lunedì 27 febbraio 2017

PORTIAMO IL TRICOLORE IN TRIBUNALE


30 marzo sentenza storica a Trani.
Ci siamo. Quella massiccia ondata di tagli al rating italiano che portò i tecnocrati della falsa Europa al governo del nostro Paese arriva a sentenza. Il prossimo 30 Marzo i giudici del Tribunale di Trani si esprimeranno sulle condanne per manipolazione aggravata e continuata ai danni del nostro Paese, che il Pubblico Ministero Michele Ruggiero ha motivato nell'ambito di un'arringa durata oltre 8 ore, scoperchiando i legami tra le propaggini bancarie della City di Londra, note come agenzie di rating, e gli alti dirigenti del Tesoro italiano.
Un intrigo costato decine di miliardi di danni erariali (oltre 120 miliardi secondo la Corte dei Conti), che ha dischiuso la strada all'inasprimento di quella menzogna che si chiama austerità sul cui altare stiamo sacrificando ogni anno miliardi di euro di PIL e interessi passivi su un indebitamento dilagante.
E' una sentenza strategica perché rafforzerebbe i filoni di indagine su altri reati connessi relativi ai derivati truffa, all'insider trading, alla manipolazione dei tassi di mercato e potrebbe portarci a ridosso di quella che è la madre di tutte le battaglie: il debito pubblico, lo strumento principe che il settore finanziario usa per esercitare la propria governance sugli esecutivi nazionali e per estrarre ricchezza dalle famiglie e dalla pubblica amministrazione.
Vincere la battaglia sul rating potrebbe cambiare la direzione della guerra in atto.
L'ho detto e lo ripeto: non è una categoria professionale contro un'altra, non è una guerra tra poveri come capita spesso di vedere in questi giorni. Si tratta della vera guerra che contrappone il popolo italiano alle banche della City di Londra e di Wall Street, proprietarie di Standard&Poor's.
I media main-stream cercheranno di minimizzare ma io ci sarò, con Pandora TV e con altri bloggers indipendenti, quelli che il DDL Gambaro vorrebbe imbavagliare punendo con la reclusione fino a due anni.
Chi vorrà unirsi sarà il benvenuto. Ciascuno a titolo personale ma a nome degli italiani e delle popolazioni europee che sono vittima delle stesse oligarchie finanziarie. Spiegherò tutto nei post che seguiranno.
Attenderemo la sentenza dentro e fuori il Tribunale con in mano i tricolori, intervistando chi ha seguito il caso, opinionisti, giornalisti e bloggers che si sono distinti per un pensiero non-conforme.  
Faremo sentire la nostra vicinanza a Michele Ruggiero, che ha guidato con grande coraggio e determinazione questo contrattacco, dimostrando che gli italiani hanno capito e che da questo momento non arretreranno più di un solo centimetro.
di Alberto Micalizzi
 

