martedì 20 marzo 2018

SE OGGI CI FOSSE CESARE MORI ...

 
 

IL 21 MARZO . . . E CESARE MORI

 
Tanti si chiederanno il perchè di questo titolo:
perchè abbinare il 21 Marzo al Prefetto Mori ?
Perchè oggi è la Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che dal 2016 lo Stato italiano ha riconosciuto come celebrazione nazionale fissata al 21 marzo
 
SE AVESSIMO AVUTO TANTI COME LUI 
NON CI SAREBBE STATO
BISOGNO DI QUESTA GIORNATA
PERCHE' LA MAFIA SAREBBE MORTA E SEPOLTA
  
Mori, uomo scomodo come tanti, morì dimenticato dalle istituzioni
 ma il suo operato,al servizio della società civile
non si potrà mai dimenticare:
 fu capace di stroncare le ali alla mafia e tenerla a bada per almeno dieci anni.
 Chissà cosa sarebbe oggi l'Italia
se ai vertici avessimo avuto tanti Cesare Mori
  





Cesare Primo Mori -Pavia, 22 dicembre 1871 – Udine, 6 luglio 1942- 

Nei primi anni di vita crebbe nel brefotrofio di Pavia con i nome e cognomi provvisori Primo Nerbi (in quanto fu il primo orfano ad essere accolto: Primo resterà comunque il suo secondo nome); fu riconosciuto dai suoi genitori naturali nell'ottobre del 1879. Studiò presso l'Accademia Militare di Torino, ma avendo sposato una ragazza, Angelina Salvi, che non disponeva della dote richiesta dai regolamenti militari dell'epoca, dovette dimettersi. Passò quindi in polizia, operando prima a Ravenna, poi, nel 1904, a Castelvetrano, in provincia di Trapani.

A Castelvetrano, nel trapanese, Mori cominciò subito ad agire energicamente, usando quegli stessi metodi decisi, inflessibili e poco ortodossi che riprenderà - con un'autorità ed una libertà di azione incomparabilmente superiori - molti anni dopo in tutta la Sicilia. Compì numerosi arresti e sfuggì a vari attentati: fu infinite volte denunciato per Abuso di potere ma sempre assolto; una volta fu anche rinviato a giudizio ma fu fatta una particolare amnistia.[senza fonte]

Scrisse il Procuratore Generale di Palermo:
« Finalmente abbiamo a Trapani un uomo che non esita a colpire la mafia dovunque essa si alligni. Peccato, purtroppo, che vi siano sempre i cosiddetti "deputati della rapina" contro di lui... »
Mori fu poi trasferito a Firenze nel gennaio del 1915, con la carica di vicequestore. In seguito ad un inasprimento della situazione in Sicilia, coincidente con l'inizio della guerra, vi fu rimandato al comando di squadre speciali mirate ad una campagna contro il brigantaggio le cui file si erano ingrossate con i renitenti alla leva. Nel corso dei suoi rastrellamenti, Mori si distinse ancora una volta per i suoi metodi energici e radicali. A Caltabellotta, in una sola notte, fece arrestare più di 300 persone; nel complesso, ottenne risultati molto positivi. Quando i giornali parlarono di "Colpo mortale alla mafia", Mori dichiarò ad un suo collaboratore: 
« Costoro non hanno ancora capito che i briganti e la mafia sono due cose diverse. Noi abbiamo colpito i primi che, indubbiamente, rappresentano l'aspetto più vistoso della malvivenza siciliana, ma non il più pericoloso. Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero. »
Promosso e decorato con medaglia d'argento al valore militare, Mori passò successivamente a Torino come questore, poi a Roma e a Bologna.
Con la carica di Prefetto di Bologna dall'8/2/1921 al 20/8/1922, Cesare Mori fu - da ligio servitore dello Stato deciso ad applicare la legge in modo inflessibile - tra i pochi membri delle forze dell'ordine ad opporsi allo squadrismo dei fascisti.
Il crescendo della tensione politica avvenne in seguito al ferimento di Guido Oggioni, fascista e vicecomandante della "Sempre Pronti", mentre tornava da una spedizione punitiva contro i "rossi", e all'uccisione di Celestino Cavedoni, segretario del Fascio. Mori si oppose alle rappresaglie violente e alle spedizioni punitive dei fascisti, inviando contro di loro la polizia, e fu per questo ampiamente contestato. Ad un ufficiale che gli confessava di supportare la "gioventù nazionale" di Mussolini, Mori avrebbe risposto equiparando i fascisti ai "rossi":
Si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie.
Per la sua fama di uomo energico e di uomo non siciliano (non in contatto con la mafia locale) ma conoscitore della Sicilia, fu richiamato in servizio all'inizio di giugno del 1924 dal ministro dell'Interno Federzoni. Fu nominato prefetto e inviato a Trapani, dove arrivò il 2 giugno 1924 e dove rimase fino al 12 ottobre 1925. Come primo provvedimento ritira subito tutti i permessi d'armi, e nel gennaio 1925 nomina una commissione provinciale che provvede ai nullaosta che rende obbligatori per il campieraggio e la guardianìa, attività tradizionalmente controllate dalla mafia.
Dopo l'ottimo lavoro in provincia di Trapani, il 20 ottobre 1925 Benito Mussolini nomina Mori prefetto di Palermo, con poteri straordinari e con competenza estesa a tutta la Sicilia, al fine di sradicare il fenomeno mafioso nell'isola. Questo il testo del telegramma inviato da Mussolini: «vostra Eccellenza ha carta bianca, l'autorità dello Stato deve essere assolutamente, ripeto assolutamente, ristabilita in Sicilia. Se le leggi attualmente in vigore la ostacoleranno, non costituirà problema, noi faremo nuove leggi».
Mori si insediò quindi a Palermo il 1 novembre dello stesso anno e vi rimase fino al 1929. Qui attuò una durissima repressione verso la malavita e la mafia, colpendo anche bande di briganti e signorotti locali, anche attraverso metodi extralegali (fra cui la tortura, la cattura di ostaggi fra i civili e il ricatto), con l'esplicito appoggio di Mussolini, otterrà significativi risultati e la sua azione continuerà per tutto il biennio 1926-27. Secondo Saverio Lodato e Marco Travaglio "spesso, al prefetto di ferro scivolava la mano anche nei confronti degli oppositori politici - socialisti e comunisti - nell'illusione che la lotta alla mafia desse la possibilità di fare due servizi con un viaggio solo", sebbene Mori "arrestava anche fascisti, se per questo: convinto che la mafia sin da allora fosse trasversale agli schieramenti politici". Il 1º gennaio 1926 compì quella che è probabilmente la sua più famosa azione, e cioè l'occupazione di Gangi, paese roccaforte di numerosi gruppi criminali. Con numerosi uomini dei Carabinieri e della Polizia passò quindi al rastrellamento del paese casa per casa, arrestando banditi, mafiosi e latitanti vari. 
I metodi attuati durante quest'azione furono particolarmente duri e Mori non esitò ad usare donne e bambini come ostaggi per costringere i malavitosi ad arrendersi. Fu proprio per la durezza dei metodi utilizzati che venne soprannominato Prefetto di Ferro.
Anche nei tribunali le condanne per i mafiosi cominciarono a essere durissime. Fra le "vittime eccellenti" iniziano a figurare anche personalità del calibro del generale di Corpo d'Armata, ed ex ministro, Antonino Di Giorgio, il quale chiede il sostegno, in un colloquio riservato, di Mussolini, cosa che non impedirà né il processo né il pensionamento anticipato dell'alto ufficiale e le dimissioni da deputato nel 1928. Ben presto però circoli politico-affaristici di area fascista collusi con la mafia riescono a indirizzare, tramite attività di dossieraggio, le indagini di Mori e del procuratore generale Luigi Giampietro sull'ala radicale del fascismo siciliano, coinvolgendo anche il federale e deputato del PNF Alfredo Cucco, uno dei massimi esponenti del fascio dell'isola. Cucco nel 1927 viene addirittura espulso dal PNF e dalla Camera "per indegnità morale" e sottoposto a processo con l'accusa di aver ricevuto denaro e favori dalla mafia, venendo assolto in appello quattro anni dopo, ma nel frattempo il fascio siciliano è stato decapitato dei suoi elementi radicali. L'eliminazione di Cucco dalla vita politica dell'isola favorisce l'insediamento nel PNF siciliano dei latifondisti dell'Isola, talvolta essi stessi collusi o quantomeno contigui alla mafia.
A questa azione si aggiunge quella delle "lettere anonime" tempestano le scrivanie di Mussolini e del ministro della Giustizia Alfredo Rocco, avvisando dell'esasperazione dei palermitani e minacciando rivolte se l'operato eccessivamente moralistico di Giampietro non si fosse moderato. Contestualmente il processo a Cucco si rivela uno scandalo, nel quale Mori viene dipinto dagli avvocati di Cucco come un persecutore politicoe nel 1929 Mussolini decide di porre a riposo il prefetto Mori facendolo cooptare nel Senato del Regno. La propaganda fascista dichiara orgogliosa che la mafia è stata sconfitta: tuttavia l'attività di Mori e Giampietro aveva avuto drastici effetti soltanto su figure di secondo piano, lasciando in parte intatta la cosiddetta "cupola" (composta da notabili, latifondisti e politici), la quale riuscì a reagire attraverso l'eliminazione di Cucco, e così addirittura installarsi all'interno delle federazioni del fascio siciliane.
Ancora oggi si discute sui metodi impiegati da Mori nella sua lotta al fenomeno mafioso. È indubbio che la sua azione fu vigorosa ed efficace: ebbe la fama di personaggio scomodo per la sua capacità di colpire molto in alto, senza curarsi dell'opposizione di molti fascisti della prima ora.

