venerdì 28 giugno 2019

HAI UN CARATTERE FORTE? IN PRIGIONE!

LIBERTÀ PER VINCENZO NARDULLI

È da qualche ora che stiamo continuamente rileggendo la documentazione riguardante il rigetto dell 'Istanza di scarcerazione per il Camerata Vincenzo Nardulli, Responsabile Nazionale della Nostra Comunità.
Assurdi sono i motivi per cui Vincenzo si trova agli arresti domiciliari... Ma ancor più lo sono le "motivazioni" di questo rigetto :
si fa riferimento al carattere forte e determinato di Vincenzo, mistificandolo in maniera negativa ed appellandolo come "prepotente ed aggressivo con le persone"...
Questo per "giustificare" il rigetto dell'istanza in cui si chiedeva una misura meno restrittiva degli arresti domiciliari, in attesa del processo che si terrà a settembre.
Ci aspettavamo delle motivazioni inerenti il Diritto, e ci troviamo invece di fronte a delle motivazioni che afferiscono alla sfera strettamente personale, all'indole, al cararattere Forte e Determinato di Vincenzo, con un giudizio mistificatorio, subdolo e fuorviante rispetto alla Realtà e alla Giustizia
Come se bastasse il Carattere Forte di un Uomo per sbatterlo in galera...
Sappiamo per certo che Vincenzo darebbe la vita per la Nostra Comunità e i Suoi Valori, e che non è un Uomo che si autocommisera piangendosi addosso
E sappiamo altrettanto per certissimo che la "colpa" di Vincenzo (e di Giuliano Castellino) è quella di aver strenuamente difeso quei Valori per Noi Irrinunciabili, oltretutto nel momento in cui si commemoravano i Nostri Ragazzi morti ammazzati dall'odio comunista e del sistema.


Potevamo citare gli innumerevoli casi di pluriomicidi che tuttora sono in libertà ...
Abbiamo preferito aprire con la canzone di Edoardo Bennato, che beffardamente canta di come sia facile facile passare per colpevoli quando invece si è Innocenti e vittime, quando ci si è solo unicamente difesi dallo sciacallaggio di un gruppo di scribacchini che si fanno chiamare giornalisti.
Questo col Sorriso, nonostante tutto.
Perché lo Stile Avanguardista non augura la galera a nessuno.
Nemmeno al suo peggior nemico

Comunità Avanguardia Norditalia

martedì 25 giugno 2019

"IL CUORE NERO DELLA CITTA'", OVVERO QUELLO CHE SANNO ANCHE I SASSI



Un primo commento al libro "rivelazione" "il cuore nero della città" di Federico Gervasoni.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

"Innanzi tutto non ci vuole molto a leggerlo perchè se si escludono prefazioni e postfazioni i capitoli sono tre per un totale di 70 pagine (formato A6 e scritto anche con caratteri larghi).
Io l'ho letto in circa 20 minuti.
Nell'esposizione si guarda bene da fare asserzioni che potrebbero portarlo in tribunale, riferisce di fatti noti e stranoti. Con alcune imprecisioni.
Riferisce di essersi infiltrato per anni nelle organizzazioni di estrema destra, ma nessuno si ricorda di lui.
Riferisce di incontri segreti quando erano pubblicati dati e luoghi e la DIGOS ne era sempre stata a conoscenza. Riferisce dei contenuti di questi incontri ma non vi ha mai preso parte.
Fa (un) nome di persona soggetta ad indagine, con tanto di premessa che bisogna fino a sentenza ritenerlo innocente. Ma il nome lo fa ugualmente.
Ma ciliegina sulla torta ...
arriva a riferire di un incontro a Roma con "centinaia" di avanguardisti. Come infiltrato era troppo emozionato per contarli correttamente?
Cita ovviamente delle minacce ricevute e degli insulti, ma quando la Direttrice del Giornale di Brescia gli ha chiesto quali fossero, la risposta ha sollecitato ilarità anche al presidente di Radio Onda D'Urto.
In ultimo si dimentica che la sentenza di scioglimento di Avanguardia non ha determinato come pena accessoria la morte e la cancellazione dall'umana memoria di tutti gli aderenti.
Se sono commessi reati è la magistratura che deve occuparsene, ma se non vi sono problemi al fatto che brigatisti con una sfilza di omicidi sulle spalle si ritrovino nella trattoria dove sono state fondate le BR (anche quello pubblicato sulla Stampa ma non da lui), perchè dovrebbero esserci problemi se si ritrovano i passati appartenenti ad una organizzazione a cui non è stato imputato un solo omicidio.
Concludo per non essere prolisso, giornalismo è scoprire fatti sconosciuti e renderli pubblici, non incollare ciò che anche i sassi sanno.
Se Gervasoni avesse voluto approfondire poteva benissimo intervistare anche gli attori della vicenda, la sua incolumità non sarebbe sicuramente stata messa in pericolo."