sabato 25 febbraio 2017

MIKIS MANTAKAS PRESENTE

 
Da giorni, nelle strade della Capitale, si combatteva per la conquista del territorio e dello spazio antistante all’ingresso del Palazzo di Giustizia, in Piazzale Clodio. Il 24 febbraio del 1975, nell’aula della prima Corte d’Assise del Tribunale Penale, si svolse il processo contro i tre militanti di Potere Operaio accusati di omicidio per la strage del Rogo di Primavalle, dove persero la vita i fratelli Stefano e Virgilio Mattei.
Il processo divenne il luogo – simbolo dello scontro tra le due verità. I primi a capirlo furono i missini che si presentarono in massa. Alle nove del mattino l’aula venne chiusa al pubblico, trenta esponenti di sinistra, trenta di destra e trenta poliziotti in borghese. Fuori, invece, rimasero solo i giovani del Fuan. Alle dieci e trenta i militanti di sinistra di riorganizzarono formando un corteo e puntando dritti al Tribunale al grido di “Lollo libero”. La polizia intervenne, ma esplose la violenza. Tafferugli, molotov e auto incendiate. Due poliziotti e un missino feriti, un arresto, Stefano Salpietro diciannove anni, militante di sinistra trovato in possesso di una sbarra di ferro. Alle undici e trenta un commissario di pubblica sicurezza, Pietro Scrifana, fu stroncato da un infarto mentre era in servizio. Il secondo giorno, il 25 febbraio, i militanti di sinistra si organizzarono meglio, riuscendo, alle otto e trenta, a guadagnare per primi l’ingresso al Tribunale. I missini furono costretti ad attaccare la scalinata, ma la battaglia durò poco grazie all’intervento delle Forze dell’Ordine. La tensione salì la sera, quando i locali dell’Accademia pugilistica romana di Angelino Rossi, fu assaltata da un commando a viso coperto e muniti di bottiglie molotov. Per fortuna nessun ferito, ma il giorno dopo, l’attentato, fu rivendicato da Lotta Continua.
Il terzo giorno, il 28 febbraio, la battaglia iniziò alle sei e trenta del mattino, quando i due eserciti tentarono ancora una volta di guadagnare per primi l’ingresso all’aula. Lanci di pietra, bulloni e altri oggetti, fino a quando non intervenne nuovamente la Polizia. Gli scontri proseguirono fino in via Suora della Carità e si udirono alcuni colpi di pistola. Uno sconosciuto aveva esploso tre colpi di pistola calibro sette e sessantacinque contro Morice Guido, dirigente del Fronte della Gioventù. La prima volta che si sparava per politica nelle strade della Capitale a viso scoperto e armi in pugno. I dimostranti diedero fuoco ai sacchi di rifiuti della nettezza urbana e tentarono di penetrare all’interno della sede della Rai. Intanto un altro corteo non autorizzato, formato da militanti di sinistra, partì dal quartiere di Primavalle e raggiunse in tre diverse direzioni il Palazzo di Giustizia. Un ragazzo, Vincenzo Lazzara, fu colpito da un mattone provocandogli la frattura del braccio. Un altro giovane venne ferito al ginocchio da un proiettile calibro sei e sessantacinque. Anche all’interno dell’aula si verificò una scaramuccia meno grave ma la più importante della giornata. Due ragazzi, un militante di sinistra con impermeabile chiaro e un maglione, e un militante di destra con capelli corti, arrivano ai ferri corti. I due furono fermati e identificati dagli agenti di pubblica sicurezza. Il ragazzo di destra era nato a Reggio Calabria e si chiamava Luigi D’Addio. Il ragazzo di sinistra, invece, si chiamava Alvaro Lojacono, rilasciato alle undici grazie all’intervento di un avvocato. Intanto altri missini, Umberto Croppi e Mikis Mantakas, era riusciti ad entrare in aula ma divisi dalla precipitazione degli eventi. Quando all’una l’udienza fu rinviata, i militanti missini, asserragliati nel Tribunale si organizzarono per arrivare incolumi fino all’avamposto più vicino, la sezione di via Ottaviano. Un primo drappello, tra cui Mikis Mantakas, riuscì a superare il cordone e arrivare a destinazione. Gli altri, tra cui Umberto Croppi, fu costretto ad aspettare una Fiat 128 che faceva da spola, trasferendo quattro persone alla volta. All’una e un quarto, in via Ottaviano, vi erano poco più di venticinque militanti, quando le prime molotov iniziarono a piovere sul portone del palazzo. La sezione era costituita da un piccolo labirinto di stanza e stanzette, con un profondo sottoscala, sotto il livello del suolo. Ma il palazzo aveva anche un altro ingresso, quello che dava su Piazza Risorgimento. Mentre il corridoio era già invaso dal fumo e dalle fiamme, i missini, decisero di dividersi e sfruttare l’effetto sorpresa, azzardando una disperata controffensiva per prendere alle spalle il commando. Una decina di giovani uscirono dall’ingresso della Piazza e corsero verso via Ottaviano. Ma arrivati all’angolo furono accolti da una pioggia di fuoco. Mikis Mantakas, ventitre anni, cadde a terra. Un proiettile lo aveva colpito al cranio trapassandogli la regione parietale sinistra. Perse conoscenza ma ancora vivo. Al suo fianco vi era un ragazzo, Franco Anselmi, munito di passamontagna e bagnato da un fiotto di sangue schizzato via dalla testa di Mikis Mantakas. Per anni conservò il passamontagna come una reliquia. I ragazzi della sezione raccolsero il corpo e con la forza della disperazione tornarono verso il portone posteriore. Il soprabito di Mikis Mantakas prese fuoco. Gli assediati riuscirono ad entrare nell’atrio e a barricare il portone. Fuori, gli assedianti sradicarono un palo della segnaletica stradale e lo usarono come ariete per sfondare il portone. Mentre i colpi del palo risuonavano nel cortile, i missini, decisero di chiudere il corpo di Mikis Mantakas, ancora vivo, in uno dei tre garage del cortile sorvegliato da un amico. Gli altri, invece, ripiegarono verso la sezione rifugiandosi nel sotterraneo. Sfondato il portone, il commando, non accorgendosi della saracinesca della sezione abbassata, puntarono sul garage centrale crivellandolo di pallottole. Mikis Mantakas e il suo custode si trovarono però nel garage di fianco. In quel momento una nuova pattuglia di missini, che tornava da fuori, irruppe nel cortile e gli assalitori decisero di abbandonare il campo. Nell’atrio cadde un altro missino, Fabio Rolli, colpito al fianco da una pallottola calibro sette e sessantacinque, che si trovava sulla via di fuga del commando. Arrivato a via Ottaviano, Umberto Croppi, capì che per l’amico non vi erano più speranze. Infatti, trasportato d’urgenza in ospedale, il cuore di Mikis Mantakas smise di battere dopo due ore dall’agguato. In quei momenti di confusione, un poliziotto, Luigi Di Iorio, centralinista nel vicino Commissariato di Borgo, mentre attraversava Piazza Risorgimento con la sua auto, una Fiat 850, vide materializzarsi due individui armati che si allontanavano dalla Piazza correndo con le pistole in pugno. Il primo, di media statura, alto circa un metro e settanta con un impermeabile chiaro. Il secondo, invece, più alto con i baffi e sempre con un impermeabile chiaro. L’appuntato scese dall’auto, estrasse la pistola d’ordinanza e iniziò l’inseguimento verso Borgo Pio. Uno dei due si girò e, sempre correndo, sparò due colpi. Come nei film, decisero di dividersi. Il più basso girò verso destra, l’altro, più alto, verso sinistra. L’agente Di Iorio decise di inseguire il primo quello che aveva sparato. Ma per qualche istante lo perse di vista. A quel punto fu avvertito da una persona anziana che il fuggitivo si era infilato in un portone, al numero ottantacinque di via Del Falco. Intanto una pattuglia della Polizia giunse sul posto. Entrarono nel portone e l’appuntato vide un giovane che scendeva. Indossava un paio di pantaloni blu, un maglione beige, ma niente impermeabile. Mentre gli altri agenti fermarono e perquisirono il ragazzo, Luigi Di Iorio, salì al primo piano e trovò un impermeabile di colore chiaro. Al secondo piano, invece, in un angolo, vi era una pistola Beretta calibro sette e sessantacinque, colpo in canna e un caricatore da sei colpi. Il giovane fu identificato come Fabrizio Panzieri che subito si dichiarò innocente ed estraneo ai fatti. A incastrare l’altro individuo furono le testimonianze di alcuni missini, ma non solo, che si presentarono spontaneamente dai Carabinieri. Prima Franco Medici, poi, Alessandro Rosa e infine, Fernando Maiolo. Tutti confermarono che a sparare quel pomeriggio fu Alvaro Lojacono, l’uomo che fu identificato dalla polizia alcune ore prima nell’aula del Tribunale.
Mikis Mantakas nacque ad Atene il 13 luglio del 1952 ed era cresciuto in un quartiere residenziale, il Papagos. Il padre, Nikos Mantakas, era un Generale in pensione, aveva guidato le truppe partigiane durante la guerra contro il nazifascismo a Creta. La madre, Calliope, era antifascista e oppositrice attiva del regime. Mikis Mantakas, nel 1969, decise di trasferirsi in Italia. A Bologna, lo zio gestiva una clinica privata e il suo primo obiettivo era di laurearsi e lavorare con lui. Si iscrisse all’Università presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, ma fu costretto a trasferirsi a causa di un’aggressione, per motivi politici, subita di fronte all’istituto di biologia. Ricoverato in ospedale con quaranta giorni di prognosi, decise di iscriversi all’Università La Sapienza di Roma. Nel 1970, in Grecia, una dittatura fascista aveva preso il potere e per un greco in Italia significava o essere fascista o antifascista. Mikis Mantakas si avvicinò alle idee più lontane da quelle dei suoi genitori. Frequentava il bar di via Siena, molto vicino alla facoltà, dove conobbe i ragazzi del Fuan. Una comunità affiatata e cameratesca. Conobbe anche una ragazza, Sabrina Andolina*, poco più piccola di lui, molto carina, lavorava come segretaria nella Sede Nazionale di via Quattro Fontane, con il Presidente del Fronte della Gioventù, Luciano Laffranco. Mensilmente, Mikis Mantakas, riceveva dal padre un assegno di centocinquantasette mila lire che serviva per pagare l’affitto di un piccolo appartamento che divideva con altre persone, le telefonate a casa e qualche libro. Si era iscritto al Fuan solo da sei mesi. Uno dei suoi migliori amici fu Umberto Croppi, leader della corrente rautiana, il camerata che quel 28 febbraio lo accompagnò al suo appuntamento con il destino.
I funerali si svolsero a Roma, nella chiesa di Piazza della Minerva, riempita da una folla che straboccava nelle vie laterali. Al termine della messa, Giorgio Almirante, Segretario del Movimento Sociale Italiano, si fermò sulla scalinata dove improvvisò un discorso a braccio di sei minuti.
Come per Lollo, Clavo e Grillo, anche Fabrizio Panzieri e Alvaro Lojacono, divennero i due simboli della sinistra extraparlamentare. Si mobilitarono il Soccorso Rosso, Dario Fo e Franca Rame, gli ideologi Vittorio Foa, Aldo Natoli e Antonio Landolfi, componenti del “Comitato per la liberazione di Panzieri”. Il comitato fu presieduto dal Senatore Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente e firmatario della Costituzione Italiana. Il processo di primo grado contro Fabrizio Panzieri e Alvaro Lojacono, militanti di Potere Operaio, si concluse nel marzo del 1977 con la condanna a nove anni e sei mesi di reclusione per concorso morale in omicidio a Panzieri. Assoluzione, invece, per insufficienza di prove a Lojacono. Il processo di secondo grado, presieduto dal Giudice Filippo Mancuso, nel maggio del 1980, si concluse con la condanna a sedici anni di reclusione per entrambi. Ma un ricorso in Cassazione riuscì a bloccare l’esecutività della sentenza per Alvaro Lojacono e, nonostante la condanna, rimase in libertà per poi fuggire prima, in Algeria, e poi, nel Canton Ticino, in Svizzera assumendo il cognome della madre. Più tardi si fece luce sulla sua partecipazione alla lotta armata, prima e dopo la sentenza di quell’anno. Nel 1978 fu accertata la sua presenza nel commando delle Brigate Rosse che rapì Aldo Moro e uccise la sua scorta. Nel 1981, fu incriminato per il rapimento Cirillo. Nel 1982 per l’omicidio dell’assessore campano, Raffaele Delcogliano. Nel 1983, fu condannato all’ergastolo per l’omicidio del Magistrato Girolamo Tartaglione, del consigliere della Democrazia Cristiana Italo Schettini, degli agenti di pubblica sicurezza Ollanu e Mea, per l’uccisione del Colonnello dei Carabinieri, Antonio Varisco, e per l’assassinio del Maresciallo di Polizia, Mariano Romiti. La Svizzera non concesse mai l’estradizione anche se fu arrestato nel 1988 a Lugano e condannato a 17 anni di reclusione per il caso Tartaglione. Dopo nove anni, nel 1997, ottenne dal Tribunale elvetico la semilibertà per seguire un corso di giornalismo e nel 1999 divenne un uomo libero. Anche Fabrizio Panzieri, approfittando di una scarcerazione, si diede alla latitanza. Gli inquirenti accertarono la sua affiliazione alle “Unità Comuniste Combattenti”, attive tra il 1977 e il 1979 nel Lazio, Toscana e Calabria, condannato, nel 1982, a ventuno anni di reclusione.
Ancora oggi risulta latitante. Non persero troppo tempo a ringraziare, una volta usciti di cella, approfittando della prima occasione per scappare, senza concedere a chi aveva creduto nella loro innocenza nemmeno il conforto di una verità illusoria. Se Fabrizio Panzieri e Alvaro Lojacono fossero stati tenuti in carcere, la loro manovalanza sarebbe stata sottratta alla confezione di numerosi omicidi.
 