Alla fine degli anni venti, il "prefetto di ferro" era un personaggio estremamente noto ed alcune sue imprese, che la macchina propagandistica del regime copriva di consensi plebiscitari, erano giunte a rasentare la popolarità di Mussolini. Cesare Mori non si fece problemi nemmeno a perseguire (con il consenso del Duce) sia l'uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, sia l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio.
Molti mafiosi dovettero emigrare negli Stati Uniti dove diedero origine alla Cosa Nostra americana.
I cardini principali dell'azione di Mori - forte della carta bianca che gli era stata attribuita, e assistito da uomini quali il nuovo Procuratore Generale di Palermo da lui nominato, Luigi Giampietro, e il delegato calabrese Francesco Spanò - furono:
• Cogliere un primo importante successo con un'operazione in grande stile per riaffermare l'Autorità dello Stato e dare un segnale forte (l'occupazione di Gangi). 
• Riottenere l'appoggio della popolazione impegnandola direttamente nella lotta alla mafia. 
• Creare un ambiente culturalmente ostile alla mafia, combattendo l'omertà e curando l'educazione dei giovani e stimolando la ribellione contro la mafia 
• Combattere la mafia nella consistenza patrimoniale e nella rete di interessi economici. 
• Ripristinare il normale funzionamento e sviluppo delle attività produttive della Sicilia 
• Condannare con pene severe e implacabili i criminali sconfiggendo il clima di impunità. 
La sua strategia si basava anche sul seguente schema: i mafiosi appartenevano essenzialmente al ceto medio rurale (gabelloti, campieri, guardiani e sovrastanti) e tenevano in soggezione sia i grandi proprietari, sia i ceti più poveri. Eliminato il "ceto medio mafioso", i latifondisti si sarebbero liberati del doppio ruolo di vittime dei mafiosi e, al tempo stesso, di bersagli della rabbia popolare che li vedeva in combutta con la mafia.
L'azione di Mori si rivelò in tutta la sua clamorosa efficacia sin dal primo anno: nella sola provincia di Palermo gli omicidi scesero da 268 nel 1925 a 77 nel 1926, le rapine da 298 a 46, e anche altri crimini diminuirono drasticamente. 
Pentiti mafiosi hanno riconosciuto il grave stato di difficoltà nella mafia dopo quegli anni. 
Mori non si occupò solo degli strati più bassi della mafia, ma anche delle sue connessioni con la politica - portando lo stesso Mussolini a sciogliere il Fascio di Palermo ed espellere Cucco, che pure era membro del Gran Consiglio del Fascismo, dal PNF.
Dopo il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori: 
« Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere... »
In realtà i vertici della mafia avevano piegato il capo sotto la repressione, e colsero l'occasione dello sbarco degli Alleati in Sicilia per rialzare la testa, con gli Statunitensi che spesso li misero ai vertici delle amministrazioni locali siciliane, come sicuri antifascisti.
Come senatore continuò a occuparsi dei problemi della Sicilia, sui quali seguitò a rimanere ben informato, ma ormai senza potere effettivo e sostanzialmente emarginato.
« La misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura »
(Cesare Mori)
La sua abitudine di sollevare il problema della mafia era vista con fastidio dalle autorità fasciste, tanto che fu invitato a "non parlare più di una vergogna che il fascismo ha cancellato". Mori scrisse le sue memorie nel 1932 e il suo libro più famoso fu Con la mafia ai ferri corti (ripubblicato nel 1993 dall'editore Pagano di Napoli).
Nel novembre 1929 Mori, insieme a tre fidati collaboratori, giunse in Friuli con l'incarico di presiedere il neo costituito Consorzio di 2° grado che, sovrapponendosi al Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana, aveva la funzione di controllare la litigiosità dei proprietari che aveva provocato la paralisi dei lavori. Le premesse: nel 1925 una società con capitale milanese aveva presentato un progetto per la bonifica della Bassa friulana, che prevedeva la creazione di aziende di medie dimensioni condotte ad economia. Immediata la reazione dei proprietari, che temevano che l'iniziativa minasse l'istituto della mezzadria che intendevano difendere a ogni costo, e che presentarono a loro volta un progetto raffazzonato per bloccare l'iniziativa dei milanesi. L'operazione riuscì perché la legge Serpieri dava il diritto di prelazione ai proprietari, ma con risultati deludenti. Per quello la creazione del consorzio di 2° grado e la convocazione di Mori, la cui azione, rafforzata dal suo prestigio e dal suo decisionismo, fu importante, anche perché ottenne da Arrigo Serpieri (il creatore della legge sulla bonifica integrale che porta il suo nome) che i pareri dei proprietari avessero solo valore consultivo. Le guerre per l'impero e le conseguenti spese rallentarono enormemente le bonifiche: oramai si trattava (come disse in suo discorso al Senato) di "fermare razionalmente", cioè mettere a frutto ciò che era già stato fatto. Morì il 5 luglio 1942, due giorni dopo aver firmato l'ultima delibera del Consorzio che dirigeva. È sepolto a Pavia.
 

