venerdì 28 aprile 2017

GINO LORENZI, 20 ANNI . CROCEFISSO DAI PARTIGIANI

 
Così morì Gino Lorenzi






Gino Lorenzi, uno dei tanti giovani martiri, uno delle tante vittime sacrificali sull'altare della Patria sconfitta. La colpa imperdonabile, quella di aver combattuto fino all'ultimo giorno una guerra persa. Il sacrificio di Gino e dei suoi tanti camerati doveva servire a festeggiare la vittoria delle fazioni in una Italia democratica e liberata ma inesorabilmete sconfitta e punita impietosamente dal tracotante e superbo nemico. Ecco la breve descrizione dei fatti:
A guerra finita il S. Tenente Gino Lorenzi aveva deposto le armi nella cittadina di Oderzo e, con alcuni camerati, si era incamminato verso casa a Bergamo. Giunto a Ponte di Piave, il gruppo fu catturato da una banda di partigiani comunisti e rinchiuso nelle carceri di Breda di Piave. Di qui, nella notte fra il 3 ed il 4 maggio, i prigionieri vennero portati alla Cartiera Burgo di Mignagola ove, dopo aver subito durissime percosse e sevizie inaudite, furono fucilati. Tutti ma non Gino Lorenzi. Ostentava infatti una medaglia religiosa al collo ed alla richiesta di rinnegare la Sua Fede oppose netto rifiuto. Fu approntata una rozza croce legando due tronchi d'albero e i gloriosi "patrioti" Gli dissero che, se non avesse rinnegato la Sua Fede, quella sarebbe stata la Sua fine.Il giovane Ufficiale del Battaglione "M" d'Assalto "Romagna" non tremò né implorò salvezza:
"La Croce che Gesù Cristo ha portato non può far paura ad un Cristiano" si limitò a pronunciare prima che lo inchiodassero.

Così morì Gino Lorenzi, chiamato da Dio e dal Destino a divenire un simbolo di suprema dedizione, di insuperato ineffabile sacrificio per la Fede e per la Patria.


 
 