domenica 16 giugno 2019

martedì 28 maggio 2019

A GIANCARLO ESPOSTI


UCCISO DALLO STATO 45 ANNI FA



Il 30 maggio 1974 venne ucciso il combattente.
Morto, cercarono d'incastrarlo per depistare
le loro stragi schifose ma il tentativo fallì.
Sepolto, è stato dimenticato.
Perché non era un morto comodo per il maquillage politicamente corretto di chi ha scalato la società avendo come base le nostre magnifiche tragedie.
Lo hanno quindi dimenticato,
per noi invece è sempre Presente!



IN RICORDO DI GIANCARLO ESPOSTI 
30 MAGGIO 1974
« Il 30 maggio 1974 venne ucciso a Pian del Rascino, in provincia di Rieti, Giancarlo Esposti, militante di Avanguardia Nazionale. 
« Cecchinato» a freddo dal tiratore scelto dei carabinieri, maresciallo Filippi. L’episodio, frettolosamente archiviato come conflitto a fuoco, avvenne due giorni dopo l’attentato di Piazza della Loggia a Brescia. 
L’identikit (a volto sbarbato) del giovane era apparso su tutti i giornali.

Quindi era « wanted» e non vivo o morto, ma solo morto.

Nell’intenzione dei solerti « operatori di giustizia» , era stato prescelto come lo stragista, e la sua morte tra i monti del reatino avrebbe dovuto costituire il suggello di una ben congegnata operazione a regia, diretta ad attribuire ai fascisti la responsabilità della strage di Brescia.

Gli « operatori» ignoravano soltanto il fatto che Giancarlo Esposti si era lasciato crescere una folta barba…» 

(Paolo Signorelli-Di Professione Imputato-Edizioni Sonda 1996).

Giancarlo oggi è sepolto a Lodi, sua città natale.

A Pian del Rascino venne ucciso Giancarlo Esposti e i servizi provarono a perfezionare una macchinazione diabolica. 

Il 18 maggio 1974 la polizia di Taviani, il ministro degli interni già capo partigiano, tra i brandelli di carne e metallo in cui vennero rinvenuti i resti di Silvio Ferrari, un giovane ordinovista saltato in aria sulla sua motocicletta in circostanze non chiare, "trovò" miracolosamente intatta una copia del giornale Anno Zero. Sulla base di questo miracoloso gioco di prestigio partì il teorema dello stragismo “neonazista”. Perché lo stragismo? Già sapeva, quella polizia, che dopo qualche giorno sarebbe stata perpetrata una strage. Il cui effetto fu il superamento della contrapposizione Dc-Pci e il varo, quell'estate, del "compromesso storico".

Dieci giorni dopo la morte di Silvio Ferrari, infatti, il giorno 28, venne perpetrata a Brescia, in Piazza della Loggia la prima di due stragi (Brescia e Italicus) che in quattro mesi avrebbero aperto la strada ai “governi di unità nazionale” con il partito comunista. Per la prima volta dopo un secolo di manifestazioni in Piazza delle Loggia, quel giorno le forze dell'ordine si schierarono in un posto diverso da quello occupato per consuetudine. E proprio lì, dove era uso che si schierassero, ma non lo fecero, l'ordigno esplose: oltretutto era nascosto in un cestino da poco perquisito.

Due giorni più tardi, il 30, venne ucciso dai gruppi speciali dei carabinieri a Pian del Rascino, nel reatino, Giancarlo Esposti cui si cercò di attribuire la strage; ma l'identikit che fu dettato al “testimone” che secondo i piani doveva addossargli la responsabilità dell'eccidio si rivelò inservibile perché Esposti che, morto, non poteva più difendersi, si era fatto crescere la barba da un mese, particolare che i depistatori ignoravano e che neutralizzò il loro tentativo d'incastro.