 






Articolo tratto da RINASCITA

 
a cura di Paolo Francesco Lo Dico
 
Cesare Primo Mori nasce il 22 dicembre 1871 a Pavia, ma viene riconosciuto dai genitori Felice e Pizzamiglio Rachele nell’ottobre del 1879.
Primo Nerbi saranno il nome e cognome provvisori del bambino nel periodo in cui vive nel brefotrofio di Pavia.
Il giovane, alto, diritto, volto energico, occhio sereno con riflessi d’acciaio, nel 1889 viene ammesso all’Accademia Militare di Torino. Nel 1895 è nominato tenente di artiglieria e assegnato a Taranto dove ottiene la prima medaglia al valore. Qui conosce Angelina Salvi che diventerà sua moglie, ma il regolamento del tempo lo costringe alle dimissioni per la dote non disponibile.
Cesare però manifesta la sua vocazione partecipando al concorso per entrare in Polizia, dove viene nominato Delegato di Pubblica Sicurezza e inviato in servizio a Ravenna.
Nel 1904 è assegnato con il grado di Commissario di P.S. a Castelvetrano (TP), compito che assolve con la stessa grinta e determinazione che mostrerà in seguito.
È deciso, coraggioso, incorruttibile e compie numerosi arresti. Subisce diversi attentati ma nessuno riesce a fermarlo. Spesso è costretto a usare metodi particolarmente duri e per questo è denunciato per abuso di potere, ma sarà successivamente assolto e amnistiato. Afferma il magistrato del distretto: “Abbiamo a Trapani un uomo che colpisce la mafia ovunque annidata!”
Cesare Mori viene chiamato in servizio a Firenze nel 1915 in qualità di vice questore, ma proprio in questo periodo scoppia la guerra e in Sicilia si diffonde il cosiddetto “brigantaggio”, fenomeno favorito dall’elevato numero di giovani che diserta la leva. Pertanto il nostro viene rimandato in Sicilia, a Caltabellotta (AG).
E qui il vice questore mostra ancora una volta il suo valore riportando notevoli successi, che gli valgono tra l’altro la medaglia al valore militare e la promozione a questore. Nell’occasione Mori dichiara che “il vero colpo mortale alla mafia lo daremo solamente quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma nelle prefetture, questure, palazzi padronali e ministeri!”.
Negli anni successivi lo ritroviamo in servizio presso le questure di Torino, Roma e infine a Bologna. Arriva frattanto il 1921, anno ricco di fermento sociale per via dell’accanita lotta tra la materia e lo spirito, che si incarna nelle schiere contrapposte del socialismo e del nazionalismo. Ex combattenti, arditi e reduci sono attaccati da forze antinazionali ma rispondono colpo su colpo. Gli scontri tra le parti sono violenti e il disordine impera.
E Cesare Mori, in qualità di Prefettissimo, trova in punta di diritto il modo migliore per ristabilire lo Stato di diritto: non fare sconti a nessuno e catalogare tutti i contendenti più scalmanati come “sovversivi”.
Il 28 ottobre 1922 il Duce viene chiamato a presiedere il governo della concordia nazionale e frattanto il Prefetto va in pensione e si ritira a Firenze conducendo una tranquilla vita coniugale. Qui scriverà il libro di analisi della mafia: Tra le zagare oltre la foschia (pubblicato nel ’23 dalla Carpignani e da La Zisa nel 1988, nda).
Mussolini, l’Uomo della Provvidenza, coagula in un riuscito amalgama le istanze socialiste e quelle nazionaliste. Il capitale viene messo al servizio del lavoro in una nuova dottrina che rompe le antiche diatribe: è il certificato di nascita del fascismo. Il Duce visita la Sicilia nel maggio 1924 e nell’occasione si rende conto dei problemi che attanagliano l’isola, e della maniera di poterne venire a capo. “Il popolo siciliano ha bisogno di strade, acqua, bonifica, incolumità. Il fascismo cauterizzerà se necessario col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana”, sentenziò Mussolini. Affidarsi al cauterio: bruciare ma risanare. Non c’era polso più adatto all’operazione che quello del soldato Cesare Mori.
Il 28 dello stesso mese il Prefetto viene richiamato in servizio e inviato a Trapani. Il 20 ottobre 1925 arriva a Palermo come Superprefetto con l’onere di una missione chiara per conto di Mussolini: eliminare la mafia dalla Sicilia in tutte le maniere possibili. Mori ha carta bianca, e dal 1 novembre 1925 fino al 1929 conduce una battaglia spietata, con metodi spesso poco ortodossi ma necessari, suscitati però dalla bisogna e adeguati a piegare la psicologia degli avversari.
Tra le battaglie del Prefetto d’assalto, va annoverata senz’altro quella epocale del 1926: l’assedio di Gangi (Pa) che porta alla cattura di centinaia di gregari e capi mafia. L’azione è svolta con il coordinamento unico di Carabinieri, Poliziotti e Camicie Nere scelti tra ex combattenti e reduci della vittoriosa Prima guerra mondiale. La legge è applicata alla lettera dalla magistratura di competenza, diretta dal procuratore generale, Luigi Giampietro. Anche alte personalità fra cui il generale, nonché ex ministro, Antonino Di Giorgio, sono inquisiti. La lotta non si caratterizza però soltanto come campagna di polizia ma anche come insurrezione di coscienze. Un’autentica rivolta di spirito che risulta decisiva per il successo. L’eco dell’impresa e il temperamento pugnace varranno a Mori l’epiteto che l’ha consegnato alla storia: Prefetto di Ferro. Il Prefetto contadino va incontro al popolo, esorta tutti a difendere la dignità dell’uomo, si mette alla guida dei mezzi agricoli nelle terre sottratte alla mafia, conduce la bonifica integrale con autentiche sagre popolari, concluse con rito religioso e giuramento di fedeltà allo Stato. Significativamente, Mori fa ammainare le bandiere rosse usate per le segnalazioni e saluta a braccio teso il tricolore a Roccapalumba, Piana dei Greci e a Palermo, in piazza Politeama.
La sua azione di polizia arriva fino ai colletti bianchi. La corsa è irrefrenabile, anche S.E. si rende conto di essere giunto alle soglie del possibile e per questo motivo chiede al capo del Governo il consenso alla prosecuzione.
La risposta è lapidaria: Non abbia riguardi né in alto né in basso.
Molti mafiosi cercano scampo in America. Antonio Calderone, pentito di mafia, ne “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi afferma: “I mafiosi erano usciti impoveriti dal fascismo. Mio zio Luigi, un capo, un’autorità, si era ridotto a fare il ladro per guadagnarsi il pane!”. Anche Alfredo Cucco, medico oculista, segretario e deputato del Pnf che alcune macchinazioni avevano tentato di mostrare colluso, viene punito con l’espulsione dal partito. (Successivamente sarà completamente scagionato e dimostrerà la sua fede aderendo alla Rsi, nda)
Nell’occasione del conferimento della laurea in legge “honoris causa” a Palermo, il neo-dottore Cesare Mori, dirà: “La mafia è una attitudine morbosa specifica di determinati elementi. La polizia è nella funzione, civile milizia; nel fatto, azione. La mafia dà i sacerdoti, la malvivenza i fedeli”.
“Si poteva dormire con le porte aperte” e pertanto “santo” Mori aveva compiuto il miracolo. L’Italia gli è riconoscente, Mussolini lo fa nominare Senatore del Regno.
Adesso tocca allo Stato immettere la Sicilia nel giusto cammino verso il progresso di tutta la Nazione. Attacco e polverizzazione del latifondo e bonifica integrale, costruzione di infrastrutture per rendere competitiva l’agricoltura nell’ottica di inserimento nell’impresa africana.
Anche con questa carica, Mori si occupa della Sicilia ma dirà che “la misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura”.
Verso la fine del ‘29 viene nominato presidente del Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana conseguendo democratici ottimi risultati. Arrigo Serpieri, l’ideatore della legge sulla bonifica integrale, gli aveva concesso il valore consultivo dei proprietari.
Nel 1932 la Mondadori pubblica il libro Con la mafia ai ferri corti, dove tra l’altro Mori, per fugare qualsiasi dubbio o incertezza nei denigratori e zizzanieri, afferma che la lotta contro la mafia ha avuto successo perché combattuta dal regime fascista nel nome e per volontà del Duce.
Vive negli anni successivi con la moglie Angelina a Pagnacco, frazione di Tavagnacco (UD). S.E. Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, muore il 5 luglio 1942. Lascia una eredità materiale modestissima. Viene sepolto in una umile tomba a Pavia dove riposa il sonno degli Eroi.
Calogero Vizzini, capo mafia, dirà a Indro Montanelli in una sua intervista: “Si, di mano spiccia...ma òmmo era..”
Arrigo Petacco ha scritto il libro Il prefetto di ferro, pubblicato dalla Mondadori nel 1975. Pasquale Squitieri ne ha realizzato un film interpretato da Giuliano Gemma con musiche di Ennio Morricone.Inserisci link
Luglio 1943. I mafiosi aprono le porte della Sicilia agli invasori anglo-americani. Cesare Mori si rivolta nella tomba, il suo “spirto guerrier” freme, vorrebbe ancora combattere la mortale nemica…
Gangi grata ricorda l’epopea intestandogli una targa marmorea.
Il magistrato Giovanni Falcone, eroe vittima di mafia, qualche tempo prima di essere trucidato, alla domanda “chi glielo fa fare” rispose: “Il senso del servizio”. Allo stesso interrogativo il Prefetto di Ferro avrebbe aggiunto:
 “Per amore di Patria”.
 