CIMITERO DI BERGAMO - LA TOMBA

IN RICORDO DEL SOTTOTENENTE LUIGI LORENZI (1925-1945)
Luigi Lorenzi detto Gino, nasce a Bergamo il 14 Gennaio del 1925 da Paola e Rino. Figlio del suo tempo, vive pienamente la temperie culturale del Ventennio, incardinata sui principi di Dio, Patria, Famiglia. In pieno ossequio alle magnifiche e progressive sorti di allora, studia e fa sport nello spirito dell’incipiente filosofia fascista. Il 10 Giugno 1940 l’Italia è costretta a entrare in guerra accanto all’alleato germanico. Nel ‘44, non ancora ventenne, Gino accoglie entusiasticamente la chiamata della Patria. E’ ammesso al corso per ufficiali GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), Arma delle FF.AA. della RSI (Repubblica Sociale Italiana), concepita per il controllo del territorio e formata da Carabinieri, Militi, Polizia A.I.. Frequenta la Scuola di Varese, comandata dal T. Col. Enrico Bassani, assegnato alla III compagnia, II plotone,III squadra. Di quel periodo di formazione, resta la vivida impronta nelle parole di Valerio Longa, un suo compagno d’armi: “E’ un allievo esemplare, camerata e amico puntuale, riservato, misurato, coraggioso”. In breve tempo, Lorenzi guadagna la nomina a sottotenente, per essere poi assegnato al Comando Provinciale di Treviso. Attorno a lui, incalza la geometrica spirale della guerra: la velocità degli eventi è tale che il tempo reale corrisponde a secoli. La relatività di Einstein trova sul campo pieno collaudo. I destini della battaglia arridono alla compagnie anglo-americane che invade la Nazione, i russi
sfondano in Germania e per l’Asse volge al peggio. Ma i traditori italioti, comprati a sigarette, propaganda e caramelle, festeggiano la propria fine. Il 28 Aprile 1945, a Oderzo (Tv) alla presenza del parroco Abate Domenico Visentin”gli ultimi della generazione che non si è arresa” concordano di cessare il fuoco e la deposizione delle armi con il CLN che dà il relativo lasciapassare per il ritorno a casa. E’ necessario evitare ulteriori spargimento di sangue fratricida, ma di ciò ne approfittano gli sciacalli. Accade nel Maggio del ’45, quando la guerra è finita. Il S. Ten. Lorenzi è in pacifico cammino per Bergamo in compagnia dei suoi uomini disarmati, ma nei pressi del Ponte di Piave (Tv), una pattuglia di partigiani della Garibaldi, comandata dal famigerato “Falco” (alias Gino Semionato), li cattura e li rinchiude nelle carceri di Breda di Piave, naturalmente in vigliacca violazione dell’accordo. I partigiani, dopo aver ucciso i proprietari, si acquartierano a villa Dal Vesco (il cosiddetto avamposto dell’inferno). Qui, pseudo accusatori, giudici e carnefici, applicano l’arbitraria “legge della montagna” formata da 18 articoli, che prevedeva nella maggioranza dei casi la condanna a morte. Facile intuire come i militari capeggiati da Gino subiscano un processo sommario e conseguentemente siano condannati a morte. Emessa la sentenza, i prigionieri vengono condotti al campo di tortura e di sterminio di Mignagola, frazione del Comune di Carbonera (Tv) , nella cartiera Burgo acconciata alla bisogna, dove troveranno la morte tra inaudite sofferenze centinaia di vittime fra cui Gaetano Colotti, V. Commissario di Polizia, 28enne nativo di Castelbuono (Pa) e la sua fidanzata Pierina Martorelli in avanzato stato interessante. Finiscono tutti fucilati a eccezione di Gino, colpevole di aver combattuto fino all’ultimo per l’onore d’Italia. “A nessuno viene concesso il conforto sacerdotale” –aggiunge Ruggero Bonussi- che del giovane Lorenzi ricorda che era “in divisa di S. Ten., aveva i baffetti neri e parlava in dialetto lombardo”. Il giovane porta al collo un’immaginetta sacra che reca un’effige religiosa. E i carnefici, in vena di buon umore, gli propongono l’abiura in alternativa alla crocifissione. Ma è proprio in quel frangente che si manifesta la diversa tempra del nostro Eroe. Un ufficiale gel reparto d’assalto “Romagna” come lui, non teme la morte. Cristiano, con la luce della fede negli occhio chiari –affermano testimoni oculari- ieraticamente esclama “Muoio come Nostro Signore nella croce. La croce che Gesù Cristo ha portato non può far paura a un cristiano”. Ciò detta allaga le sue braccia offrendosi al sacrificio. E così, dopo