 

L’anno 1974 fu segnato da numerosi attentati dinamitardi in Italia, soprattutto nella città di Brescia. L’episodio, che spinse il “Cupa”, Comitato unitario permanente antifascista, a convocare una grande manifestazione antifascista per il 28 maggio a Piazza della Loggia, fu la morte di un giovane neofascista, Silvio Ferrari, appartenente a Ordine Nuovo, saltato in aria, la notte tra il 18 e 19 maggio, con il suo ciclomotore mentre trasportava un ordigno ad alto potenziale.

Nonostante la giornata piovosa, alla manifestazione erano presenti più di duemila e cinquecento persone, sul palco dirigenti dei comitati antifascisti, ma anche un folto gruppo di uomini delle forze dell’ordine. All’improvviso, da un cestino dei rifiuti collocato sotto ad un porticato, una grande esplosione che investì in pieno alcuni manifestanti. Il bilancio fu drammatico, otto morti e più di cento feriti.
Le prime indagini della Magistratura portarono subito alla pista dell’estrema destra. Tra i presunti responsabili anche un giovane “Sanbabilino”, Giancarlo Esposti. Figlio di un venditore di automobili di Lodi, da giovanissimo si iscrisse alla Giovine Italia, Avanguardia Nazionale, poi Ordine Nuovo. Protagonista di numerose iniziative politiche e non, fu arrestato più volte dalla Polizia.

Nel maggio del 1974, con l’arresto dei vertici del Movimento d’azione rivoluzionaria, Giancarlo Esposti, insieme ad altri camerati, lasciò Milano per fuggire verso l’Italia centrale. Dopo una settimana di soggiorno in un appartamento affittato nella frazione di Roiano di Campli in provincia di Teramo, decise di trovare un rifugio più sicuro.

Per evitare posti di blocco della polizia, fu costretto a percorrere sentieri tortuosi fino ad arrivare a Pian del Rascino, milletrecento metri di quota, in provincia di Rieti, dove piantò una tenda da campeggio e iniziò ad elaborare alcuni progetti rivoluzionari. Il Corpo Forestale, allertato dalla presenza di sconosciuti nel bosco, decise di effettuare un controllo solo la mattina del 30 maggio, due giorni dopo l’attentato a Brescia. Infatti, proprio in quelle ore, mentre Brescia piangeva i suoi caduti, Giancarlo Esposti, decise di lasciare la montagna per raggiungere Roma. Al suo ritorno, nell’accampamento, gli amici, non parlarono d’altro che della bomba esplosa a Piazza della Loggia e che quello poteva essere il segnale imminente di un colpo di Stato. Come programmato, all’alba del 30 maggio, sei carabinieri e tre guardie forestali giunsero nei pressi dell’accampamento. Ne scaturì un conflitto a fuoco. Giancarlo Esposti, nonostante le vistose ferite riportate, fu immobilizzato, inginocchiato e freddato con un colpo di pistola alla tempia.

Forse Giancarlo Esposti sapeva troppo, forse era un personaggio scomodo che doveva essere eliminato, perché quella spedizione, non fu altro che una vera e propria esecuzione.

 

Il 30 maggio 1974 a Pian del Rascino, nel Reatino, veniva ucciso da una pattuglia di Carabinieri Giancarlo Esposti, militante dell'ultradestra milanese.

Due giorni prima a Brescia era stata commessa la prima strage consociativa; ovvero il primo massacro volto a far passare nell'opinione pubblica italiana l'idea dell'opportunità di una coalizione tra “nemici” storici: Dc e Pci.

Compromesso Storico

Quel programma, definito appunto Compromesso Storico, era stato disegnato dal partito della Fiat, che si sobbarcò i debiti contratti dai comunisti dopo lo spaventoso aumento della vita susseguito alla Guerra del Kippur dell'autunno precedente e al consequenziale serrate degli Stati produttori del petrolio. Il patto fu quindi ideato dall'avvocato Agnelli e, con lui, da Giulio Andreotti e da Enrico Berlinguer.

Ai registi occulti, a quelli che, come Pasolini, potremmo dire che si sa bene chi siano ma se ne ignora il nome, al fine d'imboccare con successo di carriera la nuova strada parve necessario creare uno stato d'allarme generalizzato e così pensarono di riproporre uno scenario da primavera '45: unità nazionale contro un'eversione nazifascista che fu esaltata appositamente e dipinta appunto come stragista. Per la 

salvaguardia della democrazia e per la difesa della sicurezza pubblica tutti avrebbero finito con l'accettare senza troppe resistenze l'abbraccio improvviso tra gli storici rivali.