 
 
 
 
 

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domenica 18 marzo 2018

QUEI PAPA' CHE IL 19 MARZO NON FESTEGGIANO


Chi sono i papà che il 19 marzo non fanno nessuna festa

Lunedì - festività di San Giuseppe - si svolgerà a Taranto un sit-in davanti al tribunale civile organizzata dai padri separati.  “La figura genitoriale del padre vale il 20% contro l’80% di quella della madre

Lunedì 19 marzo 4 milioni di padri separati trascorreranno un’altra festa del papà, in cui non ci sarà spazio per cioccolatini e bigliettini: per loro - ma solo per chi riuscirà a ottenerlo - il regalo più grande sarà quello di trascorrere la giornata insieme al proprio figlio. Sono i papà che ogni giorno, per anni, lottano in Aula e fuori dai tribunali contro le ex mogli e compagne - ma anche contro un sistema burocratico lento e contorto - per non essere tagliati fuori dalla vita dei propri figli.
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In strada a Taranto “nel nome dei figli” e dei papà

Ed è per loro, ma non solo, che lunedì l’associazione “Nel nome dei figli” scenderà per la prima volta in strada a Taranto per un sit-in davanti al Tribunale civile. “Vogliamo far capire a chi siede ai piani più alti che attualmente la legge non è uguale per tutti e che in queste battaglie le prime vittime sono i bambini che non hanno voce. Eppure se ci mettessimo dalla loro parte sarebbe tutto più facile”, spiega all’Agi Andrea Balsamo, uno degli organizzatori dell’evento insieme a Vito Ditaranto, entrambi presidenti dell’associazione. “Bisognerebbe riformare il diritto di famiglia, creare un tribunale specifico il cui scopo sarebbe quello di conciliare per il bene dei bambini. O semplicemente far rispettare le leggi”, continua Balsamo che denuncia una generale discriminazione in tribunale nei confronti dei papà.


“La figura genitoriale del padre vale il 20% contro l’80% di quella della madre”. Tuttavia, “la nostra associazione vuole dare voce non solo ai 4 milioni di papà, ma anche ai 4 milioni di mamme e ai 32 milioni di persone tra genitori, nonni, zii, fratelli, che ruotano intorno a queste situazioni complesse e che soffrono. Un messaggio che a giudicare dal numero di donne che hanno aderito alla manifestazione di lunedì è stato ben recepito”. Le lotte tra poveri - aggiunge Balsamo - non mi sono piaciute. Ogni padre (o madre) farebbe qualsiasi cosa pur di trascorrere del tempo con i propri figli. E pagherebbe qualsiasi prezzo. Questo è un dei motivi per cui le battaglie durano anni, avanzano a colpi di denunce e di sgarri, perdendo di vista l’obiettivo principale: il bene del bambino”. Intorno alle cause per l’affido, spiega l’organizzatore, “c’è un giro di affari che vale 5 miliardi, tra legali, periti, marche da bollo e tutto il resto. Gli stessi avvocati - non tutti, ovviamente, ma una buona parte - si mostrano del tutto interessati a fomentare il disaccordo tra i due genitori”. Cosa dovrebbe cambiare?


“Le leggi esistono, che vengano rispettate”

L’ultima riforma del diritto di famiglia risale agli anni ’80. Quanto alla “Legge 54 sull'affidamento condiviso” del 2006 “avrebbe potuto risolvere il problema, ma così non è stato”.  Di fatto “il bambino continua a vivere con la mamma e il papà a vederlo solo poche ore. Questo non vuol dire ‘affido condiviso’. È vero che la legge obbliga entrambi i genitori a trovare un accordo sulle decisioni che riguardano il piccolo, ma per il resto tutto funziona come prima. Nella maggior parte dei casi, il bimbo vive con la mamma che risulta essere quasi sempre il ‘genitore collocatario’”. Nel resto dell’Europa - continua Balsamo - il bambino vive metà del tempo con uno e metà con l’altro (per chi lo desidera, ovviamente). “L’Italia continua a rappresentare un’eccezione e a pagare una multa di  decine di milioni di euro ogni anno comminata dalla Corte di Giustizia europea per il mancato rispetto della legge 54”. Il problema, precisa poi l’organizzatore, “non è la mancanza di legge: ce ne sono anche troppe, il problema è che non vengono fatte rispettare”.