essere stato orrendamente infisso con grossi chiodi alle mani e alle caviglie a una rozza croce formata con due rami, viene frustato e poi abbandonato tra atroci sofferenze fino a essere divorato dalle volpi. Gino 20 anni, muore. E’ il 4 Maggio 1945. Recita il Canone Romano (Preghiera Eucaristica): “Salve o croce beata, che ricongiungi la terra al cielo e riconcili l’uomo al suo Salvatore” e prosegue nel Memento per i morti: “Ricordati Signore dei tuoi fratelli che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace”. Il potere redentore della croce, baluardo di salvezza, ha dunque beatificato il nostro Gino. La sua crocifissione non fu però un singolo spettacolo, ma solo di una lunga serie di repliche. Le scene della via crucis rividero inchiodati a rozze assi molti altri “perdenti” fra cui il Cap. GNR Mario Corticelli e il S. Ten. Walter Tavoni. Intanto ignara della sorte del figlio, Rina Lorenzi riceve dopo tante e vane insistenze la comunicazione del sindaco Giuseppe Foresto “Walter” , che però garantisce che “Gino era stato liberato”. (cfr. prot. 2041/6/5/45 del Comune di Breda di Piave). nulla di strano in cotanta menzogna, visto che detto signore era stato uno dei giudici del cosiddetto tribunale che aveva (sic!) condannato a morte Lorenzi e i suoi uomini. La nomina a sindaco, era per Foresto la degna ricompensa di tana saviezza. Ma nel dopoguerra i resti riportanti i segni delle violenze subite dal giovane Ufficiale vengono riesumati. E oggi Gino Lorenzi riposa il sonno degli Eroi e dei Martiri nel cimitero di Bergamo, nel Campo della Memoria. Laggiù è ricordato dagli uomini dabbene con un gesto d’amore e di gratitudine e vorremmo fosse indicato in avvenire dalla Nazione come caduto per la Patria e per a Fede in nome della quale ha sacrificato la propria esistenza. Nel 1998, Valerio Longa, compagno d’armi di Gino, lancia l’appello per la beatificazione. Fino a qualche anno fa, la cerimonia del ricordo dei caduti della RSI della zona si svolgeva a Bienno (Bs) presso il santuario di Cristo Re dove, nel vituperato ventennio era stata eretta una grande statua di Cristo per ricordare la fine della I^ guerra mondiale e poi i Patti Lateranensi. In tempi recenti, l’illustre storico Giuliano Fiorani lo ricorda, assieme alla sorella e al nipote, con il Comitato Onoranze Caduti RSI al cimitero di Bergamo. E’ auspicabile che venga intestata al giovane S. Ten. una via a Bergamo affinchè la nobile vicenda di Gino Lorenzi sia ricordata con rispetto e amore (n.d.a.: detta richiesta è stata avanzata dallo scrivente, in occasione del 150esimo per l’agognata unità e pacificazione nazionale, al sindaco di Bergamo – città dei Mille - ma alla data odierna senza successo). Dal paese questo eroico Soldato dell’Onore non ha, a oggi, nessun riconoscimento, anzi è stato dimenticato e il suo sacrificio non è posto a esempio ai giovani; addirittura qualcuno dice che il S. Ten. Lorenzi sia stato punito per aver preso parte a una esecuzione di ribelli catturati a seguito dell’avvenuto assassinio di un milite in una imboscata a Gairone (Tv) . Eventualità che in termine militare si identifica nella “rappresaglia”, operazione consentita dalle convenzioni di guerra del tempo nel caso di assassini di regolari combattenti in divisa (cfr. sentenza 747/1954 T.S.M.). In ogni caso, il militare Lorenzi si sarebbe trovato a eseguire ordini in guerra. Non così per il suo martirio, avuto luogo a guerra finita. Gino Lorenzi ha affrontato un ingiusto processo e una iniqua condanna, la tortura, l’umiliazione, la solitudine, la morte. Ma la croce l’ha condotto alla Vita. Il suo carnefice “Falco 2 e i suoi accoliti, impuniti nel dopoguerra per decine di omicidi volontari, sono stati assolti da un tribunale della repubblica nata dalla resistenza, con se4ntenza del 24/06/1954, perché i reati loro rubricati erano estinti per effetto dell’amnistia (Togliatti), anzi, gli epuratori sono stati anche decorati e pensionati. sforziamoci di capire pertanto che la guerra è finita, chi ha vinto ha vinto nonostante tutto, smettendola di annientarci. Costruiamo il presente e il futuro di questa nostra Benedetta Santa Patria, l’Italia. Uniamoci idealmente e gridiamo S. Ten. Gino Lorenzi. Presente!
di Paolo Francesco Lo Dico