*Sabrina, la ragazza di Mikis, il giorno dopo, scrisse una struggente lettera d'addio pubblicata sul "Secolo d'Italia". Proprio quella lettera ispirò a Carlo Venturino, leader del gruppo musicale "Amici del Vento", una delle più belle canzoni di musica alternativa, rimasta per oltre vent'anni il simbolo del martirio dei giovani di destra: "Nel suo nome".




Ragazza che aspettavi, un giorno come tanti:

un cinema, una pizza, per stare un po' con lui,
dai apri la tua porta, che vengo per parlarti...


"Sai, stasera... in piazza... erano tanti, e...
il tuo ragazzo è morto...
è morto questa sera".


Vent'anni sono pochi per farsi aprir la testa
dall'odio di chi invidia la nostra gioventù,
di chi uno straccio rosso ha usato per bandiera,

perché non ha il coraggio di servirne una vera.

La gioventù d'Europa stasera piangerà
chi è morto in primavera per la sua Fedeltà.


Le idee fanno paura a questa società,
ma ancora più paura può far la Fedeltà:
la Fedeltà a una terra, la Fedeltà a un amore,
sono cose troppo grandi per chi non ha più cuore.

Un fiore di ciliegio tu porta tra i capelli,
vedendoti passare ti riconoscerò e...