Storia di Marco e Davide

Tra i ‘papà guerrieri’ c’è anche Marco (nome di fantasia, come gli altri della vicenda). Per lui l’incubo inizia nel 2010, pochi mesi dopo la nascita di suo figlio Davide. Marco è nato e vive al Nord, nel 2001 sul posto di lavoro conosce Valeria, una collega separata e con una bambina; i due si innamorano e lui, per il bene di quella famiglia che vuole costruire, convince la compagna a trasferirsi al Sud dove vive il papà della piccola. Valeria e sua figlia fanno le valigie e iniziano una nuova vita, Marco le raggiunge nei fine settimana appena può. Nel 2009 nasce Davide, il figlio della coppia. L’anno successivo Marco riesce a ottenere il trasferimento, ma dopo pochi mesi l’idillio svanisce. La convivenza dura pochissimo e nel giro di qualche settimana Marco si ritrova fuori casa. Peggio: nei primi sei mesi di vita del bambino riesce a vedere suo figlio solo per due ore a settimana.

Così l’uomo decide di rivolgersi a un avvocato che proverà più volte a raggiungere un accordo con Valeria senza passare per i tribunali. “Si trattava di accordarci sui giorni in cui potevo vedere mio figlio e sulla somma del mantenimento. Ma lei non ha voluto saperne. Aveva già deciso di dichiararmi guerra”, racconta all’Agi Marco, che vuole restare anonimo. Nei successivi tre anni Valeria cambierà 15 avvocati e arriverà ad accusare Marco di essere un alcolista. “Per fortuna sono un donatore di sangue e questo mi ha aiutato a smantellare velocemente l’accusa”. Storie come queste “sono all’ordine del giorno”, commenta l’uomo.

Nel 2011 arriva l’ordinanza che riconosce a Marco il diritto di vedere suo figlio tre volte a settima pur non potendo ancora dormire con lui. “A quel punto Valeria inizia a terrorizzare il bambino innescando la classica “sindrome da alienazione genitoriale” che si manifesta con i tentativi da parte di uno dei due genitori di allontanare l’altro attraverso frasi tipiche rivolte al minore come “papa è cattivo”, “mi ha fatto male”, “se vai con papà io piango”. La mia non è un’interpretazione: lo hanno stabilito i giudici che hanno disposto una Ctu da cui Valeria è uscita devastata. Ed era evidente anche osservando il bambino che era restio quando andavo a prenderlo a casa loro, mentre all’asilo mi correva incontro”. Poco dopo la situazione degenera. Nell’estate del 2012 Marco passa a prendere suo figlio per una vacanza a due, Valeria si innervosisce, tra i due scoppia una discussione e lei inizia a picchiarlo. “Mi hanno dato 22 giorni di prognosi. Ma la cosa che più mi dispiace è che è successo davanti al bambino”.

A quel punto Marco denuncia l’ex compagna. Il tribunale sospende la podestà genitoriale della donna per 4 mesi, e da allora Marco vede Davide con regolarità. “Questo dimostra che se la giustizia interviene nel modo giusto, le cose cambiano”, commenta l’uomo.“A breve sono in attesa di giudizio per l’aggressione, ma parto dal presupposto che lei verrà assolta. L’avessi fatto io sarei stato in carcere da allora”. Per combattere la battaglia più importante della sua vita, Marco ha speso finora 50mila euro. “Non ne faccio una questione di soldi, ma non è normale, indica che qualcosa non va in questo sistema. Senza contare che non tutti possono permetterselo”.


FONTE:https://www.agi.it/cronaca/festa_del_papa_19_marzo_padri_separati-3638833/news/2018-03-18/

venerdì 16 marzo 2018

Il crollo del credo sull’olocausto

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"All’interno di questa ideologia dell’olocausto, Israele è al riparo dalle critiche, tanto che i suoi abusi contro i diritti umani, anche se ampiamente documentati, vengono disinvoltamente ignorati."

. . . E LO DICE UN ISRAELIANO !
 
Quello che segue è un estratto da un rilevante articolo scritto da Ofri Ilani per Haaretz, intitolato “Il crollo del consenso sul fatto che gli ebrei siano statti le prime vittime dell’Olocausto”. L’articolo esplora i fondamenti della religione globale dell’Olocausto, identifica le istituzioni internazionali che sostengono questa dottrina e gli eventi politici che lasciano capire che i Goyim non ce la fanno più con questa storia degli ebrei-solo-popolo-ad-avere-il-primato della sofferenza. Sono abbastanza d’accordo con la maggior parte delle osservazioni di Ilani e con le sue previsioni sul destino della religione dell’olocausto. Una differenza sostanziale tra noi è che mentre Ilani sembra angosciato da un possibile crollo di consenso attorno all’Olocausto, io credo che la liberazione da quel tirannico precetto giudeo-centrico sia una evoluzione necessaria per l’umanità.
Sul ruolo centrale dell’Olocausto e sulla sua memoria scrive Ilani; “Un incontro con qualcuno che dice che  l’Olocausto non è esistito era incomprensibile per me – era come parlare con qualcuno che non ha mai sentito parlare del sole, o che non sa cosa sia l’acqua”.
Il punto di vista di Ilani sembra mettere l’Olocausto tra gli “elementi dei classici greci” insieme all’acqua, all’aria e al fuoco. Ilani elabora la sua posizione. “In Israele, l’Olocausto è la prima cosa che si deve conoscere. Se qualcuno qui conosce qualcosa del passato, si tratta dell’Olocausto. Non della scoperta dell’America, non dello sbarco sulla luna, non certo della Rivoluzione francese e nemmeno della Rivelazione sul Monte Sinai – prima di tutto,  si conosce deve conoscere l’Olocausto. Per un certo periodo, si era pensato che fosse la stessa cosa anche fuori da Israele”.
Ilani è chiaramente più giovane di me. Per la generazione dei miei genitori, per la mia e per me stesso, l’Olocausto è stata una storia lontana: un racconto della diaspora degli ebrei, un tragico evento accaduto ad altra gente: persone che consideravamo decisamente straniere. Pensavamo a gente  portata  al macello, come agnelli, non come noi che eravamo “israeliani”. Chiaramente a un certo momento l’atteggiamento israeliano nei confronti dell’Olocausto è cambiato e ancora dobbiamo comprendere completamente questo cambiamento.
L’indottrinamento all’olocausto si è molto diffuso oltre i confini di Israele, afferma Ilani. “In America, come in molte altre parti del mondo, i bambini negli ultimi decenni hanno imparato a conoscere l’Olocausto sin dalla più tenera età. È percepito come l’evento formativo dell’era moderna, che ha permesso di modellare i valori politici fondamentali della nostra epoca”.  Con sarcasmo aggiunge  “basti pensare a come si insultavano gli avversari politici fino ad un secolo fa, quando parole come “nazista o fascista” non avevano ancora nessun significato.
Ilani afferma poi che la religione dell’Olocausto impone un severo e rigido ordine mondiale. “Lo U.S. Holocaust Memorial and Museum a Washington, il monumento dell’Olocausto a Berlino e il Giorno  Internazionale della Memoria dell’Olocausto,  rappresentano l’incarnazione di questo ricordo. Tutti sono chiamati a ricordare, secondo un rigido protocollo, ogni dichiarazione pubblica sull’Olocausto è monitorata da esperti, da giornalisti e dalle organizzazioni internazionali ed ogni scostamento dalla linea ufficiale viene condannato“.
Ilani sta semplicemente affermando quello che molti di noi già sanno. Il primato della sofferenza ebraica è diventato un apparato tirannico in tutto l’Occidente. All’interno di questa ideologia dell’olocausto, Israele è al riparo dalle critiche, tanto che i suoi abusi contro i diritti umani, anche se ampiamente documentati, vengono disinvoltamente ignorati. Il movimento di solidarietà verso i palestinesi è praticamente paralizzato dalle  squadre della polizia  giudaica, perché nel contesto del primato della sofferenza degli ebrei,  quella delle vittime palestinesi può solo passare in secondo piano.
Ilany parla della storia dell’Olocausto, quella che conosciamo oggi, e dice che sta cominciando a sgretolarsi. “Molta gente è rimasta sbalordita nelle ultime settimane nel sentire gli sforzi legislativi fatti in Polonia per quanto riguarda il ricordo dell’Olocausto e dalle dichiarazioni del primo ministro polacco secondo cui nell’Olocausto ci sono stati criminali ebrei nella stessa misura in cui ci sono stati criminali polacchi”.
I polacchi non sono rimasti soli, “stiamo assistendo al crollo di un ordine mondiale. Eventi come l’invasione russa dell’Ucraina, l’ascesa di Trump e la crisi della Brexit sono tre delle più grandi crepe che si sono aperte in quell’ ordine ed il consenso sull’Olocausto degli ebrei è legato stretto a quello stesso ordine politico “.