da RINASCITA



 

 
 
 
 
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giovedì 27 aprile 2017

ROVETTA, 28 APRILE 1945

 
LA MAFIA BACIA LE MANI AI PICCIOTTI PARTIGIANI

“con l’avvicinarsi della primavera, il 28 aprile di ogni anno, sull’ imbrunire, dalla strada che scende dal Passo della Presolana, raffiche di vento strisciano tra le case poste sotto la montagna, rumoreggiando sulle pietre della via come un passo chiodato; sembra un passo cadenzato: è il marciare dei Ragazzi della Tagliamento, quando di pattuglia, scendevano a valle cantando“…per voi ragazze belle della via che avete il volto della primavera, per voi che siete tutta poesia e sorridete alla camicia nera…”
Si! è il cantare dei Legionari trucidati a Rovetta, che tornati in quella vallata, risalgono sulla Presolana, dove ogni notte sono di pattuglia; cantano, marciano e, mentre attendono giustizia, si chiedono e chiedono "PERCHE’ ?"
(tratto dal libro "ONORE–Una strage; perché? Rovetta 28 aprile 1945" a cura di Giuliano Fiorani)



  
AI 43 MILITI DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO TRUCIDATI INERMI
 
IN ROVETTA IL 28 APRILE 1945
 
E NEL RICORDO DI TUTTI I CADUTI PER L’ONORE
  
ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16


COSA E' SUCCESSO A ROVETTA (BG)
IL 28 APRILE 1945 ?



ROVETTA 28 APRILE 1945.
STORIA DI UNA STRAGE
Tratto da “Il senso segreto della strage di Rovetta”, di Leone Belotti
 

Ultimi giorni di Aprile del 1945, la guerra è finita. Nel fuggi fuggi generale, mentre tutti si imboscano o si travestono, al passo della Presolana, in val Seriana, tagliati fuori da tutti, ci sono 43 balilla che ancora tengono il presidio. 

Li comanda un sottotenente di 22 anni, l’età media è di 17 anni, i più giovani non hanno ancora 15 anni. Studenti, si erano arruolati dopo la fuga del re, per salvare l’onore della patria. Nati e cresciuti nella retorica fascista, non c’è da stupirsi che vogliano resistere in armi contro il resto del mondo, fino alla “bella morte”. 

Il Comitato di Liberazione ordina: cessare il fuoco, arrendersi, consegnare le armi, è fatta salva la vita. E’ il parroco a convincerli a scendere dai monti, a rassicurarli che la resa sarà onorevole. 

Giunti a Rovetta vengono presi in consegna dai partigiani, e dopo due giorni di prigionia quasi familiare (alcuni erano fidanzati con ragazze del posto) la notte del 27 accade qualcosa di poco chiaro, compaiono figure misteriose, agenti segreti, auto lussuose: all’alba del 28 Aprile i 43 balilla vengono picchiati, spogliati e condotti dietro il cimitero, dove vengono fucilati (mitragliati), a gruppi di cinque, e sepolti sommariamente. 

Questo episodio, noto (non troppo) come “la strage di Rovetta” è la prima macchia dell’Italia nata dalla Resistenza. Chi diede l’ordine di fucilare prigionieri che si erano arresi conformemente agli ordini del Comitato di Liberazione? 

Per quale ragion di stato 43 ragazzini che non erano stati responsabili di violenze, come testimoniato da uno dei capi partigiani, sono stati trucidati a sangue freddo? 

Un processo farsa nel dopoguerra ha chiuso la questione (l’esecuzione fu considerata come “azione di guerra”, e dunque non punibile, grazie a un apposito decreto). 

Gli esecutori materiali, processati e assolti, portano i cognomi più diffusi della zona, chiunque in Val Seriana conosce un sacco di gente con quei cognomi, Savoldelli, Zanoletti, Balduzzi, Percassi, amici, clienti, soci, collaboratori, gente con cui lavori. Gli ho detto: chiedi ai tuoi, agli zii, ai nonni: dim ergot! Niente. Nessuno sa niente, nessuno dice niente. Curioso come un bergamasco possa somigliare a un calabrese, in certi silenzi. Una pagina rimossa. E che pagina! L’innesco della mattanza! 

Il giorno dopo la strage, il 29 Aprile 1945, l’Unità scriveva: “La peste fascista deve essere annientata. Con risolutezza giacobina il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato. Non è l’ora questa di abbandonarsi a indulgenze che sarebbero tradimento della causa…” E’ il famoso articolo Pietà l’è morta. Firmato: Giorgio Amendola, cioè uno dei “padri della patria”. 