Sole d'Occidente che accogli il nostro amico,
ritorna a illuminare il nostro mondo antico.
Dai colli dell'Eterna ritornino i cavalli,
che portano gli eroi di questo mondo stanchi.

 
Ragazza del mio amico, che è morto questa sera,
il fiore tra i capelli no, non ti appassirà.
Di questo tuo dolore, noi faremo una bandiera,
nel buio della notte una fiamma brillerà.


Sarà la nostra fiamma, saranno i tuoi vent'anni,
la nostra primavera sarà la libertà.

IL MONDO AL CONTRARIO

Il Politicamente Corretto ha, un unico obiettivo: la dissoluzione dell’Occidente, quello aristotelico, solare, forte, logico, l’unico autentico ostacolo alla dominazione mondiale delle anime.
 
 
Gli Ebrei sono il popolo più considerevole della storia mondiale perché essi, posti davanti alla questione se essere o non essere, hanno scelto … l’essere a ogni costo: questo costo fu la falsificazione di ogni natura, di ogni naturalezza, di ogni realtà, dell’intero mondo interiore non meno che dell’esteriore. Essi si trincerano contro tutte le condizioni alle quali, fino a quel momento, a un popolo era possibile vivere, era consentito vivere: crearono, estraendola da sé stessi, un’antitesi concettuale alle condizioni naturali, – in maniera irreversibile essi hanno, nell’ordine, rovesciato la religione, il culto, la morale, la storia, la psicologia nella contraddizione ai loro valori naturali“.

Sono alcune considerazioni di Friedrich Nietzsche tratte da L’Anticristo. Il filosofo va alle radici della décadence cristiana e le ritrova nello snaturamento di valori operato dalla teologia ebraica: “Il prete svaluta, dissacra la natura …“, si inventa cioè un mondo al contrario dove l’antico ordine (di cui l’istinto vitale, la bellezza e la morale erano i fondamenti) viene sovvertito e sostituito da un nuovo ordine assolutamente irreale, antinaturale, piccino, risentito, compassionevole sino all’idiozia.
Tale décadence, inoltre è solo una recita, avverte Nietzsche, “solo un mezzo: questa specie d’uomini ha un interesse vitale nel rendere malato il genere umano e nel capovolgere in un significato esiziale per la vita e denigratorio per il mondo i concetti di ‘buono’ e ‘cattivo’, di ‘vero’ e ‘falso’ …“.
Invertire le coordinate vitali dell’esistenza: questo l’assalto al cielo tentato dalla Globalizzazione.
Basta sostituire col termine “democratico” o “progressista” o “PolCor” la parola “irreale” e si avrà la formula del più gigantesco tentativo di sradicamento culturale mai tentato: un venerato pantheon di valori “PolCor” che sostituisce il vecchio ordine, unico ostacolo al potere assoluto.
Come gli Ebrei rinnegarono sé stessi dando vita, secondo Nietzsche, al Cristianesimo, oggi si nega l’Occidente (la cultura occidentale nel suo complesso) per instaurare il Politicamente Corretto, ovvero una struttura senza alcun attinenza con la natura, la realtà, la morale, la logica e la tradizione dei millenni scorsi: un mondo virtuale di bontà infinita, compassione pelosa, inesistente, falso, minimale, deleterio, che viene introiettato a forza e produce un’umanità psicotica, belante, servile, sommamente idiota.
Il PolCor è un mezzo, non un fine.
Il PolCor agisce in parallelo con la dominazione finanziaria: ne è il braccio ideologico e psicologico.
Il PolCor ha, per ora, un unico obiettivo: la dissoluzione dell’Occidente, quello aristotelico, solare, forte, logico, l’unico autentico ostacolo alla dominazione mondiale delle anime.
In nessun altra porzione d’umanità batte un così possente cuore di cultura e storia tale da opporsi a questo disegno ciclopico.
Se l’Occidente cade è finita.
Il PolCor agisce in modo semplicissimo: con l’inversione dei ruoli e del sentimento naturale. La mia citazione preferita è sempre quella delle streghe del Macbeth: “Il bello è brutto e il brutto è bello“: questo è il PolCor in un guscio di noce.
Tutto ciò che prima era logico, naturale, consequenziale, bello (non in senso assoluto, beninteso, ma quale distillato d’una tradizione, quella occidentale appunto) è considerato, ora, brutto, obsoleto, ridicolo, razzista, antidemocratico, cattivo; e viceversa.
L’attacco è portato avanti su più livelli, in ogni campo: l’obiettivo è detronizzare il vecchio e instaurare il nuovo innaturale che, col tempo e la coercizione, verrà assimilato e considerato naturale. A quel punto non ci sarà più nulla da fare.
Questo piano d’azione, facile, spietato, sistematico e immane allo stesso tempo, è già in fase avanzata.
L’indistinzione e l’inversione sessuale, il via libera alle perversioni (la pederastia e la pedofilia sono alle porte), l’omosessualità come valore, la pazzia come valore, la provocazione dell’orrido postmoderno in luogo dell’arte, la globalizzazione oltranzista, la stupidità e l’ignoranza come valore, l’illogico come valore: questo il sabba delle streghe in cui siamo costretti a danzare.
La devastazione del passato, delle scuole e delle università, la parcellizzazione del sapere, lo scientismo ottuso, la lenta pauperizzazione, il dilagare del virtuale in luogo del tangibile, la sparizione dei commerci, l’ecologismo isterico, l’estinzione del lavoro, l’individualismo spacciato per libertà, l’annientamento delle comunità, la sussunzione delle industrie e dell’agricoltura nelle multinazionali: ecco il “progresso”, ecco la “democrazia”: termini nobili e innocenti ormai snaturati sino a incarnarsi nell’opposto della democrazia e del progresso.
Credere che Marina Abramovich sia un’artista o che Frank Geary sia un architetto o che Los Angeles sia una città significa vivere in un mondo alternativo e rovesciato: il perfetto contrario del giusto. L’Occidente deve tornare a essere ciò che è sempre stato, coi terrori e le grandezze, occorre riguadagnare la normalità, il buon senso, la profondità storica che ci riallaccia ai nostri veri antenati; bisogna riconquistare il tertium non datur della logica, che il “no” sia un “no” e il “sì” un “sì”; riconoscere, una volta per tutte, che il “nulla di troppo” e il “conosci te stesso” non sono proverbi o motti, bensì ammonimenti alle soglie del nichilismo.
Occorre gettare alle ortiche la destra e la sinistra, questi formidabili inciampi, e divenire felicemente reazionari … ovvero, in un mondo al contrario come lo delinea oggi il PolCor, gioiosamente rivoluzionari … Pasolini, che scriveva da un’altra epoca, già presentiva tutto: la sinistra comunista deve appropriarsi di parte dell’ideologia di destra, diceva. I sessantottini, i “nuovi filosofi” del nulla che comunisti non erano di sicuro, ma goliardi PolCor, ovviamente dissentivano, tra champagne e molotov.
La reazione, che sarà una bella rivoluzione, si compone di atti minimi. Molti di noi li rigetteranno: cosa dice questo? Questa piccineria, tale sciocchezza, dovrebbe contribuire a salvarci?
Sì, solo un’etica quotidiana ci salverà. Persino rivendicare la calligrafia diverrà rivoluzionario. Il rigetto della pornografia e della libertà come devianza lo sarà. Richiedere l’abbattimento di aborti come La Chiesa di Foligno di Fuksas lo sarà. Ogni tentativo del PolCor di instaurare un regno dell’incontrario dovrà essere rintuzzato. Dare sulla voce alla pletora di maestrine che lavano il cervello ai ragazzini con le scemenze sull’identità di genere lo sarà. Salvaguardare un affresco, un’epigrafe, un camminamento medioevale, persino un sasso o un tronco secolare lo sarà. Rifiutare in massa il regime hollywoodiano, le sciocchezze dei Grammy, degli Oscar e tutto lo squallido caravanserraglio dell’avanspettacolo parafiliaco. Non abbonarsi alle piattaforme dei telefilm. Rifiutare la droga. Disinstallare WhatsApp (lo,so, è dura …).
Rifiutare le Ong, i Telethon, la lacrima sul migrante. Non comprare alcun tipo di giornale (questa è facile). Creare biblioteche. Respirare aria pura. Leggere libri buoni, chiari, classici (Maupassant, Orazio, Simenon) dove anche l’interiorità più oscura risalta alla luce della compostezza.
Non aver timore di affermare che Basaglia e la pletora di libertari suoi pari erano pericolosi eversori e che la normalità esiste: per il semplice fatto che, senza la normalità, non esisterebbe nemmeno il fascino dell’anormale e del diverso. Il diverso va considerato diverso, altro dalla comunità, e non la norma, appunto (e il diverso andrà rispettato nella sua conclamata diversità). Negare le “conquiste” radicali dei Settanta. Rigettare in gola al salmone Pannella le sue ultime vociferazioni: “Tranquilli, abbiamo vinto …“; questo sarebbe davvero “il progresso”.
Ricondurre l’Occidente nell’antico covile della razionalità, in cui A=A, questo sarà rivoluzionario: e per far ciò, come detto, occorrono fior di reazionari … Trump che cancella i “diritti” dei transgender è un reazionario che fa la rivoluzione. Ma come, siamo alle soglie della Terza Guerra, e questo perde tempo con tali sciocchezze? Forse è il suo atto politico più importante … nessuno sceglie i tempi in cui vivere, né le battaglie e nemmeno il modo in cui vanno intraprese. Il catalogo è questo. O le si combatte oppure no.

