GIUSEPPE MAZZOLA GRAZIANO GIRALUCCI
PADOVA 17 GIUGNO 1974
Graziano Giralucci nato A Villanova di Camposampiero (PD), il 7 dicembre 1944, agente di commercio.
Giuseppe Mazzola nato A Telgate (BG), 21 aprile 1914, ex carabiniere in pensione,
militanti del Movimento Sociale Italiano, furono le prime vittime delle Brigate Rosse.
L'assalto alla sede del MSI:
intorno alle 10 del mattino del 17 giugno 1974, un commando di esponenti delle Brigate Rosse penetrò con la forza nella sede dell'MSI di Padova, sita in via Zabarella, allo scopo di prelevare alcuni documenti.
Il commando era composto dai seguenti terroristi:
- Roberto Ognibene, esecutore materiale dell'incursione.
- Fabrizio Pelli, esecutore materiale dell'incursione.
- Susanna Ronconi, con funzione di retroguardia.
- Giorgio Semeria, con funzioni di autista.
- Martino Serafini, con funzioni di sentinella per un eventuale arrivo delle forze dell'ordine.
Penetrati all'interno del locali, i due terroristi vi trovarono Graziano Giralucci, militante dell'MSI quasi trentenne, e Giuseppe Mazzola, un ex carabiniere in pensione che teneva la contabilità, entrambi casualmente presenti quella mattina nella sede del partito.
I due terroristi estrassero due pistole, una P38 e una 7,65 con silenziatore, e tentarono di immobilizzare i due missini: Mazzola, non intimorito, afferrò la pistola di uno dei due terroristi e Giralucci cercò di immobilizzarlo abbrancandolo per il collo.
L'altro terrorista intervenne sparando un colpo che raggiunse alla spalla Giralucci ed un secondo che colpì Mazzola trapassandogli la gamba destra e l'addome: Mazzola e Giralucci, ormai inermi, furono freddamente uccisi ognuno con un colpo alla testa.
La rivendicazione e la "Pista Nera":
il giorno successivo le Brigate Rosse rivendicarono la paternità dell’assassinio tramite due volantini fatti ritrovare in una cabina telefonica a Padova e Milano, e in seguito con una telefonata alla redazione padovana de “Il Gazzettino”; in tali rivendicazioni viene annunciato che le le due vittime erano state giustiziate dopo essere stati ridotti all'impotenza.
Le Brigate Rosse avevano in precedenza commesso altre azioni violente armate, tra cui il rapimento del procuratore Mario Sossi, a Genova, il 18 aprile 1974, ma questo fu il primo omicidio effettuato e rivendicato a nome delle Brigate Rosse, e venne messa in discussione l'esistenza di tale organizzazione terroristica sia dai giornali che dalla magistratura: per 6 anni infatti, dietro la spinta di giornali di sinistra quali ad esempio il Manifesto, l'Avanti e L'Unità, le forze dell'ordine indirizzarono le indagini su una fantomatica "pista nera", che interpretava l'omicidio di Giralucci e Mazzola come un regolamento di conti interno al partito del MSI.
Tale azione di depistaggio ebbe momentaneamente successo.
Il processo:
Negli anni ottanta, in seguito alle confessioni di vari terroristi pentiti ed ad una più vasta indagine sulle Brigate Rosse, viene aperto il processo per l'assassinio di Giralucci e Mazzola.
In tale procedimento non fu coinvolto Pelli, morto in carcere di leucemia nel 1979.
L'11 maggio 1990 la Corte d’Assise di Padova dichiarano gli imputati tutti colpevoli, con le seguenti condanne:
- Roberto Ognibene, diciotto anni per omicidio volontario.
- Susanna Ronconi, nove anni e sei mesi per concorso anomalo in duplice omicidio.
- Giorgio Semeria, nove anni e sei mesi per concorso anomalo in duplice omicidio.
- Martino Serafini, sei anni, un mese e dieci giorni per concorso anomalo in duplice omicidio.
Oltre ai membri del commando, furono condannati anche i vertici delle BR, considerati mandanti dell'omicidio:
- Renato Curcio, dodici anni e otto mesi per concorso morale in duplice omicidio.
- Mario Moretti, dodici anni e otto mesi per concorso morale in duplice omicidio.
- Alberto Franceschini, dodici anni e otto mesi per concorso morale in duplice omicidio.
Nell'agosto 1991, Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica in carica, propose di concedere la grazia a Renato Curcio; a tale provvedimento si opposero le famiglie Giralucci e Mazzola che, per protesta, chiesero la loro sospensione dallo status di cittadinanza italiana.
Sempre a tal riguardo, Silvia Giralucci, figlia di una delle due vittime e ventenne al momento della lettera, scrisse a Cossiga:
« La grazia è un'ingiustizia che ci offende, sia come familiari delle vittime del terrorismo, che come privati cittadini. Mia madre ed io avevamo già espresso parere negativo alla grazia... La nostra vita è stata profondamente segnata da quell'episodio, è una vita non completa, non normale. Perché dobbiamo concedere una vita normale a chi non ha permesso che la nostra fosse tale? Hanno stroncato e segnato irreversibilmente troppe vite per avere il diritto di godersi la loro. Constatatone il fallimento, vorrebbero, e lei con loro, considerare la loro esperienza storicamente sorpassata, ma il dolore mio e della mia famiglia non è ancora storia, è vita". »
(Silvia Giralucci, in risposta alla proposta di grazia a Renato Curcio da parte del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga)
la Corte d’Assise di Venezia aprì il processo di appello e il 9 dicembre emise una sentenza che inasprì le pene rispetto al primo grado:
- Roberto Ognibene, diciotto anni per omicidio volontario.
- Susanna Ronconi, dodici anni e sei mesi per concorso pieno in duplice omicidio.
- Giorgio Semeria, dodici anni e sei mesi per concorso pieno in duplice omicidio.
- Martino Serafini, sette anni e sei mesi per concorso pieno in duplice omicidio.
- Renato Curcio, sedici anni e due mesi per concorso morale in duplice omicidio.
- Mario Moretti, sedici anni e due mesi per concorso morale in duplice omicidio.
- Alberto Franceschini, sedici anni e due mesi per concorso morale in duplice omicidio.
Nel luglio 1992 Serafini chiese la grazia, mentre Ronconi e Semeria usufruirono della semilibertà e Ognibene, grazie ai benefici della legge sui dissociati, fu impiegato presso il comune di Bologna.
L' 1 agosto 1992 Serafini venne arrestato per scontare due anni e mezzo di pena residui.