Amendola si riferiva a piazzale Loreto, ma come non leggere in queste parole un’apologia alla pulizia etnica? 

Il macello di piazzale Loreto non bastava, qualcuno ha voluto e ordinato un bagno di sangue generale, nazionale, e occorreva un esempio immediato, ecco la strage di Rovetta: l’appello de l’Unità dunque significa “fate come a Rovetta”, trucidate pure chiunque abbia una camicia nera. A rigore: almeno il 90% degi italiani. 

Ma proprio nel corso di quella notte, gli italiani, ormai ginnasti esperti del consenso, si “liberarono”, e divennero tutti antifascisti convinti, e anche assetati di sangue. Nel corso del successivo mese di Maggio, furono uccise oltre 40.000 persone a sangue freddo, senza distinzione, civili, donne, bambini, anziani, per strada, in piazza, in casa, ovunque, per lo più vendette private su persone comuni, con l’alibi di “annientare la peste fascista”, mentre i gerarchi e i servi del regime si riciclavano in parlamento, nei ministeri, nelle aziende e nelle case editrici. 

Dobbiamo capire che dietro la cornice della “Liberazione” c’è un bagno di sangue attuato per occultare la magia del gattopardo, il trasformismo delle elites (non il ricambio). 

Cose che un’intera generazione ha visto ma taciuto alla generazione successiva, la mia, la nostra, per cinquant’anni, fino anni Novanta, cioè dopo il crollo del comunismo, quando giornalisti, storici ed editori hanno preso coraggio (!) e aperto gli archivi dell’orrore. 

Torniamo a Rovetta. Nella formazione partigiana responsabile della strage c’erano personaggi noti della resistenza bergamasca, e anche una figura misteriosa, il Mohicano, che si è poi rivelato essere un agente dei servizi segreti inglesi, il cui anonimato è stato usato fino ai giorni nostri come pretesto/alibi per non dire la verità proprio da parte di coloro che erano incaricati di fare luce (L’istituto storico della resistenza). 

Non ci vuole Einstein per capire che se hai un problema non puoi chiedere di risolverlo a chi ci ha basato sopra la sua esistenza (a meno che si abbia a che fare con grandi uomini, se Einstein mi permette la precisazione, a mio parere dovuta, per quanto sperimentalmente improbabile). 

Oggi possiamo dire questo: se a livello nazionale ci hanno mentito per quasi 50 anni, a livello locale, sui fatti di Rovetta, siamo già a 70. Perché? Chi c’è dietro, cosa c’è sotto questo segreto di stato? Chi diede l’ordine? 

Cose pesanti da digerire per chi è stato allevato nel mito della resistenza e dell’antifascismo. Alle medie ci portavano in gita scolastica a Marzabotto, alle fosse Ardeatine, sapevamo tutto di quei fatti, ma di Rovetta, dove si andava in villeggiatura, non si sapeva niente. 

Ma non vorrai paragonare… Si invece, paragoniamo, la barbarie è barbarie. 

Sarebbe bello e giusto che finalmente saltasse fuori qualcuno di quelli che a Rovetta (non a Kabul) da 70 anni sanno e tacciono, anche un figlio, un nipote, e ci raccontasse come è andata. A cosa mi serve un prestigioso Istituto Storico della Resistenza e un simpatico Museo Storico della Città se dopo 70 anni non mi hanno ancora spiegato il fatto storico più rilevante accaduto qui dove sono nato e cresciuto, dove vivo e lavoro? 

Leggere le carte del processo, con tutti gli omissis e i non ricordo-non so, con le raffinatezze acrobatiche del diritto per assolvere tutti, mette i brividi, perché riconosci la matrice di quella lunga serie di processi farsa che caratterizzerà la storia stragista d’Italia negli anni a seguire e fino ai giorni nostri. 

Una grande delusione, una grande rabbia. Aver studiato storia per vent’anni, aver creduto a quei miti, per poi scoprire verità allucinanti, armadi nascosti, scheletri su scheletri. 