di Alceste

Fonte: http://pauperclass.myblog.it

giovedì 23 febbraio 2017

VOGLIONO SOFFOCARE IL DISSENSO





Ddl contro fake news, Ziccardi: “Testo liberticida, tra Orwell e Kafka. Punta a controllare dissenso e informazione”

Il professore di Informatica giuridica all'Università degli Studi di Milano commenta il disegno di legge presentato al Senato. Un "testo confuso che non stabilisce neanche con quali criteri definire una falsa notizia"

di Eleonora Bianchini.


Un testo confuso, che punta ad attaccare il libero dissenso in rete e confonde fake news e pedopornografia. In più, Internet non è il far west, ma un luogo già "iper regolamentato" dove non deve essere un legislatore o un provider "sceriffo" a censurare le informazioni. Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all'Università degli Studi di Milano, commenta il ddl contro le fake news presentato nei giorni scorsi al Senato (qui il testo). Una proposta "liberticida" che vuole imporre nuove regole a siti e forum, applicando anche l'aggravante della diffusione a mezzo stampa.
Da esperto di diritto delle nuove tecnologie, cosa pensa del ddl?Credo sia inopportuno, pericoloso e censorio. Nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Lo trovo soprattutto impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Punta a soffocare il dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni gli utenti e i provider. Dall'altra parte "salva", per molti versi, i due principali vettori di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella relazione introduttiva si fa riferimento a "fake news", a espressioni che istigano all'odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra loro.
Quali sono i punti più critici?Partiamo dalle pagine della Relazione introduttiva, dove si spiegano le motivazioni del provvedimento: sono molto chiare, fanno capire bene quale sia l'intento. Già nel titolo, s'individuano tre scopi eterogenei tra loro: prevenire la manipolazione dell'informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l'alfabetizzazione mediatica. Tutti temi con esigenze differenti e che richiedono approcci originali e ben calibrati.
Il testo nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Ed è impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico
Nelle stesse pagine vengono elencati anche i pregi di Internet, sottolineando quanto sia importante per la democrazia. 

Sì, per poi passare a giustificare una regolamentazione, per occuparsi del "lato più oscuro". Bisogna sempre diffidare di chi tratta la regolamentazione della rete elencandone, prima, i pregi, a partire dalla sua natura di grande strumento di libertà. Di solito a questo segue la scure della regolamentazione selvaggia.
 
Di fatto, già dopo poche righe leggiamo la parola "controllo".

Sì, come in questo passaggio: "La libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell'ambito dell'informazione, vuol dire fornire una notizia corretta a tutela degli utenti".
 
