestazioni in Piazza delle Loggia, quel giorno le forze dell'ordine si schierarono in un posto diverso da quello occupato per consuetudine. E proprio lì, dove era uso che si schierassero, ma non lo fecero, l'ordigno esplose: oltretutto era nascosto in un cestino da poco perquisito.

Due giorni più tardi, il 30, venne ucciso dai gruppi speciali dei carabinieri a Pian del Rascino, nel reatino, Giancarlo Esposti cui si cercò di attribuire la strage; ma l'identikit che fu dettato al “testimone” che secondo i piani doveva addossargli la responsabilità dell'eccidio si rivelò inservibile perché Esposti che, morto, non poteva più difendersi, si era fatto crescere la barba da un mese, particolare che i depistatori ignoravano e che neutralizzò il loro tentativo d'incastro.


 

L’anno 1974 fu segnato da numerosi attentati dinamitardi in Italia, soprattutto nella città di Brescia. L’episodio, che spinse il “Cupa”, Comitato unitario permanente antifascista, a convocare una grande manifestazione antifascista per il 28 maggio a Piazza della Loggia, fu la morte di un giovane neofascista, Silvio Ferrari, appartenente a Ordine Nuovo, saltato in aria, la notte tra il 18 e 19 maggio, con il suo ciclomotore mentre trasportava un ordigno ad alto potenziale.

Nonostante la giornata piovosa, alla manifestazione erano presenti più di duemila e cinquecento persone, sul palco dirigenti dei comitati antifascisti, ma anche un folto gruppo di uomini delle forze dell’ordine. All’improvviso, da un cestino dei rifiuti collocato sotto ad un porticato, una grande esplosione che investì in pieno alcuni manifestanti. Il bilancio fu drammatico, otto morti e più di cento feriti.
Le prime indagini della Magistratura portarono subito alla pista dell’estrema destra. Tra i presunti responsabili anche un giovane “Sanbabilino”, Giancarlo Esposti. Figlio di un venditore di automobili di Lodi, da giovanissimo si iscrisse alla Giovine Italia, Avanguardia Nazionale, poi Ordine Nuovo. Protagonista di numerose iniziative politiche e non, fu arrestato più volte dalla Polizia.

Nel maggio del 1974, con l’arresto dei vertici del Movimento d’azione rivoluzionaria, Giancarlo Esposti, insieme ad altri camerati, lasciò Milano per fuggire verso l’Italia centrale. Dopo una settimana di soggiorno in un appartamento affittato nella frazione di Roiano di Campli in provincia di Teramo, decise di trovare un rifugio più sicuro.

Per evitare posti di blocco della polizia, fu costretto a percorrere sentieri tortuosi fino ad arrivare a Pian del Rascino, milletrecento metri di quota, in provincia di Rieti, dove piantò una tenda da campeggio e iniziò ad elaborare alcuni progetti rivoluzionari. Il Corpo Forestale, allertato dalla presenza di sconosciuti nel bosco, decise di effettuare un controllo solo la mattina del 30 maggio, due giorni dopo l’attentato a Brescia. Infatti, proprio in quelle ore, mentre Brescia piangeva i suoi caduti, Giancarlo Esposti, decise di lasciare la montagna per raggiungere Roma. Al suo ritorno, nell’accampamento, gli amici, non parlarono d’altro che della bomba esplosa a Piazza della Loggia e che quello poteva essere il segnale imminente di un colpo di Stato. Come programmato, all’alba del 30 maggio, sei carabinieri e tre guardie forestali giunsero nei pressi dell’accampamento. Ne scaturì un conflitto a fuoco. Giancarlo Esposti, nonostante le vistose ferite riportate, fu immobilizzato, inginocchiato e freddato con un colpo di pistola alla tempia.

Forse Giancarlo Esposti sapeva troppo, forse era un personaggio scomodo che doveva essere eliminato, perché quella spedizione, non fu altro che una vera e propria esecuzione.

 

Il 30 maggio 1974 a Pian del Rascino, nel Reatino, veniva ucciso da una pattuglia di Carabinieri Giancarlo Esposti, militante dell'ultradestra milanese.

Due giorni prima a Brescia era stata commessa la prima strage consociativa; ovvero il primo massacro volto a far passare nell'opinione pubblica italiana l'idea dell'opportunità di una coalizione tra “nemici” storici: Dc e Pci.