L’accademico israeliano riconosce che l’Olocausto e il nuovo ordine del capitalismo mondiale sono due facce della stessa medaglia. “È l’Unione europea insieme ad altre istituzioni globali create dagli anni ’90 a diffondere la versione ufficiale dell’Olocausto dell’ebraismo europeo e ad imporre la sua difesa. Quindi non sorprende che la disintegrazione dell’ordine mondiale e delle sue istituzioni abbia anche dato origine anche al disfacimento del consenso intorno all’Olocausto”.

Immagino che chi è poco soddisfatto dell’ordine capitalista globale possa sentirsi rallegrato da questa visione di Ilani sulla caduta del credo dell’Olocausto e alle istituzioni autoritarie gli ruotano intorno, che sono collegate e che, a questo,  fanno riferimento.
 
Gilad Atzmon

Fonte: http://www.gilad.co.uk
Link : http://www.gilad.co.uk/writings/2018/2/24/the-crumbling-holocaust-an-israeli-perspective

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario
https://comedonchisciotte.org/il-crollo-del-credo-sul-olocausto/#disqus_thread

mercoledì 14 marzo 2018

15 MARZO 1945, PIERRE DRIEU LA ROCHELLE



 
“ So che non si può restare soli in Europa; ovvero, se ci si crede abbastanza forti per esserlo, si commettono solo pazzie”
 
 
Drieu La Rochelle

 
Parigi, 3 gennaio 1893
Parigi, 15 marzo 1945
 

 
PIERRE DRIEU LA ROCHELLE

 




Nato da una famiglia normanna, piccolo borghese e nazionalista residente nel XVII arrondissement di Parigi e straziata dai problemi coniugali ed economici, Drieu La Rochelle studia alla Scuola Libera di Scienze Politiche (École Libre des Sciences Politiques). È bocciato all’esame finale e, sentendosi preclusa la carriera diplomatica che sognava di intraprendere, pensa per la prima volta al suicidio, tentazione costante durante la sua vita. Nel 1914 parte per il fronte. Esce traumatizzato dalla esperienza della Prima guerra mondiale e ne trae ispirazione per scrivere la raccolta di novelle La comédie de Charleroi che sarà pubblicata nel 1934.
Nel 1917 sposa Colette Jéramec, sorella di André Jéramec, suo migliore amico, dalla quale divorzia nel 1921. Sempre nel 1917 La Nouvelle Revue française pubblica Interrogation, il suo primo libro.
Vicino ai surrealisti ed ai comunisti negli anni 1920, si interessa anche all’Action Française, senza aderire a nessuno di questi movimenti e stringe amicizia con Louis Aragon.
Si fa conoscere, nel 1922, con un saggio Mesure de la France, e pubblica diversi romanzi.
Nel saggio Genève ou Moscou (Ginevra o Mosca), nel 1928, prende posizioni pro-europeiste, che lo portano ad avvicinarsi successivamente ad alcuni ambienti padronali, in particolar modo all’organizzazione Redressement français diretta da Mercier, poi a certe correnti del Partito radicale, alla fine degli anni 1920 e all’inizio degli anni 1930.
 

Nelle settimane che seguono le manifestazioni anti-parlamentari fasciste del 6 febbraio 1934, collabora alla rivista La Lutte des Jeunes (La Lotta dei Giovani) e si dichiara fascista, vedendo qui una soluzione alla sue proprie contraddizioni e un rimedio a ciò che considera la decadenza materialista delle società moderne. In ottobre pubblica il saggio Socialisme fasciste (Socialismo Fascista[1] e si colloca nel solco del primo socialismo francese, quello di Saint-Simon, Proudhon e Charles Fourier. Questa scelta intellettuale lo conduce ad aderire nel 1936 al Partito Popolare Francese, fondato da Jacques Doriot e a diventare, fino alla sua rottura con il PPF all’inizio del 1939, editorialista della pubblicazione del movimento L'Émancipation Nationale (L'Emancipazione Nazionale). Contemporaneamente redige il suo romanzo più noto, Gilles.

Durante l’occupazione diventa direttore de La Nouvelle Revue française (NRF) e si schiera a favore di una politica di collaborazione con la Germania, che egli spera si metta alla testa di una sorta di "Internazionale fascista".
A partire dal 1943, disilluso, rivolge le sue preoccupazioni alla storia delle religioni orientali.

Alla liberazione di Parigi nel 1944, rifiutando l’esilio è costretto a nascondersi. Sarà aiutato da alcuni amici, tra cui André Malraux e l’ex moglie Colette Jéramec.

Dopo i due tentativi falliti dell’11 e 12 agosto 1944, il 15 marzo 1945 stacca il tubo del gas e ingerisce una forte dose di fenobarbital.

È considerato uno dei più importanti interpreti, in ambito letterario, di quel cosiddetto "socialismo fascista", caro a molti intellettuali "di destra" e ben descritto nel saggio Fascismo immenso e rosso dello scomparso giornalista Giano Accame.


LE OPERE

. Interrogation, 1917, raccolta di poesie 

• Fond de cantine, 1920, raccolta di poesie 

• État-civil, 1921, romanzo 

• Mesure de la France , 1922, saggio 

• Plainte contre inconnu, 1924, raccolta di poesie 

• L'homme couvert de femmes, 1925, romanzo (L'uomo pieno di donne, Passigli Editore, 1995) 

• Le Jeune Européen, 1927, saggio 

• Genève ou Moscou, 1928, saggio 

• Blèche, 1928, romanzo 

• Une femme à sa fenêtre, 1930, romanzo 

• L'Europe contre les patries 1931, saggio 
• Le Feu Follet (1931), romanzo (Fuoco fatuo, SE, 2002) (da questo romanzo, Louis Malle ha tratto nel 1963 l'omonimo film) 

• Drôle de voyage (1933), romanzo (Che strano viaggio, Rusconi Editore, 1971) 