 
Non si capisce, però, chi debba stabilire quali notizie siano o meno corrette. 
Si parla di notizie sbagliate e distorte o, peggio, manipolate, che non sarebbero "mai circolate alla velocità con cui circolano oggi". Di un'informazione che diventa disinformazione a fini di propaganda e influenza l'opinione pubblica, di una Rete contaminata da notizie inesatte e infondate. Viene disegnato un quadro terrificante. Ma si dimentica che non sono solo gli utenti, oggi, a far circolare simili notizie, ma anche organi di stampa e politica. Da tempo sostengo che l'odio e le fake news si siano "istituzionalizzate". Provengono, in sintesi, dai soggetti che, al contrario, dovrebbero dare l'esempio. In particolare media e politica: hanno scoperto che possono essere usate come "valuta" per guadagnare consenso, voti, click e lettori.

Da tempo sostengo che l'odio e le fake news si siano "istituzionalizzate". Provengono, in sintesi, dai soggetti che, al contrario, dovrebbero dare l'esempio
 
Nel ddl non ci sono soltanto le fake news. Si parla anche di istigazione all'odio, cyberbullismo e pedopornografia.
Tutti temi che non c'entrano nulla con la manipolazione delle notizie, ma che sono suggestivi e vengono aggiunti per disegnare un quadro ancora più fosco dove è necessaria, dunque, una regolamentazione. Il testo carica di responsabilità i provider con obblighi di monitoraggio e di rimozione dei contenuti falsi e chiede loro di utilizzare non meglio identificati "selettori software" per rimuovere i contenuti falsi, pedopornografici o violenti. Anche in questo provvedimento si intravede la crociata contro il Web e Facebook e la domanda di sanzioni nei confronti dei gestori di piattaforme.
Al di là della relazione introduttiva, cosa prevedono gli articoli del provvedimento?

Viene punito chi pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o non veritieri attraverso social media o altri siti che non siano espressione di giornalismo online. Già questa distinzione è significativa: non si vuole toccare il giornalismo online con l'assunto che sia maggiormente garantita una qualità dell'informazione. Cosa che non è sempre vera. Si vogliono evitare allarmi infondati e, in caso di diffamazione, la vittima potrebbe chiedere anche una somma a titolo di riparazione in base al grado di diffusione della notizia. Si applicherebbe, poi, l'aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata. L'attenzione è rivolta anche alla diffusione di notizie false che possano destare pubblico allarme o fuorviare settori dell'opinione pubblica. O che hanno come oggetto campagne volte a minare il processo democratico, quindi esplicitamente connesse all'opinione delle persone.

Vuole introdurre per siti e forum l'aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata
La novità riguarda anche chi vuole aprire un sito o un forum.

L'amministratore dovrebbe comunicare via posta certificata entro 15 giorni i dati alla sezione per la stampa e l'informazione del tribunale per aumentare la trasparenza e contrastare l'anonimato, garantendo così la tracciabilità. Un registro, in sintesi, di tutti coloro che scrivono. Se a questo si aggiunge un diritto di replica e di rettifica entro due giorni dalla richiesta, un processo di rimozione dei contenuti (diritto all'oblio) e un programma di alfabetizzazione mediatica con l'ingresso del "buon giornalismo" nelle scuole al fine di creare piccoli giornalisti ben attenti alla verità, il quadro di controllo è completo. Su tutto, ovviamente, la responsabilità dei provider, tenuti a effettuare un costante monitoraggio e un'azione di rimozione anche per i commenti degli utenti e per le frasi offensive che diventano di tendenza.

Viene citato anche il whistleblowing.

Sì, ma a sproposito, perché non c'entra nulla con le procedure di segnalazione degli utenti all'interno di una piattaforma.

In tutto questo, c'è qualche punto di forza nel testo, anche se da riformulare?

No, nessuno. Il testo nasce sbagliato, con un approccio liberticida. Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni. L'approccio al diritto deve essere equilibrato, non costruito attorno a sanzioni e responsabilità quasi oggettive, istituzione di registri e allargamento delle ipotesi penali, e deve sempre essere coordinato con un'azione tecnologica rispettosa del dna della rete.

Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni
E rimane un'incognita anche come intervenire a fronte di una "fake news".

È facile individuare bufale o notizie false clamorose, ma c'è un'area grigia difficilissima da disciplinare e che rientra nell'ambito dell'interpretazione soggettiva. In base a quali criteri stabilire che è una fake news? In che rapporto starebbe, ad esempio, con la satira? E chi dovrebbe stabilire cosa è falso o no? Il governo?

Nel complesso il testo è scritto da persone competenti?

Non lo so. Noto solo molta confusione nell'affiancare temi molto diversi tra loro e che richiedono approcci ad hoc (notizie false, espressioni d'odio, pedopornografia), il solito disvalore nei confronti dell'anonimato, il provider "sceriffo" al centro del sistema di responsabilità. E poi l'equiparazione alla stampa con un'estensione della ipotesi di diffamazione aggravata a mezzo stampa - procedimento non corretto - e la creazione di un elenco di siti tenuto in tribunale per individuare chi scrive e per evitare l'anonimato. Non mi sembra certo un approccio moderno, rispettoso del mezzo tecnologico e consapevole dei pregi della rete.

Il testo chiede a chi vuole aprire un sito di comunicare con posta elettronica certificata - ed entro 15 giorni - cognome e nome, domicilio, codice fiscale alla Sezione per la stampa e l'informazione del Tribunale competente. L'obiettivo, come dichiarato dalla Gambaro, prima firmataria, è che così si può "accrescere la trasparenza e contrastare l'anonimato" e "agevolare chi ha bisogno di rettifiche". Sarebbe utile in questo senso?

Non credo. Già in rete, oggi, l'identificazione è estremamente semplice. E questi obblighi sarebbero facilmente aggirabili utilizzando strumenti che permettono di aprire siti o blog su provider esteri in servizi nascosti, o utilizzando strumenti per il vero anonimato. La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi "non democratici", ma si è dimostrata facilmente aggirabile.