Compromesso Storico

Quel programma, definito appunto Compromesso Storico, era stato disegnato dal partito della Fiat, che si sobbarcò i debiti contratti dai comunisti dopo lo spaventoso aumento della vita susseguito alla Guerra del Kippur dell'autunno precedente e al consequenziale serrate degli Stati produttori del petrolio. Il patto fu quindi ideato dall'avvocato Agnelli e, con lui, da Giulio Andreotti e da Enrico Berlinguer.

Ai registi occulti, a quelli che, come Pasolini, potremmo dire che si sa bene chi siano ma se ne ignora il nome, al fine d'imboccare con successo di carriera la nuova strada parve necessario creare uno stato d'allarme generalizzato e così pensarono di riproporre uno scenario da primavera '45: unità nazionale contro un'eversione nazifascista che fu esaltata appositamente e dipinta appunto come stragista. Per la 

salvaguardia della democrazia e per la difesa della sicurezza pubblica tutti avrebbero finito con l'accettare senza troppe resistenze l'abbraccio improvviso tra gli storici rivali.

E i garanti di quest'unità avrebbero così non solo mantenuto ma addirittura consolidato il loro ruolo di registi occulti.

Così maturarono la strage di Brescia e, due mesi e una settimana più tardi, quella del treno Italicus: stragi che portarono il Partito comunista in area di governo e ve lo lasciarono per anni; fino a quando i poteri forti lo ritennero opportuno.

Il fiasco dell'identikit

La morte di Esposti si presentò come un'occasione unica per i direttori d'orchestra. 

Le strutture “deviate”, deputate a inquinare le indagini e a indirizzarle sempre in un vicolo cieco, pubblicarono immediatamente l'identikit dell'autore del massacro di Piazza della Loggia: era la fotocopia di Giancarlo Esposti.

Ma, come sa il popolo che esprime la voce di Dio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.

Esposti si era lasciato crescere la barba da più di un mese e nell'identikit di colui che doveva essere lo stragista di soli due giorni prima non c'era un solo pelo sulle guance e sul mento. Troppo palese l'esecuzione a comando del portrait-robot, realizzato in ufficio da una foto segnaletica e non frutto di una testimonianza oculare, perché gli agenti devianti e le loro casse di risonanza facessero altro che una fischiettante fuga alla chetichella.

Il particolare da allora è stato scandalosamente rimosso mentre invece, a ben trentasei anni di distanza, gli eredi canuti del non ancor tramontato partito dei devianti tuttora si affannano a cercare tra delinquenti comuni presunti “collaboratori di giustizia” che non parlano di fatti concreti o di episodi tangibili ma riportano frasi imprecise - e tra l'altro mai documentate – che dovrebbero in qualche modo tenere in piedi l'architettura corrosa e traballante dello stragismo nero.

In altri Paesi dove uno straccio di Stato esiste, una volta che i devianti si sono fatti cogliere con le mani nel sacco sono squalificati a vita. In Italia, da oltre sei decenni Paese-colonia gestito da cosche, è invece possibile anche questo.

E se è possibile ancora oggi insistere con faccia di tolla a proporre l'improponibile, figuriamoci allora!

La caccia alle streghe

L'incastro di Esposti, morto e quindi non in grado di rispondere alle accuse, fallì miseramente.

Ciò non ostò alla caccia alle streghe organizzata in grande stile dal ministro degli interni dell'epoca, il capo partigiano Paolo Emilio Taviani con il varo degli arresti indiscriminati per il semplice possesso di una copia di un giornale – autorizzato! – di marca “nazifascista”.

Sarebbe divertente sapere che cos' hanno da dire i Di Pietro vari a commento di una serie di arresti illegali compiuti in nome di uno stato eccezionale di polizia che sbeffeggiava letteralmente le leggi e le autorizzazioni dei Tribunali.

Da quel giorno si varò l'epurazione selvaggia, una riedizione in sedicesimo del biennio post-bellico e s'incoraggiò parimenti la follia dell'uccidere un fascista non è reato, di cui si aveva già avuto un chiaro sentore un anno prima con il rogo di Primavalle.

Il sangue scorse a fiotti e sappiamo che lo dobbiamo – tutto – a coloro che abusarono dei poteri istituzionali usandoli non in logica di Stato, come ha sostenuto, sbagliandosi, una fiorente letteratura d'inchiesta prodotta a sinistra, ma in logica di Anti-Stato.