Il senso, la verità di Rovetta è ancora segreta. Chi diede l’ordine della strage? 

Nel 1997, quando la Regina d’Inghilterra ha tolto il segreto di stato dagli archivi del SOE, il secret service inglese che agiva in Italia e nei balcani a “supporto” dei partigiani, gli storici hanno iniziato a studiare i documenti, e il quadro che ne esce ci dovrebbe portare a riscrivere alcune pagine di storia della resistenza. In primis quella della strage di Rovetta. Non ho il coraggio di rendere pubblico il sospetto, la possibilità che esce da queste carte. 

Mi rivolgo a chi sa. Cos’hai, cos’avete da perdere? Quale era la cifra pagata? Chi era l’eminenza grigia arrivata con un’automobile lussuosa a dare l’ordine della strage, proveniente da Bergamo? 

Non è mai troppo tardi per queste cose. 
 


 
 
 
 
 

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mercoledì 26 aprile 2017

AVANGUARDIA LOMBARDIA IN FESTA

 OGGI 27 APRILE ORE 19:30
 
LA COMUNITA' AVANGUARDISTA BRESCIANA
 
ORGANIZZA
CENA COMUNITARIA
 
OSTERIA DELLE ROSE
Via Rose,16/A 
Brescia
Uscita Autostrada A4 Brescia Ovest
 
IMPORTANTE ESSERCI !
PERCHE' NON E' SOLO UNA CENA . . .
 
 
 
 

I GIORNI DELL'ODIO: SANTI E MAFFEI ASSASSINATI DAL "TRIBUNALE DEL POPOLO "

A  CARPANETO DI VENEZIA 


LA VITTORIA DELLA INSURREZIONE 
SI COMPIE CON IL PROCESSO 
AL PROF. TULLIO SANTI 
INSEGNANTE, EDUCATORE 
E BENEFATTORE VENEZIANO.
SANTI CON IL FASCISTA MARIO MAFFEI 
CON  LUI CATTURATO, 
SONO COLPEVOLI SEMPLICEMENTE 
DI AVER ADERITO ALLA R.S.I.

La mattina del 30 aprile 1945 a Mestre 
nella caserma dei Carabinieri 
di Viale Garibaldi 
il "tribunale del popolo" costituitosi 
per ordine del locale Cln 
processò e giustiziò Tullio Santi e Mario Maffei 
 

Il "tribunale del popolo" presieduto dall' Avv. Remor di Mestre


L' Avv. Remor pronunciata la sentenza di morte






Nell' immagine agghiacciante il Prof. Tullio Santi 
mentre viene portato dai partigiani 
alla morte. Tullio Santi , prima di essere fucilato, 
fu seviziato e picchiato selvaggiamente.
Nella sua mano sinistra c' è uno straccio intriso di sangue. 
Per spregio gli hanno fatto indossare 
un vecchio pastrano militare. 
Santi nonostante tutto avanza con passo fermo 
verso il tribunale del popolo. 



Per dileggio lo hanno costretto a imbracciare 
un pezzo di legno al quale 
hanno appeso uno straccio nero a mo' di gagliardetto. 
Ugualmente fiero risponde alle
menzogne dell' accusa.



Mario Maffei prima della fucilazione



Tullio Santi e Mario Maffei, tutti e due sull' attenti, 
attendono l' esecuzione




I corpi di Tullio Santi e di Mario Maffei


 
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INFAMI ! ONORE AD ANTONIO LOCATELLI, EROE DI BERGAMO E D'ITALIA

 
IL FIORE DEL PARTIGIANO HA DATO LA RIPROVA DELLA SUA PUZZA
TRAMITE I SUOI NIPOTINI
 
 
 ONORE AD
 Antonio Locatelli tre volte
Medaglia d'oro
 Eroe della Guerra e della Rivoluzione
 