La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi "non democratici", ma si è dimostrata facilmente aggirabile
Chi diffama e offende da anonimo non è individuabile?

Il vero anonimato è estremamente complesso da raggiungere ed è estremamente difficile da portare avanti per un lungo periodo. Oggi, spesso, chi diffama o chi odia lo fa con nome e cognome, come vediamo scorrendo i social network. La polizia postale, oggi, è in grado di individuare i soggetti che scrivono o commentano con toni violenti.

Perché la lotta all'anonimato è sempre stata un chiodo fisso in tutte le proposte di leggi in Italia?

Perché si pensa che l'esposizione delle reali identità possa portare a cambiare i comportamenti, ma non è corretto. Oggi gran parte dell'odio viene veicolato con nome e cognome. In più perseguire chi diffama richiede l'avvio di un complesso percorso giudiziario. Che spesso i personaggi pubblici non vogliono portare avanti per motivi di immagine, per non apparire come un "Davide contro Golia" che se la prende con i più deboli.

In rete ci sono davvero profili "anonimi"?

Ci sono strumenti per l'anonimato, ma non sono quelli comunemente utilizzati nelle discussioni su larga scala, nei gruppi, sui social e nei commenti in coda agli articoli.

Il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero
Dal punto di vista legislativo, dovrebbero essere messi a punto nuovi strumenti e norme per ostacolare la diffusione di fake news?

Ci sono già strumenti che intervengono se una notizia falsa risulti diffamatoria o possa generare danni nel contesto sociale. Non mi sembra ci sia bisogno di altre leggi. Internet è già regolamentato. Viene presentato come un Far West ma, in realtà, è disciplinato in ogni suo aspetto.

E soprattutto: è un legislatore che deve pensare a come sanzionare chi diffonde false informazioni?

No, secondo me il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero. È un disegno di legge che alterna approcci di controllo orwelliani - come il registro di chi scrive - a strumenti kafkiani - la burocratizzazione dell'attività dei provider - per controllare la qualità dell'informazione che circola. Ma in tutto questo non si specificano i criteri da adottare. Lasciando così a chi governa il compito di decidere cosa sia verità e cosa non lo sia.

ABORTO: IL 70% DEI MEDICI E' CONTRARIO. MA LA REGIONE LAZIO NO

E ASSUME SOLO NON OBIETTORI
 
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In Italia, quasi 3 medici su 4 sono obiettori. Insomma, circa il 70% dice no all'aborto .
E' il quadro che emerge dalla 'Relazione del ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza', trasmessa al Parlamento con i dati relativi al 2014 e 2015.


 
Un dato significativo, che forse spiega in parte quanto deciso dalla Regione Lazio e dall'ospedale San Camillo in particolare: l'assunzione di due medici non obiettori vincitori del concorso a tempo indeterminato indetto per trovare operatori da assegnare "al Day Hospital e Day Surgery per l'applicazione della legge 194".

FONTE:
http://www.adnkronos.com/salute/sanita/2017/02/23/aborto-medici-dicono_fF1qQB7wqc9iXIIfREhaaN.html

mercoledì 22 febbraio 2017

TORINO: "VITTIMA VIOLENTATA DUE VOLTE"

 
 
 Torino, nove anni per celebrare l’appello e gli abusi
su bimba sono prescritti.
 Il giudice: “Vittima violentata due volte”
 
La vittima, che ora ha 27 anni, veniva maltrattata e abusata dal compagno della madre quando ne aveva appena 7. Un caso clamoroso di giustizia lumaca cheha visto l'inusuale commento del magistrato che ha dovuto emettere la sentenza: "Questo è un caso in cui bisogna chiedere scusa al popolo italiano" ha detto la giudice della Corte d'Appello Paola Dezani
di  | 21 febbraio 2017
Nove anni perché un processo iniziasse in appello. Ed è così che un uomo condannato a 12 anni in primo grado per violenza sessuale nei confronti di una bambina è stato prosciolto per intervenuta prescrizione. La vittima, che ora ha 27 anni, veniva maltrattata e abusata dal compagno della madre quando ne aveva appena 7. Un caso clamoroso di giustizia lumaca che, come riporta il quotidiano La Repubblica, ha visto l’inusuale commento del magistrato che ha dovuto emettere la sentenza: “Questo è un caso in cui bisogna chiedere scusa al popolo italiano” ha detto la giudice della Corte d’Appello Paola Dezani, ieri mattina.
Il presidente della corte d’Appello Arturo Soprano è consapevole che ingiustizia è stata fatta: “Si deve avere il coraggio di elogiarsi, ma anche quello di ammettere gli errori. Questa è un’ingiustizia per tutti, in cui la vittima è stata violentata due volte, la prima dal suo orco, la seconda dal sistema”. Anche il magistrato che ha sostenuto l’accusa ha espresso “il rammarico della procura generale per i lunghi tempi trascorsi”. Il processo secondo Soprano è durato troppo in primo grado, dal 1997 al 2007 e “poi ha atteso per nove anni di essere fissato in secondo”.
La piccola fu trovata per strada in condizioni pietose: aveva traumi e anche infezioni sessualmente trasmesse. La madre andava a lavorare e l’affidava al compagno che ne abusava. Ma solo dopo anni, e passando per una archiviazione, si arriva a una condanna in primo grado. In secondo grado però il fascicolo viene dimenticato, resta fermo. Questo caso però potrebbe non essere l’unico perché nel 2016, il presidente della corte d’Appello Arturo Soprano ha dovuto riassegnare mille processi. Un altro errore, riporta La Repubblica, si sarebbe aggiunto a questo caso la contestazione all’imputato di una recidiva inesistente.
 