• Journal d’un homme trompé (1934), raccolta di novelle (Diario di un uomo tradito, Sellerio, 1992) 
• La comédie de Charleroi 1934, raccolta di novelle (La commedia di Charleroi, Fazi Editore, 2007) 
• Socialisme fasciste, 1934, saggio 
• Béloukia, 1936, romanzo 
• Doriot ou la vie d'un ouvrier français, 1936, saggio 
• Avec Doriot, 1937, saggio 
• Rêveuse Bourgeoisie, 1937, romanzo 
• Gilles, 1939 romanzo (censurato, la versione integrale uscirà nel 1942) 
• Ne plus attendre, 1941, saggio 
• Notes pour comprendre le siècle, 1941, saggio (Appunti per comprendere il secolo, Arktos, 1988) 
• L'homme à cheval, 1943, romanzo (L'uomo a cavallo, Il Sigillo, 1978) 
• Les chiens de paille, 1944, romanzo (I cani di paglia, Cavallo Alato, 1979) 
• Mémoires de Dirk Raspe, 1944 romanzo (incompiuto, pubblicato nel 1966), (Memorie di Dirk Raspe, SE, 1996) 
• Récit secret suivi de Journal 1944-1945 et d'Exorde, memorie, 1961, (Racconto segreto seguito da Diario 1944-1945, SE, 2005) 
• Histoires déplaisantes, (postumo, 1963), raccolta di novelle 
• Journal d’un délicat, romanzo (postumo, 1963) (Diario di un delicato, SE, 1998) 
• Journal 1939-1945, (postumo, 1992), memorie






Povera Europa

Povera Europa, ti abbandoni ai quattro venti del tuo disastro.
Vento asiatico, vento slavo, vento ebraico, vento americano.

E non lo sai. Sarai morta senza saperlo.

Questo perchè non hai coscienza di te, o hai perso questa coscienza, o non l’hai ritrovata. Hai avuto una coscienza, ma ne hai perso man mano gli strumenti.

Coscienza cristiana: coscienza per il papato, la Chiesa, i grandi ordini.

Coscienza per l’espansione franca, per l’espansione germanica, per la feudalità, per l’Impero.

Coscienza per l’arte francese, l’arte italiana, ancora l’arte francese, l’arte tedesca, l’arte inglese. Coscienza per i Rinascimenti, la Riforma, la Rivoluzione.

Coscienza per la filosofia, la scienza.

Coscienza per la monarchia, l’aristocrazia, la borghesia, il proletariato.

Coscienza per il socialismo.

Coscienza per la sofferenza del 1914-1918, coscienza per Ginevra. Coscienza per il fascismo e l’antifascismo, il comunismo e l’anticomunismo.

Non hai ancora acquisito la tua nuova coscienza per l’internazionale delle nazioni, per la federazione delle tue potenze grandi e piccole che eleggevano un’egemonia per l’unità del tuo socialismo. E, senza dubbio, l’acquisirai troppo tardi.

Europa, tu che non sei un Impero, sei invasa da due Imperi.

Quello russo e quello americano.

Questi due Imperi vogliono la tua sconfitta e tu non lo sai.

Addirittura, ti presti al gioco di questi imperi tramite le tue forze disgiunte.

Molti europei sono partigiani dell’Impero russo e molti sono partigiani dell’Impero americano. Essi chiamano, con tutta la loro voce, lo spiegamento e l’esplosione della forza russa e della forza americana sull’Europa. Essi si rallegrano quando le orde asiatiche e slave entrano in Europa, nelle tue provincie di Romania e di Polonia, quando le flotte americane bombardano la patria delle tue patrie: l’Italia, dove, dopo lustri di decadimento, conservavi una delle tue più preziose e antiche immagini in quasi completa integrità fisica.


Già dal 1941 una delle tue isole avanzate, l’Irlanda, era calpestata dagli americani e tu non te non te n’eri preoccupata.

L’impero britannico era, nel mondo, una presenza dell’Europa (una compensazione al decentramento, alla stravaganza dell’Inghilterra fuori dall’Europa). Ora questo Impero è subordinato in maniera umiliante agli Imperi americano e russo.
In America esso ha perduto quasi tutto ciò che vi aveva, in un certo senso in nome dell’Europa. E’ una sconfitta e una umiliazione europea il fatto che le isole inglesi della costa americana siano occupate dalle guarnigioni americane; c’è da aggiungere che il Canada scivola nella versatilità americana.

Risulta una minaccia per l’influenza europea nel mondo il fatto che le repubbliche sud-americane, così legate all’Europa, si pieghino sotto il giogo americano l’una dopo l’altra, e che anche l’Intelligence Service sia costretto, causa quel giogo, ad intrighi deboli e nascosti contro lo sbarco yankee.

Stessa situazione nel Pacifico e in Asia, dove ciò che l’Inghilterra non ha ceduto ai giapponesi o ai cinesi, deve abbandonarlo alle iniziative difensive e offensive degli americani.
Ed ecco che l’Inghilterra deve dividere con la Russia e con l’America anche l’Africa, il Vicino e il Medio-Oriente.
Si può dire la stessa cosa per l’Impero francese, per l’Impero portoghese, per l’Impero spagnolo, per l’Impero olandese.
E più di tutti gli altri europei, gli Inglesi fanno i furieri degli Americani e dei Russi. Le isole britanniche, infatti, dopo Guglielmo il conquistatore sono affolltate da milioni di americani ignoranti e sprezzanti. L’Inghilterra è occupata dagli extra-europei ancor prima che lo sia tutta l’Europa.
Se l’Inghilterra è terribilmente colpevole contro l’Europa, anche la Germania lo è. Abbandonando il proprio impero, l’Inghilterra abbandona i suoi beni, i possedimenti e i prestigi dell’Europa all’estero, scatena la doppia invasione della Russia e dell’America; d’altro canto, la Germania impedisce alle comunità europee di confederarsi intorno ad essa, non sapendo oltrepassare il suo nazionalismo, il suo imperialismo, non sapendo trasformare la sua rivoluzione particolare in una rivoluzione universale, non sapendo eliminare tutti gli elementi arretrati che veicola ancora in sè: essa, pura forza socialista, brucia sull’altare della patria europea. Nel 1940 la Germania non ha capito il proprio compito, l’ha solo presentito oscuramente: ha pronunciato la parola Europa senza mettervi niente di più di un vago fremito istintivo.
Assorbito dalla sua giusta visione del pericolo russo, il preveggente Hitler ha sempre agito con saggezza in funzione di questo pericolo.
Ma non ha capito che i gesti da lui compiuti fuori della Russia non potevano non essere scorti dagli interessati nel loro rapporto con quel pericolo ignorato, nato in una vasta zona dell’Europa.
Credeva che le “occupazioni” fossero solo una tappa verso qualcos’altro, verso la ripresa della marcia ad Est, forse solo parate secondarie e acessorie rispetto a quel movimento essenziale. Ma esse non sono state considerate tali dagli interessati, i quali vi hanno visto solo il preludio a volgari conquiste.