E i garanti di quest'unità avrebbero così non solo mantenuto ma addirittura consolidato il loro ruolo di registi occulti.

Così maturarono la strage di Brescia e, due mesi e una settimana più tardi, quella del treno Italicus: stragi che portarono il Partito comunista in area di governo e ve lo lasciarono per anni; fino a quando i poteri forti lo ritennero opportuno.

Il fiasco dell'identikit

La morte di Esposti si presentò come un'occasione unica per i direttori d'orchestra. 

Le strutture “deviate”, deputate a inquinare le indagini e a indirizzarle sempre in un vicolo cieco, pubblicarono immediatamente l'identikit dell'autore del massacro di Piazza della Loggia: era la fotocopia di Giancarlo Esposti.

Ma, come sa il popolo che esprime la voce di Dio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.

Esposti si era lasciato crescere la barba da più di un mese e nell'identikit di colui che doveva essere lo stragista di soli due giorni prima non c'era un solo pelo sulle guance e sul mento. Troppo palese l'esecuzione a comando del portrait-robot, realizzato in ufficio da una foto segnaletica e non frutto di una testimonianza oculare, perché gli agenti devianti e le loro casse di risonanza facessero altro che una fischiettante fuga alla chetichella.

Il particolare da allora è stato scandalosamente rimosso mentre invece, a ben trentasei anni di distanza, gli eredi canuti del non ancor tramontato partito dei devianti tuttora si affannano a cercare tra delinquenti comuni presunti “collaboratori di giustizia” che non parlano di fatti concreti o di episodi tangibili ma riportano frasi imprecise - e tra l'altro mai documentate – che dovrebbero in qualche modo tenere in piedi l'architettura corrosa e traballante dello stragismo nero.

In altri Paesi dove uno straccio di Stato esiste, una volta che i devianti si sono fatti cogliere con le mani nel sacco sono squalificati a vita. In Italia, da oltre sei decenni Paese-colonia gestito da cosche, è invece possibile anche questo.

E se è possibile ancora oggi insistere con faccia di tolla a proporre l'improponibile, figuriamoci allora!

La caccia alle streghe

L'incastro di Esposti, morto e quindi non in grado di rispondere alle accuse, fallì miseramente.

Ciò non ostò alla caccia alle streghe organizzata in grande stile dal ministro degli interni dell'epoca, il capo partigiano Paolo Emilio Taviani con il varo degli arresti indiscriminati per il semplice possesso di una copia di un giornale – autorizzato! – di marca “nazifascista”.

Sarebbe divertente sapere che cos' hanno da dire i Di Pietro vari a commento di una serie di arresti illegali compiuti in nome di uno stato eccezionale di polizia che sbeffeggiava letteralmente le leggi e le autorizzazioni dei Tribunali.

Da quel giorno si varò l'epurazione selvaggia, una riedizione in sedicesimo del biennio post-bellico e s'incoraggiò parimenti la follia dell'uccidere un fascista non è reato, di cui si aveva già avuto un chiaro sentore un anno prima con il rogo di Primavalle.

Il sangue scorse a fiotti e sappiamo che lo dobbiamo – tutto – a coloro che abusarono dei poteri istituzionali usandoli non in logica di Stato, come ha sostenuto, sbagliandosi, una fiorente letteratura d'inchiesta prodotta a sinistra, ma in logica di Anti-Stato.

O, se vogliamo, in logica d'obbedienza a qualche altro Stato, che non sempre né soprattutto fu quello americano e quasi mai il sovietico.

E se domani

Confidiamo che un giorno quella storia verrà finalmente conosciuta così come veramente si svolse.

Troppo tardi forse perché qualche centinaio di individui potenti e ignominiosi paghi il fio delle proprie colpe, ma non perché la verità affermi la dignità di chi è stato accusato ingiustamente e fotografi la miseria umana di certi paladini della democrazia.

Noreporter









"Piuttosto morire
 per mantenere una parola 
che morire da traditore!"