O, se vogliamo, in logica d'obbedienza a qualche altro Stato, che non sempre né soprattutto fu quello americano e quasi mai il sovietico.

E se domani

Confidiamo che un giorno quella storia verrà finalmente conosciuta così come veramente si svolse.

Troppo tardi forse perché qualche centinaio di individui potenti e ignominiosi paghi il fio delle proprie colpe, ma non perché la verità affermi la dignità di chi è stato accusato ingiustamente e fotografi la miseria umana di certi paladini della democrazia.

Noreporter









"Piuttosto morire
 per mantenere una parola 
che morire da traditore!"

IMPRESSIONE
Fa impressione entrare in un cimitero un sabato pomeriggio.
Due tombe.
L'una di quello ucciso a sprangate,  l'altra di quello ucciso a revolverate.
L'uno ucciso dagli uomini in rosso, l'altro da quelli che il rosso in riga  l'hanno sui pantaloni.
Forse erano fratelli, forse no, ma tutti e due li hanno seppelliti di notte perché di giorno gli uomini rossi e quelli dalla rossa riga, ai feretri volevano dare tormento.
Fa impressione che l'una abbia fiori freschi, corone, pergamene votive sole in faccia e per corona l'intera famiglia.
E l'altra,  l'altra no.
L'altra è giù,  al fondo di un cunicolo un labirinto di colombari  bisogna attraversare per trovarla in basso, quasi rasoterra  come se per chi l'abita fosse ancora e sempre maggio.
Disadorna e un po' malmessa ha fiori secchi e foto sbiadita.
Fa impressione  saperti lì dietro una lapide incrinata a fare da scudo al tuo sorriso mai spento
Mi si è impressa l'anima fratello di passate primavere, ora che l'autunno è arrivato a preannunciarmi l'inverno.
Ma oggi, oggi per noi è ancora primavera:  lo dicono freschi i fiori.
Maurizio Murelli

3 giugno 2016
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VISITA IL SITO :
 "Un uomo da perdere"
Fabrizio Marzi
Come Pietro vi ho rinnegato
nell'alba del giorno dell'ira:
Mi sono aggrappato al buon senso,
mi sono sentito diverso.
Ho detto che avete sbagliato
prestando la vostra divisa
cucita di sangue e di sogni
a chi vi ha rubato la vita.
A chi vi ha mandato a morire
nel nome di un "ordine nuovo"
coi soldi del nostro nemico
giocando col vostro destino.
Sei morto con un colpo alla testa
e non ci potrai raccontare
la storia di un uomo bruciato
con Rover, mimetica e "sten".
E dietro al complotto sventato
chi c'era a tirare le fila
e dentro alla grande retata
i pesci chi sono e perché?
Ma so dove sta la ragione
soltanto perché ho rinunciato
tra ufficio, famiglia e carriera
a rabbia, speranza ed onore.
Ma il cuore è un po' matto
e il passato ritorna per battere forte,
ricorda le scelte di vita,
le inutili sfide alla morte.
Non puoi condannare te stesso,
spiegare le trame sottili
con logica fredda di toga,
con logica grassa di fifa.
E piango, ragazzo bruciato,
ultrà di un "commando" sbagliato,
se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato.
Se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato

domenica 27 maggio 2018

ITALIANI = SCHIAVI



Gli italiani sono schiavi, anche i più ottusi non potranno negarlo

Oggi è stato un giorno della verità. Oggi, forse ieri, probabilmente domani e chissà per quanto. Non si ferma proprio mai, Sergio Mattarella. Dopo almeno quattro fasi in cui il capo dello Stato ha palesato con ogni forza la sua ostilità ad alcune nomine dell’ex-nascente governo, adesso ha deciso di porre il veto definitivo alla sua formazione.
Oggi è il giorno della verità perché tutti, in un modo o nell’altro, dovremo far fronte ad un solo, inequivocabvile dato di fatto: quello di essere schiavi.
Prima l’ostilità alla coalizione che, con tutti i suoi difetti, aveva legittimamente vinto le elezioni, ossia il centrodestra: ma in quel caso c’era l’alibi, da soli non avrebbero mai potuto comporre una maggioranza, e dunque un governo, in questo convulso schema post-elettorale.
Poi l’aperto favoreggiamento a un sodalizio – per la verità ideologicamente molto più fattibile di quanto si pensi – tra il PD e il Movimento 5 Stelle, rispettivamente uno sconfitto e un vincitore di queste consultazioni elettorali. Massì, chissenefrega.
Terzo round, la storiella breve del “governo neutro” che sapeva tanto di “governo tecnico”, ovvero tutto ciò che di più europeista, fiscalista e sottomesso a Bruxelles la politica italiana possa produrre insieme ai governi di marchio PD, dai tempi di Lamberto Dini fino a quelli di Mario Monti.
Quarto momento epico: ostilità anche a Giuseppe Conte, “nominato” dai nuovi cooperanti Matteo Salvini e Luigi Di Maio e non dal presidente della Repubblica, come se nella storia politica italiana il premier non sia – praticamente da sempre – espressione della maggioranza parlamentare (e che di conseguenza la ricezione di un ipotetico “diktat” sia del tutto arbitraria, dal momento che non mi pare vi siano state analoghe perplessità ai tempi di Letta o di Gentiloni).
Ma la corsa, come si diceva prima, è infinita, ed ecco che ora lo scontro, la lotta senza quartiere sulla nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia. La sua colpa? Essere troppo critico dell’euro e delle strategie di Bruxelles sul tema, favorevole a una riforma seria dei trattati e delle misure che, ormai da 20 anni, stanno impoverendo l’Europa.
Il veto di Mattarella a Savona si basa su questo. Non esistono ragioni tecniche, né giuridiche, la prassi costituzionale gli impone di non opporsi all’espressione della maggioranza ma nonostante questo il nostro capo dello Stato non sembra tenerne conto, perché in questo caso – forse unico nella storia della Repubblica – la negazione è su un elemento molto critico per tutti gli pseudodemocratici di facciata: le idee.
Le idee di Savona non sono applicabili alla Repubblica Italiana sottomessa senza appello all’UE. Non sono applicabili, se non ridando all’Italia quella sovranità i cui rimasugli sono stati scippati senza pietà da almeno una ventina d’anni.
Fa ridere amaramente che il governo che sarebbe potuto nascere sarebbe stato tutt’altro che rigidamente anti-europeista, considerata la praticamente certa nomina di Di Maio agli Esteri. Nei sistemi autoritari, però, da fastidio la discontinuità, anche lieve. Lo da alle èlite che lo governano senza una reale opposizione: da fastidio che ci si ponga in contrasto anche solo parziale a trattati che ci hanno ridotto alla rovina, da fastidio che si ridiscuta il peso del nostro Paese in Europa (enorme, considerando il fatto che siamo pur sempre tra i primi tre contributori netti del bilancio comunitario), da fastidio, nonostante i partiti fondatori avessero anche dichiarato di rimanerci, nell’Europa.
Qualche poveraccio europeista, su facebook, perfino oggi ha avuto il coraggio di fiatare. “Mossa elettorale di Salvini e Di Maio”, un’argomentazione di chi è alla canna del gas: magari per europeismo terminale, senza possibilità di tornare indietro nell’incapacità di ammettere la possibilità storica dell’alternativa, oppure per vendita della propria dignità a un sistema che ci ha distrutto in decenni di politiche suicide e anti-nazionali.
Salvini e Di Maio incapaci di governare e quindi tiratori polemici infiniti di campagna elettorale. Ma che ragionamenti intelligenti e profondi, per nulla faziosi, ovviamente ben consci che alle elezioni probabilmente non si andrà mai, e allora giù il ragionamento dal principio, ma non fa nulla.
Non fa nulla che Mattarella fosse tenuto ad accettare un ministro espressione della maggioranza, e non si sarebbe mai potuto permettere – Costituzione tanto amata alla mano – di rifiutarlo per motivi ideologici. Ignoriamo, è ciò che sappiamo fare meglio, soprattutto quando la nostra coscienza è lercia come il fango dopo un diluvio scrosciante.
Ma si sa, per certe persone, anche dopo quanto successo oggi, la parola patria continuerà ad essere una parolaccia, un termine ridicolo, da tempi andati, per cui prendere in giro chi ancora la pronuncia.
A loro la mia personale stima per la faccia tosta, o anche per l’arguzia di intuire una cosa che solo le loro menti geniali potevano capire, ovvero che i due leader populisti hanno intenzione di sfruttare elettoralmente la gravissima situazione. E vabbé.
Ma gli strozzini sono come i mafiosi, e non casualmente le due categorie vanno spesso a braccetto: non si accontentano mai. Prima del definitivo rifiuto, si sentiva parlare di trattativa, ma anche il più sciocco ormai non può sfuggire al dato di fatto: che non ci si può opporre ideologicamente a un ministro.
Al massimo – ma al massimo – lo si sarebbe fare da un punto di vista tecnico, ma credo che la storia di questa Repubblica avrebbe avuto l’ennesima difficoltà a non entrare in contraddizione con svariate nomine discutibili, ultima (non in ordine di importanza) la ormai leggendaria Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione senza nemmeno una laurea.
Vada avanti, presidente Mattarella. Su con Cottarelli. Rifiuti apertamente il voto degli italiani, perché testuali parole sue, non può subire “imposizione di ministri contrari all’euro”. Definisca, ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, il sistema che ci viene imposto, sul quale non siamo liberi di esprimerci e del quale lei è complice. Irriti ancora di più un popolo italiano educato da 70 anni all’indifferenza ma capace, di fronte a uno scempio simile, di iniziare a notare che qualcosina non va.
Tornare al voto è irrealistico, non lo permetteranno mai. Ma oggi, come dicevo all’inizio, è il giorno della verità. Quella verità fastidiosa che la maggior parte degli italiani non ha mai voluto guardare in faccia. La verità della schiavitù, della sottomissione, edulcorata con forme tristissime e sempre più inconcepibili.
Oggi è il giorno in cui coloro che sono educati dalla culla all’odio della parola “patria” dovranno guardarsi allo specchio con vergogna. E non perché continuino a ritenerla ridicola o anacronistica, ma perché la storia gli ha appena dimostrato senza appello quanto il loro mondo, quello che hanno sempre difeso a spada tratta e continuano a difendere senza un minimo di ritegno, sia ciò che ha sempre voluto l’Italia un Paese ridotto in servitù.
Non hanno scuse, non possono averne. I pochi sibili emessi sui social network hanno palesato per l’ennesima volta la loro miseria infima.
In questa situazione non si può non tentare qualsiasi strada. Io ci sto.
 