Abbiamo dunque una serie di territori occupati che si ritengono gli elementi virtuali di un accatastamento imperialista; non si può trasformarli nelle trasposizioni viventi di una dichiarazione scritta, volontariamente orientate verso una egemonia elettiva, se non si spande ovunque un soffio comune, un movimento comune, che coordinino in una azione e in una speranza comuni gli abitanti sconcertati di questi territori.
A queste popolazioni, le quali in quanto occupate si considerano in procinto di essere conquistate, non si può chiedere di offrire operai e soldati se non si propone loro al tempo stesso un impegno interiore. Impegno che, essendo simultaneamente interiore ad ogni popolo d’Europa, si riveli comune a tutta l’Europa.
Le genti di Polonia e di Bretagna, di Norvegia e di Grecia non possono aver voglia di difendere l’unione dei loro paesi in quanto Europa, a meno che non si dia loro qualcosa di nuovo da difendere; qualcosa che in quanto europei, li sta ora interessando.
L’Europa non può interessarsi a se stessa come un ricordo da resuscitare, un ricordo ignorato dalla maggioranza; si può interessare solo ad un nuovo impegno, il quale potrà renderle tangibile la sua esistenza, che questa inizi o che ricominci.
Può capire la guerra esteriore solo nelle opere di una guerra interiore; può capire una guerra contro il comunismo solo nella realizzazione della guerra socialista.
La Germania poteva suscitare l’interesse dei popoli alla sua presenza, permettere loro di vederla sotto una angolazione diversa da quella dell’occupante, solo facendo di questa presenza una presenza rivoluzionaria. I Tedeschi non interessano in quanto Tedeschi, non più degli Inglesi, Americani o Russi; ciò che interessa è quello che gli uni e gli altri possono apportare. Gli uni il comunismo, gli altri la democrazia capitalista; i tedeschi dovevano imporre il socialismo.

Ogni occupazione tedesca doveva trasformarsi in una rivoluzione nazionale; sarebbe stata una palpitazione della rivoluzione europea.
Inizialmente i popoli sono rimasti delusi dalle occupazioni tedesche, proprio perchè sono sdtate delle occupazioni; ci si rassegnava nel bene o nel male; ci si rassegnava ad essere rovesciati.
C’era un’invocazionein quel terrore che, nel 1940, aveva preceduto l’arrivo delle armate tedesche: si credeva che fossero delle armate rivoluzionarie, più rudi, ma al tempo stesso più innovatrici.
Purtroppo non è successo niente: erano solo armate d’altri tempi e, in un primo momento, solo più gentili di quelle.
Dapprima sono apparse rassicuranti; poi si è iniziato a dare voce alle lagnanze, divenute sempre maggiori. Avremmo preferito essere più scossi all’inizio, sconvolti.
Si è trattato solo di una occupazione militare la quale, contro le varie difficoltà, ha potuto reagire solo con i mezzi militari e, poi, polizieschi. Non abbiamo conosciuto il nazionalsocialismo, abbiamo conosciuto solo gli eserciti e la polizia. Non abbiamo conosciuto il contenuto della Germania hitleriana, ma solo i suoi strumenti esteriori.
La Germania ha voluto rispettare l’antica convenzione delle autonomie, delle sovranità nazionali. Allora ha dovuto impiegare i mezzi, non meno convenzionali di quelli che si usavano in passato, per circuire e assediare queste autonomie: mezzi di pressione diplomatici, finanziari, economici, militari, politici.

Ma c’era bisogno dei mezzi più nuovi, più rispettosi, più vitali della conquista rivoluzionaria.
Fare appello alle grandi alleanze intime, dirette, tra il genio del popolo tedesco e il genio degli altri popoli, tra le forze rivoluzionarie di Germania e di altre nazioni. Per poggiare l’egemonia militare sulla federazione delle rivoluzioni.
E’ ciò che, invano, avevano cercato di fare gli Anglo-americani; è ciò che, di sicuro, faranno i Russi.
Gli Americani hanno dei veri alleati: i democratici; i Russi hanno i comunisti; i Tedeschi non hanno riconosciuto i loro alleati naturali, i socialisti europei.
Ma questi, pochi all’inizio, potevano sviluppare le loro forze solo in un clima di tumulto generale, di convergenze ardenti.
La Germania ha avuto paura. Temendo per la coesione e l’efficacia del suo esercito, la Germania ha avuto paura di farne un’arma rivoluzionaria; ma i soli eserciti che hanno fatto storia nel mondo sono stati quelli delle rivoluzioni armate.
La Germania ha avuto paura di cessare di essere se stessa per divenire l’Europa; la sua aquila non è divenuta una fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri.
E’ dunque troppo tardi? La comunità delle sofferenze per i massacri russi e americani, gli incendi, le rovine,: tutto ciò va forse a confondere occupanti e occupati, conquistatori e conquistati, difensori e difesi? Ci sono ancora frontiere, in Europa, per i nugoli di aerei americani, per le orde asiatiche? Ci sono ancora dogane tra le folle ridotte alla miseria? Può esserci forse una bandiera diversa da quella rossa, sulla superficie di un continente interamente ridotto al socialismo marxista, volente o nolente? Chi mai potrà risollevare l’Europa dalle rovine, se non il socialismo? Non saranno certo le banche o i trusts.
Ora è tempo che i Tedeschi non solo proclamino, ma realizzino il socialismo europeo sulle rovine dell’Europa. Perché, in mezzo a queste rovine, c’è ancora la nostra anima da difendere.
Il momento peggiore è quello migliore.
Le trasmutazioni sociali decisive si compiono in piena guerra.
E’ stato in piena guerra che l’Inghilterra puritana, la Germania luterana, la Francia giacobina e la Russia leninista, hanno compiuto i passi decisivi nella lotta all’interno.
E’ in piena guerra, quando i russi avanzano, che bisogna compiere i gesti decisamente europei e socialisti.
(Maggio 1944)













 
 
Vi sono scrittori che impersonano nella loro esistenza e nelle opere un’epoca intera con tutte le sue contraddizioni. Pierre Drieu La Rochelle è stato uno di questi enfants du siècle. E il fascino dei suoi romanzi è legato non solo alla loro efficacia letteraria, ma anche al fatto che lo scrittore francese è diventato il simbolo di una generazione, quella degli “anni ruggenti”, divisa fra una vita disordinata e la ricerca di un ordine personale e sociale. Personaggi e romanziere si sono identificati agli occhi dei lettori sino a perdere ogni distinzione. E così doveva avvenire perché tutta la sua narrativa è un lungo monologo autobiografico in cui fantasia e confessione si intrecciano inestricabilmente.
Qualcuno lo ha definito il fratello di F.S. Fitzgerald, il poeta della decadenza, della disintegrazione di una civiltà. E la definizione è, in parte, esatta. Drieu infatti è fra gli scrittori francesi che hanno avvertito più tragicamente e intensamente la crisi dell’uomo occidentale. “Il suo spirito era abituato – ha scritto in un romanzo – a confrontare la vecchiezza di oggi, che si dibatte con scosse secche e nervose, alla giovinezza creatrice con le sue armonie calme e piene”.
 






 
 
 
 
“Noi siamo uomini d’oggi
Noi siamo soli.
Non abbiamo più dei.
Non abbiamo più idee.
Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx.
Bisogna che immediatamente,
Subito,
In questo stesso attimo,
Costruiamo la torre della nostra disperazione e del nostro orgoglio.
Con il sudore ed il sangue di tutte le classi.
Dobbiamo costruire una patria come non si è mai vista.
Compatta come un blocco d’acciaio, come una calamita.
Tutta la limatura d’Europa vi si aggregherà per amore o per forza.
E allora davanti al blocco,
della nostra Europa
l’Asia, l’America e l’Africa diventeranno polvere.”