Ue insiste: Italia deve fare imposta patrimoniale



(Una cura da cavallo pari al 5-8% della ricchezza finanziaria privata italiana)
 
L’Ue, ed in particolare la Germania, stanno richiedendo da anni una imposta patrimoniale per l’Italia con lo scopo di abbassare il debito pubblico. Nella recente attualità abbiamo notato l’Ue e l’OCSE cercare l’affondo finale, ossia fare pressioni su Gentiloni con lo scopo di imporre, se non la Troika, quanto meno detta imposta straordinaria in Italia.
Il motivo, quello ufficiale, è che il debito pubblico in Italia è troppo alto e va abbassato. Verissimo, indiscutibile. Andrebbe anche ricordato che gran parte di detto debito fu accumulato in lire. Il vero problema – sempre taciuto – è che da una parte l’incremento del debito italiano è stato causato dal 2011 in avanti dalle stesse politiche austere che hanno massacrato la Grecia, con un moltiplicatore fiscale per Atene ben superiore all’1, ossia per ogni euro di tasse si generava una decrescita di 1,8 euro (fonte: FMI) fino a far ammettere all’FMI stesso che era stato fatto un errore di valutazione con Atene, un errore tragico e disastroso per il paese ellenico. Dall’altra, oggi questa imposta è assolutamente inutile in quanto verrebbe dopo il massacro di tasse inaugurato con Mario Monti, fardello che hanno indebolito il substrato socio-economico italiano rispetto a quello che era nel 2010 (l’Italia era il paese con il sistema bancario più sano del mondo occidentale a valle della crisi subprime).
Letta in altro modo, a parte le tensioni sociali che detta imposta provocherebbe, oggi imporre una patrimoniale significherebbe far scendere il debito solo per breve termine: la risposta dei risparmiatori italiani sarebbe senza ombra di dubbio consumare ancora meno e quindi il PIL scenderebbe obbligando ad un’altra imposta simile entro due o tre anni, con un crollo ulteriore della crescita ed il disastro del welfare a partire dal sistema pensionistico, già oggi in rosso, che deve attingere al capitale per pagare le prestazioni (uno schema Ponzi purtroppo).
Si, perchè il vero problema dell’Inps oggi è che il rosso non è tanto causato dalle pensioni pagate ma piuttosto dai minori contributi come conseguenza dalla crisi, dalla crescita bassa, dalle aziende che delocalizzano e da misure assurde e nefaste come quella dei voucher renziani che permette il pagamento di contributi previdenziali in forma molto ridotta, con il solo scopo di far ridurre statisticamente l’inflazione (basta un’ora di lavoro al mese per non essere compresi nel novero dei disoccupati, un trucco molto simile a quello applicato da Barack Obama in Usa per evitare di far esplodere la percentuale statistica dei senza lavoro).
Il problema non è tanto la patrimoniale in quanto tale, ma piuttosto come sia possibile che una misura per definizione sbagliata, inutile ed anzi nefasta come l’austerity – complementata oggi da detta imposta straordinaria richiesta da Berlino – continui ad essere in auge pur avendo davanti l’esempio greco tragico  e le ammissioni dell’Fmi.

Oggi i numeri che circolano negli ambienti romani sono da far tremare i polsi: una cura da cavallo pari al 5-8% della ricchezza finanziaria privata italiana, ossia ad incidere sul patrimonio delle famiglie. Considerando che la ricchezza finanziaria privata ammonta a circa 4300-4500 miliardi di euro, significherebbe un’imposta straordinaria di circa 250-350 miliardi di euro. E questo a fronte di un parallelo aumento richiesto dalla stessa Ue dell’imposizione sulla prima casa, ossia a colpire le classi anche basse con una imposta su dove si vive pari, come per la seconda casa, a valori di circa l’1% del valore commerciale degli immobili ed anche oltre. Proporzione certamente veritiera per le case costruite dopo il 2008, ma che varrà per quasi tutti dopo il riordino del catasto del prossimo anno.
 Basti ricordare che la tassa straordinaria (patrimoniale) imposta da Mussolini per la guerra in Etiopia del 1937, Regio Decreto numero 1743, prevedeva una tassazione sugli immobili privati ed aziendali minore dello 0.5%: oggi con l’Imu per le seconde case siamo già prossimi all’1%.
Lo scopo sembra quello di dare una “botta” di 400 miliardi per abbassare il debito pubblico, guarda caso sempre lo stesso numero ai tempi ipotizzato da Giuliano Amato. Sarebbe un enorme autogol, servirebbe solo a spianare la strada per numerose imposte simili nei prossimi anni, oltre che a far saltare i conti dell’Inps e a creare un problema sociale anche maggiore nei prossimi anni. Vedremo se il governo riuscirà a resistere o meglio se avrà il coraggio di imporre tale enorme imposta, che sarebbe un errore gravissimo per il Paese.
Quello su cui bisogna interrogarsi è piuttosto come mai la spinta all’austerity senza alternative, da applicare per impulso eurotedesco ai Paesi in crisi (che ha provocato enormi danni ai paesi che l’hanno applicata in passato) sia ancora presente ed anzi più viva che mai. E soprattutto la tempistica nel reiteratamente richiedere detta patrimoniale proprio ora all’Italia, quando l’euro sembra più morto che vivo e, soprattutto, prima delle elezioni olandesi e francesi che potrebbero segnare la fine formale della moneta unica, oltre che cercando di anticipare la nomina dell’ambasciatore Usa all’Ue, Ted Mallock. E’ possibile che la Germania continui a temere l’Italia anche e soprattutto fuori dall’Euro.
Lo scopo sembrerebbe essere la volontà di commissariare la Penisola, facendo calare la Troika per imporre non tanto maggiori tasse quanto privatizzazioni, un modo per mettere le mani all’apparato industriale ancora facente egregie funzioni e che tanti grattacapi potrebbe dare a Berlino in caso di ritorno alla lira. A maggior ragion dopo che lo stesso apparato statale francese (Ofce  – Observatoire Français des Conjonctures EconomiquesScience Po) ha confermato che, in uno studio recente, l’Italia non avrebbe problemi ed anzi crescerebbe ritornando alla propria valuta nazionale.

Marco Rocco
Fonte: https://ofcs.report
Link: https://ofcs.report/opinioneconomica-ue-insiste-italia-deve-imposta-patrimoniale/

TRATTO DA: http://comedonchisciotte.org/ue-insiste-italia-deve-fare-imposta-patrimoniale-una-cura-da-cavallo-pari-al-5-8-della-ricchezza-finanziaria-privata-italiana/