sabato 26 maggio 2018

OGGI A ROVETTA. IMMORTALI

 

QUEGLI EROI CHE HAI MASSACRATO SONO ANCORA QUA
  
 
AI 43 MILITI DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO
TRUCIDATI INERMI
IN ROVETTA
IL 28 APRILE 1945
E NEL RICORDO DI TUTTI I CADUTI
PER L’ONORE

ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16
  
 
 
 
Alle 10 circa il 28 Aprile 1945
 giunsero a Rovetta due autocarri
carichi di partigiani appartenenti
alla brigata "Camozzi" "13 martiri","G.L.".
Un ora dopo,a gruppi di 4 o 5,
 i militi prigionieri
 vennero condotti nei pressi del cimitero e fucilati...

 Furono massacrati 43 militi della Legione Tagliamento
 dopo aver deposto le armi,
 ragazzi tra i 15-22 anni...
 
 
 
 
 
 
 
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venerdì 25 maggio 2018

NATO ... da tutte le parti



Fake news: Facebook assume un think tank finanziato dalla NATO

Facebook ha ingaggiato un think tank finanziato dai produttori di armi, da alcuni settori dell’esercito statunitense e dalle monarchie mediorientali per “salvaguardare il processo democratico”. Un po’ come assumere dei piromani come vigili del fuoco.
  
Se Facebook intendesse davvero “proteggere la democrazia e le elezioni in tutto il mondo”, costruirebbe un team di esperti e attivisti provenienti da tutte le nazioni nelle quali opera. Invece, il gigante dei social media verrà fiancheggiato da un gruppo propagandistico della NATO.
Per chi non ne fosse al corrente, Atlantic Council (AC) è il principale gruppo di advocacy legato all’alleanza atlantica, guidata dagli americani. E il suo metodo di lavoro è piuttosto semplice: garantisce stipendi e falsi titoli accademici a vari attivisti che si allineano all’agenda della NATO. Dunque, i lobbisti diventano “soci” ed “esperti”, mentre l’impresa si garantisce una facciata pulita, che viene raramente (se non mai) messa sotto i riflettori dai media.
Anche se tutto ciò è sempre stato eticamente discutibile, l’ultima mossa di Facebook, vista la sua posizione monopolistica, è ancora più sinistra, perché è ora legata a un “think tank” che ha proposto attacchi terroristici in Russia e ha richiesto che i media russi siano obbligati a registrarsi negli Stati Uniti come “agenti stranieri”.
Non cadete in errore: questo è uno scenario da sogno per la NATO e per coloro che dipendono da essa per la propria vita e il proprio status. Perché l’AC è nella posizione di sottomettere Facebook nel campo dell’informazione.
Giovedì, il social network ha annunciato di essere “eccitato di avviare questa nuova partnership con Atlantic Council, il quale ha una reputazione stellare per la ricerca di soluzioni innovative a problemi difficili”. Ha infine aggiunto che gli “esperti” del Digital Forensic Research Lab (DFRL) dell’AC lavoreranno a stretto contatto con i team di sicurezza di Facebook per “offrire approfondimenti e aggiornamenti in tempo reale sulle minacce emergenti e sulle campagne di disinformazione di tutto il mondo”.
Ora, questo tipo di discorso andrebbe bene, se Facebook avesse riunito un gruppo eterogeneo, composto da parti interessate di un’ampia gamma di democrazie. Ma, selezionando un attore chiaramente incline alla ricerca di “disinformazioni e interferenze straniere” durante “elezioni e altri momenti altamente sensibili”, e anche lavorando per “aiutare a educare i cittadini e la società civile”, il team di Mark Zuckerberg ha essenzialmente reso l’azienda uno strumento dell’agenda militare statunitense.
Basta guardare chi finanzia l’AC: tra i donatori ci sono contractors dell’esercito quali Lockheed Martin, Boeing e Raytheon, tutte aziende che traggono profitto dalle tensioni internazionali con potenze quali Russia e Cina. Nel frattempo, in aggiunta alla NATO stessa, ci sono pagamenti compiuti dal Dipartimento di Stato USA, dall’US Air Force, dall’esercito e dalla marina.
Altri importanti finanziatori includono il governo degli Emirati Arabi Uniti, il quale è, ovviamente, una monarchia assoluta. E altro denaro degli Emirati arriva attraverso la compagna petrolifera di stato e la Crescent Petroleum. Anche il Marocco, paese non troppo noto per le sue libertà, getta altro denaro nel cesto delle offerte.
Ed ecco l’assurdità insita nell’approccio di Facebook. Ha consegnato il controllo ad attivisti finanziati da nemici della democrazia, ed entità che traggono beneficio alimentando l’isteria sulle presunte interferenze estere nelle elezioni occidentali. Senza dimenticare, naturalmente, come gli USA stessi abbiano una lunga storia di interferenze nelle elezioni altrui.
Per di più, la scarsità di copertura mediatica occidentale dell’annuncio di giovedì è allarmante, perché i grandi media come la CNN, il Washington Post, la BBC e il New York Times (che usano spesso lobbisti dell’AC come ospiti, “esperti” o analisti) hanno più o meno ignorato la notizia. E i media che l’hanno rilanciata, come CNET e The Hill, non hanno fatto riferimento all’agenda del think tank. In particolare, l’influente rivista dei media Adweek ha persino iniziato il suo servizio descrivendo il gruppo di lobby come “neutrale”.
Ora, se sei a Washington, “neutrale” significa non supportare né i democratici né i repubblicani, ma nel resto del mondo l’AC è chiaramente di parte. Perché esiste per promuovere, attraverso la NATO, gli obiettivi della politica estera americana, particolarmente in Europa. E, siamo chiari, senza Mosca come nemico, la NATO smette di esistere. Il che significa che colpire la Russia è una questione di vita o di morte per l’Atlantic Council.
Di conseguenza, i nuovi partner di Facebook hanno un interesse particolare nel creare l’impressione che Mosca stia interferendo nelle elezioni occidentali. Infatti, dati i tassi di penetrazione della piattaforma nel paese stesso, ora hanno anche il potere di interferire nei sondaggi della Russia stessa. La cosa non è sfuggita ai funzionari di Mosca, che stanno tenendo d’occhio lo sviluppo della cosa.
Per quanto riguarda il motivo per cui è stato scelto il Consiglio Atlantico? Bene, solo il mese scorso Mark Zuckerberg è stato oggetto di un’intenso interrogatorio alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. E quale modo migliore, per placare le paure dell’establishment di Washington, che impiegare dei lavoratori della stessa propaganda della NATO come controllori delle notizie?
(da ZeroHedge – traduzione di Federico Bezzi)