IMPRESSIONE
Fa impressione entrare in un cimitero un sabato pomeriggio.
Due tombe.
L'una di quello ucciso a sprangate,  l'altra di quello ucciso a revolverate.
L'uno ucciso dagli uomini in rosso, l'altro da quelli che il rosso in riga  l'hanno sui pantaloni.
Forse erano fratelli, forse no, ma tutti e due li hanno seppelliti di notte perché di giorno gli uomini rossi e quelli dalla rossa riga, ai feretri volevano dare tormento.
Fa impressione che l'una abbia fiori freschi, corone, pergamene votive sole in faccia e per corona l'intera famiglia.
E l'altra,  l'altra no.
L'altra è giù,  al fondo di un cunicolo un labirinto di colombari  bisogna attraversare per trovarla in basso, quasi rasoterra  come se per chi l'abita fosse ancora e sempre maggio.
Disadorna e un po' malmessa ha fiori secchi e foto sbiadita.
Fa impressione  saperti lì dietro una lapide incrinata a fare da scudo al tuo sorriso mai spento
Mi si è impressa l'anima fratello di passate primavere, ora che l'autunno è arrivato a preannunciarmi l'inverno.
Ma oggi, oggi per noi è ancora primavera:  lo dicono freschi i fiori.
Maurizio Murelli

3 giugno 2016
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VISITA IL SITO :
 "Un uomo da perdere"
Fabrizio Marzi
Come Pietro vi ho rinnegato
nell'alba del giorno dell'ira:
Mi sono aggrappato al buon senso,
mi sono sentito diverso.
Ho detto che avete sbagliato
prestando la vostra divisa
cucita di sangue e di sogni
a chi vi ha rubato la vita.
A chi vi ha mandato a morire
nel nome di un "ordine nuovo"
coi soldi del nostro nemico
giocando col vostro destino.
Sei morto con un colpo alla testa
e non ci potrai raccontare
la storia di un uomo bruciato
con Rover, mimetica e "sten".
E dietro al complotto sventato
chi c'era a tirare le fila
e dentro alla grande retata
i pesci chi sono e perché?
Ma so dove sta la ragione
soltanto perché ho rinunciato
tra ufficio, famiglia e carriera
a rabbia, speranza ed onore.
Ma il cuore è un po' matto
e il passato ritorna per battere forte,
ricorda le scelte di vita,
le inutili sfide alla morte.
Non puoi condannare te stesso,
spiegare le trame sottili
con logica fredda di toga,
con logica grassa di fifa.
E piango, ragazzo bruciato,
ultrà di un "commando" sbagliato,
se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato.
Se t'hanno fregato non conta: lo stile di vita è salvato



sabato 18 maggio 2019

NOI NON VOTIAMO



Perché NOI non siamo di destra
Saremo anche Pazzi, Sognatori 
e "non furbi" come voi
Noi non voteremo
Perché 
Faremmo un torto 
a Noi stessi
alla Nostra Idea del mondo, 
al Nostro Sentire, 
Ai 43 Ragazzi massacrati a Rovetta            il 28 aprile 1945
A Pierluigi Pagliai 
A Umberto Vivirito 
A Giancarlo Esposti

E a  tutti i Camerati Assassinati 
a cui non interessava 
modificare questo sistema

E l'abbiamo pure visto
che quando "non servi piu"
....
2 calci nel culo e ti mandano a cuccia


Siamo Pazzi 
E lo sappiamo

E va bene così 

lunedì 29 aprile 2019

1 MAGGIO : CORTEO E COMIZIO - Non solo bandiere rosse


Primo maggio a Trieste: non sfilano solo bandiere rosse, non è monopolio di una sinistra allo sbando, che nulla ha fatto per conservare un minimo di giustizia sociale, che ha come riferimenti esclusivamente antifascismo e antirazzismo, e al soldo del grande capitale, di lobbies economiche e poteri forti.
Parteciperà una delegazione della Comunità Avanguardia Norditalia

venerdì 26 aprile 2019

LA REPUBBLICA = INFAMI . ONORE A SERGIO RAMELLI





Il pennivendolo di Repubblica scrive che Sergio Ramelli e' stato ucciso durante scontri in piazza con avanguardia operaia.
Sergio e' stato ucciso durante un agguato antifascista di avanguardia operaia,con chiavi inglesi che gli hanno devastato la testa, ed e' morto dopo 40gg di agonia

ONORE A SERGIO RAMELLI





REPUBBLICA INFAME 
GIORNALISTA INFAME