 
Riportiamo per intero l'articolo del Corriere della sera
 
«Assassino»: imbrattata
la fontana di Locatelli
E l’Isrec attacca su Paglia
 
Scritta sul monumento, polemica sul padre del partigiano
 
Sul 25 Aprile si allunga l’ombra dei blitz contro la memoria di Antonio Locatelli, come accadde il 3 ottobre 2015 (80 anni esatti dall’inizio della guerra d’Etiopia) quando fu gettata vernice rossa nella fontana intitolata all’aviatore bergamasco. Nella notte tra lunedì e ieri i cartelli di via Locatelli sono stati coperti con la dicitura: «A. Locatelli - Partigiana». E in giornata la scritta «assassino», con spray blu, è spuntata proprio sulla fontana. «I soliti cretini — ha commentato l'assessore Marco Brembilla —. In una giornata di festa non c’era nessuno che potesse intervenire. Domani (oggi per chi legge, ndr) una ditta specializzata si attiverà rapidamente per la pulizia».
  
Sempre ieri, il presidente dell’Isrec Angelo Bendotti ha aperto un nuovo fronte, in materia di intitolazioni. Fra le vie «inammissibili», secondo Bendotti, c’è anche via Paglia. «Alla fine della guerra fu dedicata a Giorgio, eroe della Resistenza — ha raccontato —. Il consiglio comunale negli anni ‘50 aggiunse il padre, Guido: anche lui medaglia d’oro, ma nell’aggressione all’Etiopia del 1936». Destini diversi. Dopo la cattura alla Malga Lunga Giorgio avrebbe potuto salvarsi grazie al ricordo delle imprese paterne, ma preferì la fucilazione con gli altri partigiani.
La disputa sulla cittadinanza onoraria a Mussolini è stata invece riaccesa da un appello di Paolo Berizzi, l’inviato di Repubblica sotto protezione delle forze dell’ordine a causa di una serie di minacce provenienti da ambienti neonazisti di cui ha scritto in più inchieste. «Revochiamo la cittadinanza — ha detto —. Non è una sterile rivincita a posteriori, ma un segno di civiltà». Giorgio Gori ribadisce la linea già espressa un paio d’anni fa: «Non cambio idea. Sarebbe revisionismo, un errore che creerebbe fratture: invece rimane lì come monito di come si possa sbagliare».
 
Appena può rinunciare all’ombrello, la fiumana del 25 Aprile issa le bandiere. Quelle rosse di sinistra e della Cgil, vessilli cubani o dell’Ypg, il partito-milizia curdo. Il Pd, oltre alle insegne di partito, sventola il blu dell’Ue, lo fa anche Gori, accogliendo l’invito dei dem milanesi. Il sindaco ricorda «chi cerca libertà, dignità e pace a pochi chilometri dai nostri confini». I centri sociali contestano: fischi e cori («Venduto!») che si spengono dopo gli applausi di solidarietà della platea. «Senza Europa unita, non c’è pace — arringa Gori —. Si sono evidenziati squilibri ed egoismi, una visione tecnocratica che ha portato a una crisi di fiducia, ma dobbiamo batterci per l’Europa».
 
Riparte da «pace, solidarietà, cibo, partecipazione» il presidente della Provincia, Matteo Rossi: «Resistenza vuol dire rompere il silenzio sulla violenza che distrugge il mondo. Chi bussa alle nostre porte si sente dire: “Aiutiamoli a casa loro”. Ma quale casa, se non ne hanno più?». La banda suona, qualcuno intona «Bella ciao». Il camioncino dei centri sociali vira sui «Cento passi» per Peppino Impastato e sui comizi anti sistema.
 
Racconta i giorni del dramma Giovanni Grassi, 97 anni, uno dei pochi reduci della divisione Acqui: i «martiri» di stanza a Cefalonia. La scelta di non arrendersi, le esecuzioni sommarie dei tedeschi. Le sue parole azzerano il caos chiassoso. Il 25 Aprile è anche commozione collettiva e solenne, la città che si stringe nel ricordo, le corone deposte al monumento al Partigiano e sotto la Torre dei Caduti.
 
FONTE: